di Titti Marrone
«Oggi compirò
23 anni e mi trovo in galera. Tutto ho dimenticato ma il mio amore mai, ho
dimenticato la spia, ma la sposa mai». Difficile trovare una
dichiarazione più efficace di questa che suoni insieme di amore e di
sconforto, ma capace di trarre forza dagli affetti familiari. A vergarla, con
mano resa incerta dalla precarietà e dal rischio connessi alla scrittura
in carcere, è Gioacchino Giordano, nato a Cava de’ Tirreni,
incarcerato al Marassi di Genova dopo essersi rifiutato di aderire alla
Repubblica di Salò, deportato a Dachau e morto lì nel 1945, un
anno dopo aver scritto alla sua amata Maria quella lettera. Gioacchino Giordano
è una delle centinaia di figure che escono dall’ombra, che
diventano coro e fanno risuonare piccole storie dimenticate nel libro di Mario
Avagliano e Marco Palmieri Voci dal lager - Diari e lettere di deportati
politici 1943-1945 (Einaudi, pagg. 414, euro 14).
Il libro compone, in un
mosaico di testimonianze dirette - biglietti lanciati dai treni e dalle
tradotte, lettere sfuggite alle maglie della censura, diari vergati nei lager
in gran segreto e nascosti come tesori - il profilo dei destini di oppositori
del regime di Salò: combattenti partigiani o esponenti della cosiddetta
”resistenza civile”, che annoverò personaggi a vario titolo
ostili al fascismo, tanto da essere classificati come ”politici”,
essere incarcerati, reclusi in campi di lavoro o di concentramento, essere
marchiati con un triangolo rosso applicato sul petto. A differenza dei
prigionieri ebrei, contrassegnati dal giallo della stella di David, i
”politici” non sono esplicitamente inclusi in un progetto di
sterminio, nei lager dei Reich italiani e tedeschi dove lavoreranno come
schiavi o nelle carceri dove sono rinchiusi, ma spesso il loro destino sarà
ugualmente la morte. Questo sarà anche il caso di un altro campano di
cui qui viene pubblicata una toccante lettera, Brenno Cavallari, che dal campo
di Fossili, dove verrà fucilato nel 1944, lancia oltre il muro un
biglietto avviluppato intorno a una pietra e indirizzato al nipote Sergio:
”Abbiamo bisogno di materiale di propaganda”, scrive Cavallari.
Dunque, l’”altra
Resistenza” che emerge da queste pagine include persone fin qui poco o
mai menzionate: e sono uomini, donne, vecchi, giovani, giovanissimi come il
napoletano Franco Busetto, studente di Ingegneria a Padova entrato nella
Resistenza come ufficiale di collegamento del comando delle formazioni
partigiane garibaldine costituite nell’area delle Venezie e poi deportato
a Mauthausen, lager da cui riuscì a tornare a casa. L’affresco
corale tracciato dal cospicuo materiale documentario qui riportato è un
prezioso frammento di memorie raccolte, per così dire, in presa diretta
e, come chiosano Avagliano e Palmieri nell’introduzione, rappresenta ”un
contributo alla piena comprensione di quel particolare stadio del processo
della deportazione a prescindere dagli sviluppi e dall’esito
successivo”.
Dopo una breve introduzione
d’inquadramento storico-documentaristico, Avagliano e Palmieri pubblicano
oltre 400 pagine di testimonianze dirette senza sovrapporre la propria voce a
quella degli estensori, ma solo corredando di annotazioni storiche le varie
pagine e differenziandole per fasi e categorie. Spesso le lettere e i diari
trattengono sulla carta annotazioni minimali, che appartengono alla vita di
tutti i giorni (”fa pagare l’abbonamento radio, il libretto con i
moduli e nell’ultimo cassetto della scrivania”) o intimissime
istantanee inviate ai propri cari: anche per questo alzano molti veli sulla
vita da reclusi. E la semplice raccolta di documenti, metodo già
adoperato nelle altre microstorie di Avagliano e Palmieri uscite da Einaudi -
Gli internati militari italiani e Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia -
serve a dar voce a chi se la vide soffocare dal nazifascismo, per sottrarla al
silenzio dell’oblìo.
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