mercoledì 27 luglio 2011

Dachau ricorda Palatucci, il paladino degli ebrei

di Mario Avagliano

Giovanni Palatucci torna in Germania, a Dachau, dove fu rinchiuso come deportato politico nell’ottobre 1944 e dove morì nel febbraio 1945, ad appena trentasei anni di età, nella baracca n. 25 del Lager. Venerdì 29 luglio, presso la galleria della “Kultur Schranne”, sita nel centro storico di Dachau e messa a disposizione dal borgomastro Peter Bürgel, prenderà il via una mostra sulla storia del questore di Fiume, dello zio Giuseppe Palatucci, vescovo di Campagna, e del campo di concentramento sito nella cittadina salernitana. Per l’occasione verrà inaugurata la cappella italiana al Leitenberg, dedicata ai nostri connazionali morti a Dachau.  (Il Mattino, 27 luglio 2011, p. 21)


L’allestimento della mostra è stato curato da Michele Aiello, presidente del Comitato “Palatucci” di Campagna, che è in possesso di gran parte del materiale d’archivio (foto e documenti) riguardante i due Palatucci, da Tanja Jörgensen-Leuthner dell'Assessorato alla Cultura e alla Storia Contemporanea di Dachau e da padre Franco Stano, docente di Teologia alla Pontificia Università Lateranense “Istituto Claretianum”, postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Palatucci.


“La mostra – anticipa al Mattino Michele Aiello – ripercorre la vita di Giovanni Palatucci, nato il 29 maggio 1909 a Montella in provincia di Avellino e diplomatosi al liceo classico Torquato Tasso di Salerno. In particolare verranno presentati documenti e testimonianze sulla sua eroica attività in favore degli ebrei quand’era questore di Fiume (che gli è valsa il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni e il processo di beatificazione, conclusosi nel 2004), sulla storia del campo di internamento di Campagna e la collaborazione con lo zio vescovo Giuseppe Maria Palatucci, sul suo arresto da parte di Kappler e sul suo trasporto e la sua morte a Dachau”.


Fiume, oggi Rijeka, apparteneva allora al Regno d’Italia e per la sua posizione geografica, centrale in Europa, era divenuta, nel periodo delle persecuzioni razziali, un punto di riferimento e di passaggio per gli ebrei. Il giovane questore campano Giovanni Palatucci facilitò gli espatri, garantendo documenti, vie e rotte.


Quando l’Italia entrò in guerra e il regime fascista dispose l’internamento degli ebrei stranieri o ritenuti pericolosi in appositi campi di concentramento, Palatucci cercò di mandare il maggior numero possibile di ebrei della zona di Fiume nel campo di Campagna, dove era vescovo suo zio Giuseppe Maria Palatucci. “Ho la possibilità di fare un po’ di bene e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie”, scrisse l’8 dicembre 1941 in una lettera ai genitori.


Il vescovo aveva libero accesso al campo ed era in stretto contatto con gli internati. La cospicua corrispondenza tra lo zio e il nipote, conservata nell’archivio del vescovo, comprendente ben 1276 lettere sulla situazione degli ebrei nella cittadina salernitana, attesta il rapporto costante tra i due. Di recente, fra l’altro, da questo prezioso archivio sono emersi particolari inediti sul ruolo del Vaticano in questa vicenda, svelati da Angelo Picariello su Avvenire. Papa Pio XII donò somme cospicue al vescovo di Campagna per aiutare le centinaia di ebrei assegnati al campo.


Lo testimonia una precisa direttiva del Santo Padre, che si evince già da una lettera datata 20 settembre 1940 del canonico della cattedrale, don Alberto Gibboni, il quale venne ricevuto dal cardinale Domenico Tardini, sostituto della Segreteria di Stato: “Per il sussidio – scrisse don Gibboni al vescovo – mi ha mandato a monsignor Montini (il futuro Papa Paolo VI, ndR), il quale spedirà subito a lei una somma coll’istruzione per distribuirla tra gli internati. Per l’avvenire mi ha detto che ci tratterà come Genova: ogni volta che busseremo, ci aprirà”. Denaro che, come precisò in una missiva del 2 ottobre 1940 il segretario di Stato cardinale Luigi Maglione, “l’Augusto Pontefice” dispose fosse “preferibilmente destinato a chi soffre per ragioni di razza”.


Le donazioni del Vaticano in favore degli ebrei internati nel campo si ripeterono per tutta la durata del loro internamento (dal 1940 al 1943), raggiungendo la rispettabile cifra di circa centomila lire, come ricordò lo stesso Palatucci in una testimonianza resa in Israele nel 1953. Anche il vescovo di Campagna mise a disposizione degli ebrei tutti i suoi averi. Quando morì, il 31 marzo 1961, gli fu trovata addosso biancheria "rattoppata da mani poco esperte, con tutta probabilità le sue"; né fu possibile trovarne di nuova per l'ultima vestizione. Palatucci era morto com'era vissuto: da fedele discepolo di San Francesco.




(Il Mattino, 27 luglio 2011, p. 21)

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