Nei venti mesi
che vanno dall’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, all’uccisione di
Mussolini e alla fine della guerra, nell’aprile del 1945, l’Italia non solo
continuò a essere un campo di battaglia tra eserciti stranieri – gli Alleati
che avanzavano da sud e i tedeschi che occupavano il centro-nord – ma diventò
anche teatro di una sanguinosa «guerra civile» e «contro i civili», che vide coinvolti
su fronti opposti coloro diedero vita alla Resistenza e coloro che rimasero
fedeli al fascismo, aderendo alla Repubblica di Salò.
Nel
dopoguerra, però, il punto di vista resistenziale è stato oggetto di
innumerevoli studi e ricerche e ha rappresentato una narrativa dominante. Al
contrario, la vicenda dei tanti italiani che scelsero di combattere dalla parte
sbagliata è rimasta a lungo marginale, finendo per rappresentare un vuoto,
un autentico tassello mancante nel panorama storiografico e della memoria
di quel complesso periodo, che segnò lo spartiacque tra la dittatura fascista e
la democrazia.
In
particolare, restava ancora da scandagliare in profondità lo spettro delle
motivazioni che indussero oltre mezzo milione di italiani – uomini e
donne, spesso giovanissimi – ad aderire e combattere, in molti casi
volontariamente, per la Rsi. Cosa che fa, in modo documentatissimo, il
saggio storico L’Italia di Salò.
1943-1945 (Il Mulino, pp. 490,
euro 28), di Mario Avagliano e Marco Palmieri.
Questa ricerca
affronta sulla base delle fonti coeve disponibili – lettere, diari,
testamenti ideologici, posta censurata, relazioni sul morale delle truppe
e sullo spirito pubblico, notiziari della Gnr, note fiduciarie, carte di
polizia e dei servizi segreti – e della memorialistica postuma, scevra dai
condizionamenti politici che l’hanno caratterizzata e dalla pregiudiziale
politico-ideologico-culturale che ha portato molti testimoni a tenere
a lungo nascoste le tracce di un passato inconfessabile.
La cesura del
25 luglio prima e dell’8 settembre poi, infatti, per molti italiani non
rappresentò un taglio netto con il precedente ventennio fascista, bensì una
svolta in continuità, la cui naturale conseguenza fu la
partecipazione all’esperienza della Rsi, che a sua volta non fu un evento senza
propagazioni e conseguenze sulla storia politica e sociale del
dopoguerra. Il ritorno sulla scena di Mussolini e la nuova chiamata alle
armi, per continuare la guerra contro le potenze nemiche e intraprenderne
una nuova contro i traditori, il nemico interno, i banditi,
misero nuovamente gli italiani di fronte alla necessità di fare una scelta.
Quali furono le principali motivazioni che animarono coloro che decisero
di aderire? Quale fu il collegamento ideale col precedente regime? Quali
aspettative si nutrivano nei confronti del nuovo fascismo. Perché molti
giovanissimi compirono quella scelta? Che tipo di esperienza vissero sotto le
armi coloro che combatterono per Salò? Cosa sapevano della Resistenza e come la
giudicavano? Cosa percepivano e come metabolizzavano le stragi e le
deportazioni razziali e politiche dei nazisti, alle quali molti di loro presero
parte anche attiva? Quanti ebbero ripensamenti e per quale motivo? Chi rimase
fedele alla causa fino alla fine e perché?
A questi
interrogativi Avagliano e Palmieri, attraverso una gran mole di documenti prima
in gran parte inediti o poco noti, forniscono una risposta dal basso,
passando in rassegna sia le diverse esperienze militari e combattentistiche di
Salò (l’esercito nazionale formalmente apolitico, le milizie di partito quali
la Guardia nazionale repubblicana e le Brigate nere, le formazioni
relativamente autonome come la X Mas, le sanguinarie bande irregolari e chi
militò direttamente con i tedeschi come le SS italiane), sia l’esperienza quasi
del tutto dimenticata degli Imi che optarono, dei prigionieri di guerra degli
Alleati che non accettarono di cooperare e dei fascisti clandestini che
operarono dietro le linee nemiche nelle regioni già liberate dagli anglo-americani.
Tra di loro ci furono anche molti italiani che nel dopoguerra diventeranno
personaggi noti della politica, della cultura, del giornalismo, dello
spettacolo e via dicendo.
Uno dei tratti
salienti delle risposte fornite in sede di memoria successiva, escludendo
quelle di stampo dichiaratamente rivendicativo o apologetico, è stato il
carattere giustificativo. Spesso, cioè, rispetto alla messa a fuoco oggettiva
delle ragioni che all’epoca portarono a fare quella scelta, ha prevalso il
desiderio di farla apparire comprensibile e accettabile a coloro i quali
non la vissero in prima persona o si schierarono su fronti opposti. Ma in
realtà, come sostengono Avagliano e Palmieri, per una generazione di
italiani cresciuta fin dalle aule scolastiche nel mito del duce e forgiata da
slogan fideisti, come il famigerato Credere obbedire combattere, l’adesione
alla Rsi e l’impegno nella guerra civile in molti casi fu una conseguenza
naturale e ovvia di quel percorso formativo.
Inoltre dal
saggio L’Italia di Salò emerge che la
gran parte dei combattenti della Rsi, fossero essi reclute dell’esercito
regolare formalmente apolitico o membri delle formazioni di partito fortemente
ideologizzate, venne impiegata prevalentemente nella guerra civile e contro il nemico
interno, e che i
vertici politico-militari della Rsi, il suo apparato burocratico-amministrativo
e molti uomini che militarono nelle sue forze armate e di polizia presero parte
al clima di violenza indiscriminata, sommaria e diffusa contro i partigiani e
la popolazione civile e all’opera di cattura e deportazione degli avversari
politici (i triangoli rossi) e degli ebrei.
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