giovedì 29 dicembre 2011

Le camicie rosse ne fecero di tutti i colori


di Mario Avagliano

Che tipi quei Mille che fecero l’Italia! 
Ribaldi, avventurieri, bastian contrari. In una parola, garibaldini. Dopo la spedizione del 1860, ne fecero di tutti i colori, continuando a scorazzare per il mondo. Chi finì in Patagonia e chi a Sumatra. Chi diventò sindaco di Roma (Luigi Pianciani) e chi aderì ultraottantenne al fascismo (il bergamasco Luigi Bolis). Gli ultimi due dei Mille, Egisto Sivelli, negoziante genovese di filigrane, e Francesco Grandi, docente che aveva scelto la bella Sorrento come sua patria di elezione, morirono nel 1934, tra saluti romani e gagliardetti fascisti. 

Mentre sullo sbarco a Marsala e sui sei mesi  dell’incredibile impresa nel Sud si sono scritti centinaia di libri di storia, di memorie e di romanzi e allestiti film e pièce teatrali, nessuno aveva mai indagato sulla diaspora della migliore gioventù di allora. Fino al gustoso libro del giornalista Paolo Brogi, La lunga notte dei Mille (Aliberti, pp. 305, euro 19), che ci regala un pittoresco affresco dell’Italia unitaria, in cui quell’esercito di idealisti e di anime inquiete stentò a ritrovarsi.
Il 5 maggio 1860, alla partenza dallo scoglio di Quarto in Liguria, i garibaldini erano mille e ottantanove. Il più piccolo aveva 11 anni, il più vecchio 69. Quarantotto erano analfabeti, dieci ebrei. Di donne una sola, Rosalie Montmasson, moglie di Francesco Crispi, che qualche anno dopo, divenuto potente ministro del regno, la ripudierà con tanto di scandalo nazionale (Rosalie morirà povera e abbandonata a Roma, nel 1904). Risalendo la penisola fino alla Campania, le fila dell’esercito delle camicie rosse si erano ingrossate, fino a superare le 50 mila unità.
Il sciogliete-le-righe del nucleo originario dei Mille, rimasto quasi intatto dopo la spedizione (in battaglia ne morirono solo 78), iniziò da Napoli, dopo la fuga di re Franceschiello, che si era asserragliato nella fortezza di Gaeta con le ultime forze militari rimaste fedeli. La data simbolo è il 6 novembre 1860, quando il re sabaudo, ingrato, disertò l’appuntamento con Garibaldi davanti al Palazzo Reale di Caserta, dove il generalissimo aveva schierato dodicimila camicie rosse, che attesero invano molte ore che Vittorio Emanuele II li passasse in rassegna.
Da quel momento in poi, come si legge nel libro di Brogi, la sorte dei garibaldini si separò. Se sono note le vicende di Garibaldi, che finì i suoi giorni in esilio nell’isola di Caprera, e di quei suoi seguaci il cui astro brillò in politica o nel giornalismo, come Francesco Crispi e Benedetto Cairoli (divenuti entrambi presidenti del consiglio), Luigi Miceli (ministro del Regno) e il napoletano Eugenio Torelli Viollier (l’inventore del Corriere della Sera), si erano perse le tracce della maggior parte degli altri protagonisti di quell’epopea, che presero strade le più diverse, quasi mai tranquille e sedentarie. Carmelo Agnetta fu coraggioso prefetto dello stato contro la mafia. Giuseppe Nuvolari, contadino, divenne uno dei più accaniti accusatori del sistema del nepotismo meridionale. Bartolomeo Marchelli si affermò nello spettacolo come grande prestigiatore e illusionista. Oreste Baratieri fece carriera nell’esercito, anche se fu inglorioso protagonista della carneficina di Adua del 1896 da parte delle truppe del ras Menelik, beccandosi le rampogne dell’ex compagno garibaldino Ergisto Bezzi, ferocemente critico verso le mire coloniali del Paese. Il giornalista Ernesto Teodoro Moneta fu invece uno dei padri del pacifismo italiano.
La lunga notte dei Mille non fu sempre lieta. Il peso di aver fatto la storia d’Italia segnò la vita dei garibaldini. Ventiquattro di loro impazzirono e furono ricoverati in manicomio, come Giuseppe Abbagnale e Giuseppe Fanelli, che morirono nell’ospedale psichiatrico di Napoli. Sedici si suicidarono, chi in un fiume, chi con la rivoltella, chi in entrambi i modi, come il friulano Marziano Ciotti: un colpo di pistola in testa e giù nelle acque del Ledra. Altri furono colpiti dalla sfortuna. Carlo Invernizzi morì sepolto vivo nel terribile terremoto di Messina del 1908. Nino Bixio, il luogotenente di Garibaldi, fu stroncato dal colera nelle isole della Sonda.
Altri reduci dei Mille continuarono la lotta per la libertà in altre parti del globo. Francesco Nullo mise assieme una legione di circa 600 volontari italiani e francesi, tra cui una sessantina di camicie rosse, che nel 1863 accorse generosamente ad aiutare gli insorti polacchi contro l’ukase dello zar Alessandro di Russia. Perse la vita in battaglia in Polonia, assieme all’altro garibaldino Stefano Elia Marchetti. Altri garibaldini lombardi, come Febo Arcangeli, Luigi Caroli e Giuseppe Giupponi, furono catturati e deportati dai russi nel freddo della Siberia. Giuseppe Cuzzi, dopo aver partecipato alla battaglia sul Volturno, si unì al leggendario Gordon Pascià in Sudan, subendo anche lui una lunga prigionia.
Un racconto, quello di Brogi, utile e godibilissimo. Il ritratto di una generazione di italiani che ha fatto da battistrada all’Italia di oggi.

(Il Mattino, 29 dicembre 2011)

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