Fotografie ingiallite degli anni
Settanta e Ottanta. Quando mezza Italia, nei giornali, nelle università e nelle
fabbriche, flirtava con il terrorismo rosso. “Eravamo clandestini per il potere
ma non per le masse”, diceva l’ex brigatista Prospero Gallinari (deceduto il 14
gennaio 2013). E il brigatista romano
Germano Maccari, soprannominato Gulliver, autore del primo truce episodio di
“gambizzazione”, affermava compiaciuto: «Voi non mi credereste se vi dicessi in
quante case di persone che oggi hanno un ruolo molto importante
nell'informazione, o comunque un ruolo importante nella società, si faceva a
gara per avere a cena uno come me».
Benvenuti, si fa per dire, ne La Zona Grigia, come è intitolato il
pamphlet di Massimiliano Griner (chiarelettere, p. 304, euro 16), che – in
attesa delle ulteriori rivelazioni che potranno venire fuori dalla
desecretazione degli archivi di Stato, promessa dal presidente del Consiglio
Matteo Renzi - ci ricorda, con dovizia di dettagli, il fenomeno
transgenerazionale di un esercito di italiani che in modo ambiguo aiutò, ospitò
oppure tifò per chi aveva scelto l’opzione senza ritorno della lotta armata e
della clandestinità.
Certo, l’Italia di quegli anni, osserva Griner, “era
squassata da stragi di marca fascista, e lo scontro tra la sinistra
extraparlamentare e lo Stato, sempre più repressivo, era durissimo”. Senza
dimenticare che, soprattutto dopo il golpe di Pinochet in Cile e l’avanzata del
Pci nel 1975 e nel 1976, anche una parte della sinistra parlamentare si sentiva
minacciata da un possibile colpo di stato fascista. Ma il contesto storico non
assolve chi appoggiò la lotta armata e quei tanti, la maggioranza, che nel
“dopoguerra” non hanno fatto né una riflessione sul proprio operato, né un
ripensamento o un’ammissione di responsabilità. Un velo che La Zona Grigia contribuisce finalmente a
squarciare.
(Il Messaggero, 18 luglio 2014)
Donne e uomini che, in quegli anni di
piombo, non di rado si erano regalati, per dirla con Miguel Gotor, “il brivido
di un sanpietrino, il crepitio di una molotov, la sofferenza di una
manganellata o il fragore di una vetrina infranta”. E che pur tuttavia si erano
fermati sull’orlo dell’abisso, evitando di impugnare le armi, ma fornendo al
partito della sovversione quel retroterra confortevole senza il quale non
avrebbe potuto né operare con sanguinaria efficacia né resistere a una
repressione progressivamente crescente.
Un libro
scomodo che ha già suscitato polemiche e un acceso dibattito sui social network.
Perché racconta, senza reticenze o riverniciature della memoria, la folle stagione
del terrorismo rosso, nella quale furono assassinate 232 persone e altre 75
furono invalidate a colpi di pistola. Una stagione che vide protagonisti (e in
qualche modo colpevoli) non solo i circa 4.200 terroristi condannati e i circa
20 mila italiani inquisiti, ma una rete assai più vasta di intellettuali, professori, giornalisti,
avvocati, magistrati, operai.
Il viaggio di
Griner in questo bacino torbido rivela infatti che l’Italia è stato il paese
occidentale, tra quelli che hanno conosciuto la lotta armata, che ha dato al
terrorismo il numero maggiore di fiancheggiatori. L’autore ne arriva a stimare oltre 600
mila, citando in prefazione una ricerca dell’intelligence americana del 1983. Non a
caso il capo delle Brigate rosse Mario Moretti ebbe a dire: “Il numero dei
nostri militanti è sempre stato relativo, quello che cresceva era la nostra
influenza. Le Br nuotavano in quest’acqua tumultuosa”.
Qualche nome?
Griner ne elenca a
bizzeffe, alcuni sorprendenti. Si va dal poeta Franco Fortini, che scandiva
slogan come “Guerra no! Guerriglia si!”, allo scrittore Erri De Luca, che
andava in giro con la pistola (e ora è militante dei No-Tav), al giudice Franco Marrone, che dichiarò nel corso di
un'assemblea di Lotta Continua che la giustizia altro non era che uno strumento
della borghesia, fino al filosofo Norberto Bobbio, che presentò il libro di
Irene Invernizzi Il carcere come scuola
di rivoluzione.
Il grande editore Giulio Einaudi
dedicò una collana ai bestseller degli intellettuali vicini al mondo del
terrorismo, con titoli come L'estremismo,
rimedio alla malattia senile del comunismo di Cohn-Bendit, mentre
Giangiacomo Feltrinelli propose un testo intitolato Il Sangue dei Leoni, contenente un “elenco meticoloso di tecniche
di guerriglia e sabotaggio”.
Il fiancheggiamento è durato anche
oltre la stagione del terrorismo, come attesta la vicenda del terrorista e
latitante Cesare Battisti. L’appello in suo favore è stato sottoscritto da
scrittori come Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Massimo Carlotto e persino
un giovanissimo Roberto Saviano (che ritirerà la sua adesione nel 2009) e la
sua causa appoggiata da riviste on line come Carmilla e da giornalisti come
Gianni Minà.
(Il Messaggero, 18 luglio 2014)
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