martedì 24 aprile 2012

"Voci dal lager" : intervista a Mario Avagliano

di  A. Lalomia  

Propongo in questa sede l’intervista che Mario Avagliano mi ha concesso per parlare del suo libro Voci dal lager, su cui ho già pubblicato dei post 1 .
Circa il volume su Montezemolo citato nell’ultima risposta 2 , vorrei precisare che l’intervista è stata concessa qualche giorno prima dell’uscita dell’opera.
Come emerge dal testo, finora, a livello politico, soltanto un partito ha invitato gli autori a presentare il libro nelle sue sedi.  Trovo che questo sia sorprendente, quando si pensi che il tema dovrebbe interessare tutti coloro i quali si riconoscono nei principi liberali e democratici. 

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Note

 V. ad esempio la recensione  Voci dal lager, di Avagliano-Palmieri.  Cfr. anche la pagina  “Libri consigliati”, sempre su questo blog.

2  Il partigiano Montezemolo , per i tipi della Casa Editrice Dalai, un testo che ha incontrato subito
grande consenso presso la critica, come del resto tutti i lavori di Avagliano, che sono stati recensiti da firme prestigiose del giornalismo italiano  (e non solo).
L’A.  si rivela sempre di più come uno dei nostri più brillanti e sensibili studiosi dell’età contemporanea, dedicandosi con passione ad un campo finora poco valorizzato dalla storiografia ufficiale.
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1. Com’è nata l’idea del libro?

Con la prospettiva di continuare il lavoro di Malvezzi-Pirelli, Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana:  una grande opera, che però concentrava la sua attenzione quasi esclusivamente sulla Resistenza armata e sul momento finale del martirio. Noi volevamo andare oltre, cercando di analizzare tutta la vicenda della Resistenza e anche le altre modalità di Resistenza, che includessero cioè anche quanti si erano opposti alla dittatura senza imbracciare le armi o senza entrare a far parte di organizzazioni partigiane. A questo progetto io ho dedicato Generazione ribelle  (2006), un saggio che ha avuto molto successo e che raccoglie gli scritti di tutti coloro che, in vario modo, si opposero al nazismo e alla restaurazione del fascismo tra il 1943 e il 1945: i partigiani, i gappisti, ma anche i deportati politici, i resistenti civili (tra cui tantissime donne e sacerdoti), gli internati militari, i volontari del Corpo Italiano di Liberazione. 
Dopo Generazione ribelle, assieme a Marco Palmieri ho pubblicato il libro sugli internati militari, quindi quello sugli ebrei durante il fascismo e infine questo sui deportati politici.
Come ha sottolineato anche la critica, si tratta di una vera e propria trilogia sul tema della deportazione e dei trasferimenti coatti nel Reich, di un affresco di ampio respiro su un argomento poco trattato dalla nostra storiografia.  In più, altro elemento di novità, ci siamo serviti di fonti generalmente trascurate e che sarebbero andate disperse, ossia, appunto, le voci dirette dei protagonisti della tragedia.  Da queste voci, è emersa una specie di cronaca dal vivo dell’immane tragedia che ha coinvolto centinaia di migliaia di italiani, con una serie infinita di episodi poco conosciuti, se non addirittura ignorati. 
Ridare voce ai protagonisti dell’epoca, attraverso la cronaca viva, quotidiana, con i loro sentimenti, le loro speranze, le loro delusioni: è stata questa la nostra ‘stella polare’, quella che ci ha guidato lungo tutto il percorso. 


2. Quali obiettivi volevate raggiungere e quali ritenete di aver effettivamente raggiunto?

In parte ho già risposto prima. 
Posso aggiungere che, come ho scritto in un post pubblicato il  29 marzo 2011  sul mio blog, “L'obiettivo, come per gli internati militari e gli ebrei, è ricomporre - attraverso un'antologia – il mosaico della deportazione politica attraverso le parole dei protagonisti.  
A giudicare dal successo che il volume ha ottenuto, credo che le nostre aspettative non siano andate deluse.

3. In quanto tempo avete realizzato l’opera ?

La risposta parte da lontano. La ricerca era iniziata già da anni, con l’acquisizione di materiale che abbiamo usato anche per altri libri.  Noi raccogliamo materiale continuamente, lo mettiamo da parte, nel cassetto, e poi lo utilizziamo in più opere.  Come lavoro specifico su questo libro, si può dire che ci ha impegnato per circa tre anni.


4. Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato e a quali fonti avete fatto ricorso?

Per motivi anagrafici, molti dei sopravvissuti all’esperienza dei lager sono scomparsi da tempo. Per i deportati scomparsi nei campi,  non è stato facile trovare i loro familiari. È stato quindi un lavoro non semplice, ma ricco di spunti di estremo interesse e anche di grande valore umano. Sia perché abbiamo potuto conoscere o parlare con alcuni deportati sia perché ogni volta, entrare in possesso di lettere e diari che venivano dal passato, è stata una profonda emozione. 
Abbiamo raccolto molto materiale attraverso fonti tradizionali di ricerca (archivi, biblioteche, fondi privati, associazioni di partigiani, istituti storici), ma anche servendoci del passaparola.
Una parte della documentazione è arrivata anche a seguito di annunci sul mio blog, come quello del 29 marzo 2011 già citato sopra, in cui invitavo ad inviarmi “materiale pertinente con la ricerca  (lettere, diari, documenti interessanti sulla deportazione, inediti o pubblicati). Naturalmente le persone che forniranno il materiale saranno citate nei crediti e saranno indicate le fonti.”   


5. In Italia il volume è stato accolto da un coro unanime di consensi da parte della critica  (come d’altronde gli altri suoi libri).  E il mondo politico, come ha reagito? E inoltre: può dire qualcosa della sua accoglienza in altri paesi, e soprattutto in Germania?

Le reazioni del mondo politico finora hanno riguardato soltanto un partito, che ci ha invitato in varie occasioni nei suoi circoli per presentare il libro.
Per quanto riguarda la Germania, posso dire che alla prima presentazione ha partecipato anche il corrispondente da Roma della radio pubblica tedesca. 
Si è dimostrato molto interessato e ha realizzato un’intervista andata in onda a gennaio. Poi, anche se in questo caso il discorso si sposta alla comunità italo-tedesca, ci sono stati   i servizi di Radio Colonia, che tra l’altro ha intervistato  MarcoPalmieri .

6. Quali sono state le reazioni più significative del pubblico durante le presentazioni del libro, in particolare nelle scuole?  Ha trovato che gli studenti fossero sufficientemente preparati e in grado di comprendere la spaventosa realtà della seconda guerra mondiale e della Shoah?  Hanno posto domande  (ed eventualmente di che tipo)  o si sono limitati ad ascoltare? In quale segmento educativo ha riscontrato maggiore interesse? Ha saputo di seminari o di altri canali di approfondimento promossi dalle scuole su questi temi?

Interesse e commozione, ovunque molto forti, sono stati forse gli elementi dominanti, soprattutto quando è stato possibile leggere brani del libro. 
Sul piano scolastico, gli studenti hanno accolto l’iniziativa con un entusiasmo composto e con grande senso partecipativo e spesso hanno rivolto domande che denotavano il desiderio di approfondire vari aspetti del libro.
Per quanto riguarda i livelli, si va dalle medie alle superiori, con netta prevalenza di queste ultime, anche perché in effetti l’argomento è più indicato per un platea scolastica che corrisponde poi a quella, appunto, delle superiori.
Per quanto riguarda invece la preparazione dei ragazzi, la risposta non è facile, perché siamo stati in realtà scolastiche non omogenee.  In questo caso, entrano in gioco diverse variabili, quali il contesto urbano, la provenienza sociale, il tipo di approccio che ogni docente dà al programma, la risposta della classe, la disponibilità di materiale didattico funzionale alle attività scolastiche.
Siamo stati un po’ in ogni ordine di scuola superiore: licei, tecnici, professionali, e non posso dire di aver notato differenze particolari di sensibilità, anche se forse nei licei a volte i ragazzi mi sono sembrati più preparati sul periodo storico. Ma questo credo che dipenda soprattutto dal maggior numero di ore che hanno i docenti delle materie interessate per sviluppare temi che in altri tipi di scuola devono necessariamente essere appena accennati o addirittura sacrificati.
Soprattutto in alcuni licei di Roma, in Campania, in provincia di Frosinone, a Milano, a Palermo, a Rimini, in Sardegna, a Siena, a Potenza, abbiamo riscontrato un fortissimo interesse. Alcune classi hanno anche deciso di adottare il libro. I ragazzi hanno preso parte attivamente alla discussione, ponendo domande intelligenti e ringraziandoci per aver riportato alla luce documenti inediti.
Non di rado c’è stato qualche studente che si è commosso e ha pianto durante la lettura dei brani del libro. A volte abbiamo vissuto momenti di intenso silenzio, un silenzio che in realtà tradiva una profonda commozione e comunque una tensione morale, da parte dei ragazzi e del pubblico in genere, che va senz’altro a loro merito.
  

7. Da un punto di vista geografico, in quali regioni ha riscontrato il maggiore interesse per l’opera e comunque per i temi della sua attività di storico  (con particolare riguardo alla Shoah)?

Siamo già stati  - o è in programma la nostra presenza -  in tutte le grandi città italiane e ovunque, come dicevo sopra, abbiamo trovato un pubblico fortemente motivato, anche, appunto, nelle scuole. Ad esempio al centro sociale di Sarno, in Campania, e in una scuola di Palermo, dove sono stati riuniti gli studenti di vari istituti, per consentire loro di partecipare all’incontro programmato.  L’uniformità dei consensi deriva anche dal fatto che i deportati provenivano da varie regioni, anche meridionali, contrariamente a quanto in genere si pensa.

8. In quante scuole è stato presentato finora il volume?  Sono previsti ulteriori incontri in ambito scolastico? È  stato presentato anche in qualche università?

È difficile calcolare il numero, certamente sono decine, in gran parte d’Italia e ovunque, ripeto, abbiamo trovato un’accoglienza che ci ha ampiamente ripagati degli sforzi che abbiamo compiuto  -e continuiamo a compiere-  per andare nelle varie sedi.
Per le università, invece, ancora nessun invito.  Vorrei ricordare comunque che il volume precedente, quello sulla persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, è stato presentato nel 2011 presso l’Università di Bologna.


9. Negli incontri scolastici, si è accennato  - da parte delle autorità dei singoli istituti -  all’intenzione di adottare il testo e comunque di acquistarne delle copie  (sia cartacee che in formato e-book)  per la biblioteca? 

Molte classi hanno già acquistato il libro  (in qualche caso con i soldi degli stessi ragazzi) e a volte (per esempio a Bologna, Rimini, Milano e in varie città campane) è stato adottato a livello d’istituto o nelle biblioteche di classe. Oltre a questo, copie del libro si trovano già in diverse biblioteche d’istituto.  Il successo nella diffusione dipende anche dal prezzo accessibile, il che rappresenta una scelta molto intelligente da parte della Casa Editrice.

  
10. Ritiene che la scuola italiana faccia abbastanza per mantenere vivo il ricordo dei crimini commessi dal nazismo? Al di là di questo, quali consigli si sentirebbe di dare per scongiurare  ‘il vuoto di memoria’ e potenziare il ricordo delle vittime e delle immani tragedie causate dal delirio di potenza di Hitler e di quanti lo hanno sostenuto fino alla fine?

Anche in questo caso la risposta non è omogenea: dipende dal contesto, dai docenti, dalla loro sensibilità, dai mezzi che le scuole hanno a disposizione.
Certamente la scuola può fare moltissimo per ‘vaccinare’  i ragazzi contro un virus che purtroppo è ancora in circolazione, come hanno dimostrato i recenti episodi di Tolosa, di Roma e di Milano.  L’enorme importanza della scuola è emersa anche nell’intervista al Presidente dell’ Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, che ho pubblicato sul Mattino del 20 marzo e che adesso si può leggere sul mio blog . 
Nel salernitano e in Emilia Romagna il libro è stato oggetto di adattamento teatrale scolastico, con musiche e canzoni.


11. In genere i manuali scolastici non riservano, al fenomeno dei deportati in Germania, l’importanza che merita.  Secondo lei da che cosa dipende questa lacuna?

Da almeno due motivi: primo perché la seconda guerra mondiale viene presentata quasi sempre come una serie di eventi bellici, che sono poi quelli che rimangono più impressi nella memoria del pubblico e nel caso specifico dei ragazzi; poi perché in Italia continua a rimanere dominante una visione della resistenza soltanto come lotta armata, una visione che forse è anche il frutto della Guerra Fredda.
Ma si tratta di una visione limitata, perché, come noi abbiamo dimostrato, anche chi non ha imbracciato il fucile, ma non ha collaborato con il regime, pagandone le conseguenze, può essere considerato a tutti gli effetti un resistente.


12. Le presentazioni dell’opera sono il frutto delle iniziative della Casa Editrice, oppure lei stesso si è messo in contatto con le sedi che riteneva più opportune per far conoscere il testo?

Sono quasi sempre il frutto delle richieste, che, ripeto, ci giungono da ogni parte d’Italia.  Associazioni civili, scuole, club culturali, enti, librerie  (a partire dalla rete Einaudi): il ventaglio è molto ampio e devo confessare che gli inviti sono così numerosi che davvero facciamo fatica a gestirli secondo i tempi che ci vengono proposti, anche perché dobbiamo comunque svolgere altre attività, a partire da quella giornalistica.


13. In quante e quali sedi politiche è stato presentato finora il testo?  Oltre a quelle che si sono svolte presso le sezioni del PD di Roma del 14 e del 27-03-2012, ci sono state altre presentazioni?

Come dicevo sopra, noi ci muoviamo solo se ci arriva una richiesta. 
Per quanto riguarda i partiti, finora gli unici inviti sono arrivati dal PD. Se altri movimenti politici decideranno di invitarci, non esistono motivi per rifiutare. Noi siamo sempre pronti.


14. Lei ha spiegato che tra  le ragioni per cui il libro è uscito così tardi, vanno citati almeno la ritrosia e il senso di colpa dei sopravvissuti, il fatto di temere di non essere creduti, il rimorso per essersi salvati, lo scetticismo da parte di una certa editoria, troppo attenta ai prodotti di mercato di facile consumo, piuttosto che alla valorizzazione di opere di grande valore morale ed etico. Insomma, per quanto riguarda i deportati, al loro ritorno in Italia essi temevano forse che anche alle loro testimonianze potesse capitare il destino di  Se questo è un uomo, di Primo Levi, rifiutato da diversi editori e accolto, al momento della sua prima pubblicazione (1947), con un certo distacco, perché troppo vicino ad eventi  tragici che si volevano rimuovere, per iniziare una nuova vita?

Per i deportati politici, che erano partigiani oppure resistenti civili, si può aggiungere che nel loro silenzio ha pesato anche l’indifferenza con la quale sono stati accolti al loro rientro in Italia, nonostante il valore e l’importanza anche politica del loro sacrificio. Un misto di delusione e di amarezza, che forse li ha ulteriormente fatti convincere del fatto che ogni loro discorso o manifestazione fosse inutile, perché il Paese non ne voleva sapere.  Spesso, quando accennavano  alle loro esperienze di deportati, si accorgevano dell’insofferenza di chi li ascoltava.  C’è da dire poi che, a parte qualche caso, neanche le istituzioni hanno fatto molto: solo recentemente Enrico Letta è riuscito a fare assegnare ai deportati politici e agli internati una medaglia. A distanza di quasi settant’anni. Una vergogna.


15. Si può tracciare una mappa dell’appartenenza politica degli internati? Di quali gruppi e schieramenti politici facevano parte?

Erano rappresentati un po’ tutti i movimenti politici e le ideologie.  Si andava dai comunisti agli esponenti delle forze moderate e cattoliche. C’erano anche diversi sacerdoti. Vorrei precisare comunque che diversi deportati non avevano un passato di vera e propria militanza politica.


16. Quanti dei deportati che sono riusciti a tornare in Italia sono ancora vivi? E quanti di questi hanno già pubblicato libri di memorie sulla loro esperienza in Germania?

Dei circa 14.000 che sono riusciti a tornare, non si conosce il numero esatto. Si può ipotizzare una cifra che ruota attorno a qualche centinaio.


17. Esistono, o sono mai esistite, forme di sostegno economico da parte dello Stato italiano verso chi è stato deportato in Germania?

In parte ho già risposto.  Alcuni deportati sono riusciti, dopo molti sforzi e diverso tempo dalla tragedia, ad ottenere una pensioncina, ma, a tutt’oggi, non esiste una vera e propria legge che si faccia carico di tutelare questa particolare categoria di vittime della guerra.

18. Come giudica la recente decisione della Corte Internazionale dell’Aja di sostenere la tesi tedesca in materia di risarcimenti alle vittime delle stragi compiute in Italia dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 (circa 10.000 civili massacrati)?  Quanti sono i contenziosi in corso avviati dai deportati e comunque dalle vittime del nazismo nei confronti della Germania? E quanti, prima della sentenza dell’Aja, hanno avuto esito soddisfacente?
E inoltre: sulla base di questa sentenza, quali opportunità rimangono ai deportati sopravvissuti  e agli eredi di far valere le loro ragioni in tema di indennizzi da parte della Germania? Secondo lei, i governi italiani del passato si sono adoperati abbastanza per sostenere le rivendicazioni delle vittime?

Sull’argomento ho scritto alcuni articoli, a cui rimando. Compaiono anche sul mio blog 


19. Secondo alcuni storici, l’equivalenza  fascismo = nazismo = comunismo non è sufficientemente supportata da fatti concreti.  Per esempio, si fa notare, mentre nella Germania di Hitler e nella Russia di Stalin il potere era davvero concentrato nelle mani di un unico capo (anche se circondato da fedelissimi che controllavano ogni aspetto della società), in Italia, oltre a Mussolini e ai suoi gerarchi  (alcuni dei quali neanche troppo affidabili, come emerse nella seduta del 25 luglio 1943), esistevano altri due poli: il re, che pur essendo stato connivente con il fascismo per molti anni, alla fine farà arrestare il ‘duce’;  e il papa, che pur ‘silenziato’ dagli accordi del 1929, rappresentava pur sempre un elemento da non sottovalutare, in un Paese cattolicissimo come il nostro  (e lo si vide in alcune circostanze). D’altronde, si aggiunge, le stesse leggi razziali del 1938, vennero sì applicate, ma senza quella sistematicità e quella ferocia che caratterizzarono l’antisemitismo tedesco.  Per non parlare degli innumerevoli, splendidi episodi di solidarietà e umanità da parte di nostri cittadini e religiosi cattolici, solidarietà e umanità che hanno permesso la salvezza di molti ebrei, come ha ricordato  nel 2010  il Presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici. Questa solidarietà non ha riguardato soltanto l’Italia: basti pensare alla grandiosa opera di salvataggio condotta da Giorgio Perlasca e dal Nunzio Papale Mons. Angelo Rotta, nella Budapest del 1944, di migliaia di ebrei, altrimenti destinati allo sterminio. Lei stesso (Gli italiani e le leggi razziali: indifferenza e complicità),  ricorda che “Giovanni Gentile … in privato non fece mancare atti di solidarietà verso gli ebrei, [anche se] in pubblico non prese mai posizione contro le leggi razziali.”.  Condivide questa impostazione, oppure ritiene che fra i tre regimi  -e soprattutto tra fascismo e nazismo-  le differenze siano minime e comunque irrilevanti?

Il compito delle storico deve essere quello di esaminare gli avvenimenti in modo obiettivo, di ricostruire i fatti senza pregiudizi o faziosità. È tanto vero quello che dico, che nel libro sugli internati militari io e Marco Palmieri  abbiamo lasciato spazio anche a quelle figure che, per una loro scelta personale, non condivisibile dal punto di vista valoriale, hanno aderito alla RSI. Si tratta di una scelta che va riportata con obiettività e onestà intellettuale, perché questo fa parte della deontologia dello storico e del giornalista. 
Ma io ho parlato, ad esempio, anche delle divisioni che ci sono state all’interno della Resistenza. In Generazione ribelle parlo del fratello di Pasolini.  [Guido Pasolini (1925-45): venne trucidato, assieme ad altri ventuno partigiani della Brigata Osoppo a cui appartenevano, il 7 febbraio 1945 a Porzûs, da un gruppo di gappisti comunisti. La strage rappresenta una delle pagine più  drammatiche della Resistenza italiana.]
Detto questo, come ricordava Primo Levi, noi italiani abbiamo il triste primato di aver “inventato” il fascismo e di averlo esportato nel mondo. È noto che Mussolini rappresentava per Hitler un idolo, un modello. 
Per quanto riguarda la prospettiva storiografica che lei ricorda, credo che si debba affermare con forza che, pur con tutte le differenze con gli altri regimi, il fascismo italiano non si è limitato a sospendere per un ventennio le libertà civili e di opinione nel nostro Paese, ma ha commesso crimini molto gravi sia contro gli oppositori sia contro gli ebrei e si è reso complice della politica di sterminio messa in atto dal nazismo. Anche la società italiana ha le sue responsabilità. Ad esempio, al di là di singoli casi di solidarietà, mancò un vero e proprio fronte compatto di reazione, di condanna aperta contro le leggi razziali del 1938 che Mussolini decise di imporre ad un Paese che, non dimentichiamolo, in quel periodo storico era ancora libero dal giogo tedesco.


20. Lei e Palmieri dirigete per la Casa Editrice Marlin una collana che si propone di raccogliere testimonianze dirette sui due conflitti mondiali. Ha ricevuto molto materiale, finora, e di che tipo?  Le è mai capitato di ricevere documentazione falsa e comunque poco affidabile? E più in generale, il tema del falso delle fonti, secondo lei, rappresenta un problema per la sua attività?

Sì, riceviamo continuamente diari, memorie, lettere. Fino a questo momento non abbiamo dovuto affrontare il problema del falso, perché tutta la documentazione che abbiamo reperito è autentica, come risulta dai manoscritti originali, dai timbri postali, etc.  Questo problema, quindi, non si è ancora posto, e speriamo che non si debba porre. Per quanto riguarda questa collana della Marlin, vorrei precisare però che si occuperà anche di altre guerre del Novecento, oltre a quelle che ha citato, come ad esempio la guerra di Etiopia.


21. Questo è il terzo volume, per la Casa Editrice Einaudi, che ha realizzato in collaborazione con Marco Palmieri. Quando è nata l’idea di scrivere a quattro mani?  E inoltre: in che modo vi siete divisi il lavoro e quali problemi avete incontrato  (se li avete incontrati) a lavorare in coppia? 

La collaborazione con Marco Palmieri è iniziata già con Generazione ribelle, tra il 2004 e il 2006. Lui mi diede una mano a reperire una serie di documenti. Da allora sono anni, ormai, che lavoriamo insieme, con passione civile, grande serenità e profondo spirito d’intesa.


22. Oltre a svolgere un’intensa attività professionale, lei gestisce un sito e un blog, entrambi di eccellente qualità. Inoltre, è Web-master di altri siti.  Secondo lei, che ruolo può svolgere la rete nella conoscenza di un periodo storico forse unico nella storia dell’umanità  - un autentico museo degli orrori -  come la seconda guerra mondiale?

Il  ruolo della rete è notevole: il web rappresenta una straordinaria opportunità di conoscenza e di scambio di opinioni. Ma è anche una fonte di pericoli, perché proprio attraverso la rete passano messaggi razzisti e di odio, che in soggetti fragili o addirittura già predisposti possono provocare comportamenti violenti. In Italia esistono centinaia e centinaia di siti nazisti, neofascisti e antisemiti.


23. Ritiene che l'azione di contrasto nei confronti di questi siti sia adeguata?
Per combattere questi siti si dovrebbe fare molto di più, perché i gruppuscoli si stanno sviluppando in modo preoccupante e purtroppo, a giudicare dai casi di intolleranza e di violenza verso chi la pensa diversamente da loro e verso la comunità ebraica, fanno dei proseliti.


24. In un’intervista, lei ha detto che la sua prossima opera riguarderà sempre la storia della seconda guerra mondiale, vista però dalla parte opposta, cioè dei fascisti  (‘dei fratelli che hanno sbagliato’, vorrei aggiungere io, per usare una locuzione introdotta qualche anno fa da Luciano Violante).  Può fornire ulteriori dettagli, su questo lavoro e su altri progetti futuri?

In realtà, il mio prossimo libro è una biografia del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, intitolata  Il partigiano Montezemolo, a cui ho dedicato già qualche articolo, che si può leggere sul mio blog. Sì, stiamo lavorando anche ad un volume sui ragazzi di Salò.  Ci interessa capire soprattutto il perché delle loro scelte, delle loro motivazioni, che li hanno portati  a schierarsi dalla parte sbagliata, al fianco della dittatura, di fatto con Hitler, contro i loro fratelli che lottavano per la libertà.  Ripeto: si tratta di scelte di campo molto impegnative, non condivisibili, ma che vanno conosciute, studiate, interpretate, cercando di non liquidare il tutto con giudizi sommari o addirittura con il silenzio, ancora più mortificante per chi, comunque, ha combattuto per una causa, sia pure sbagliata, in cui credeva.




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