mercoledì 23 marzo 2011

David Bidussa: Italia 150 - Senza una data in cui riconoscersi

Una nazione che riconosce con molta riluttanza la sua data di fondamento ha un problema sia con il suo passato, sia con il suo futuro. La scelta del governo di dichiarare il 17 marzo giornata in memoria del compimento del processo risorgimentale è stata ufficializzata il 20 gennaio scorso. Ma sono significative le precisazioni di Gianni Letta: il 17 marzo sarà festa nazionale, ma solo per quest’anno.
Neanche in occasione del centocinquantesimo anniversario che cade in questo 2011 il Risorgimento riesce insomma a trovare un posto stabile nel calendario civile nazionale.



 In verità esiste una data celebrativa fin dalla proclamazione del Regno: è la prima domenica di giugno, ricorda lo Statuto Albertino e celebra Casa Savoia. Ma in quella festa non c’è il Risorgimento e lo Statuto è ricordato come «magnanimità del Re» e non come conquista anche popolare di libertà e democrazia. Dov’è il Risorgimento? Ma si potrebbe anche dire: dove sono gli italiani?
Un Paese celebra la sua festa nazionale il giorno della sua indipendenza o quello del compimento della sua unità territoriale e politica. Nel caso italiano quella data non c’è mai stata. L’Italia nasce come Stato politico il 17 marzo 1861, ma per molti quella data ha un carattere burocratico e, infatti, non diventa mai una ricorrenza nel calendario nazionale. Peraltro, a quella data non sono ancora parte dell’Italia il Veneto né, soprattutto, Roma. Il Veneto diventerà Italia nel 1866, Roma il 20 settembre 1870.
Già negli anni ’80 dell’Ottocento il 20 settembre parte in sordina. Diventa festa nazionale nel 1895, lo stesso anno in cui è inaugurato il monumento a Garibaldi sulla cima del Gianicolo. Ma la scadenza rimane solo nel calendario delle sette repubblicane e dei gruppi di libero pensiero, mentre è accantonata nella memoria pubblica. Significativamente viene soppressa nel 1930, quando è sostituita dall’11 febbraio (omaggio alla Conciliazione tra Chiesa e Stato).
Il 20 settembre come data del calendario nazionale, come giorno che ricorda un pezzo della storia della costruzione dell’Italia unita è divenuta imbarazzante. Meglio perciò accantonarla. Il 20 settembre sparisce così dall’orizzonte per non tornarvi mai più. Rimane nella memoria dell’Italia antipapista delle feste popolari a Trastevere, oppure nei cortei a Porta Pia. Oppure come data negativa per una parte dei cattolici. Per questi è una giornata di lutto, il cui atto pubblico è il pellegrinaggio dell’aristocrazia nera dal Papa. Le celebrazioni anticlericali come quelle del cattolicesimo più reazionario rappresentano, in ogni caso, due ali estreme.
Anziché una data unificante delle celebrazioni, a lungo ha predominato il culto del corpo. Il primo a essere pubblicamente celebrato è quello di Vittorio Emanuele II. La data della sua morte (9 gennaio 1878) e soprattutto il luogo della sua sepoltura (il Pantheon) diventano un simbolo per molti. Sono quella morte e quel luogo a dare il là alla manifestazione di un pellegrinaggio popolare, complementare e alternativo a quello che già in vita circonda Giuseppe Garibaldi.
Ma, alla sua morte, Caprera non diviene un luogo di pellegrinaggi di massa. Sarà un libro a fare quell’unità (di nuovo non c’è una data): Cuore di Edmondo De Amicis (la prima edizione è del 1886). Avrà un successo immediato e consentirà la costruzione di un sentimento di patria che nei fatti non c’era.
Perché si abbia un senso della scansione temporale, bisogna attendere il primo anniversario tondo. È il 1911 e a Torino si aprono le manifestazioni per il cinquantenario, che poi si spostano a Milano, Firenze, Napoli. Ma anche lì, il centro sarà il re e non la storia nazionale.
La prima guerra mondiale (che in Italia a lungo è indicata significativamente come Quarta guerra d’indipendenza), sposta la data al 4 novembre. È una data che si conserva a lungo perché consente nella diarchia dell’Italia fascista, divisa e sospesa tra culto del re e culto del duce, di non scegliere, ma di tentare una mediazione che salva l’idea dell’Unità dello Stato sotto il re e celebra l’Italia in trincea che è il mito politico su cui si fonda il fascismo delle origini. L’Italia repubblicana non risolve questa questione. Il 25 aprile non riesce mai a diventare una festa nazionale fondativa (qualcosa che assomigli al 4 luglio americano o al 14 luglio francese). Il 2 giugno assorbe quella che prima era la Festa dello Statuto. Solo l’occasione del centenario, nel 1961, consente per la prima volta di riflettere pubblicamente sulla lunga storia d’Italia. Ma anche lì non c’è una data. Tuttavia, da allora si avvia un cambiamento. A partire da quella stagione (il centenario è solo un pretesto) torna insistentemente nella discussione pubblica e nella riflessione culturale la domanda sul carattere di noi italiani, se siamo o no una nazione e sulla nostra storia lunga. Discussione che fa ancora parte del nostro presente e che, prevedibilmente, è destinata ad accompagnarci ancora per molto. Una data che simboleggi il Risorgimento non c’è ancora e del resto, dovremmo chiederci: c’è un calendario civico che ci rappresenti oggi? E cioè: a 150 anni dalla sua fondazione lo stato italiano sa rappresentarsi in modo univoco e unitario?

David Bidussa


(L'Unione informa, 23 marzo 2011)


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