sabato 20 agosto 2011

L'avventura di Ciceruacchio da carrettiere a eroe di piazza

di Mario Avagliano

È il 15 novembre del 1848. Sotto il Palazzo del Quirinale migliaia di romani inscenano una turbolenta manifestazione per chiedere "un ministro democratico, la costituente italiana e la guerra all'Austria". A guidarli è un carrettiere dagli occhi di fuoco, con la barba risorgimentale e qualche ricciolo ribelle, che di mestiere trasporta vino dai Castelli al porto di Ripetta e parla solo in romanesco. Si chiama Angelo Brunetti, anche se è conosciuto nei vicoli dell’Urbe come Ciceruacchio, ovvero cicciottello, il soprannome che gli ha affibbiato la madre fin da quando era piccolo e scorazzava nella polvere del rione popolare di Campo Marzio. La sua storia è stata raccontata da Claudio Modena nel bel libro Ciceruacchio. Angelo Brunetti, capopopolo di Roma, edito da Mursia (pagine 316, euro 20), che meritoriamente traccia un documentato profilo biografico dell’eroe, che fu mirabilmente interpretato da Nino Manfredi nella pellicola di Luigi Magni “In nome del popolo sovrano” (1990). - (Il Messaggero, 20 agosto 2011, pagina 1 e pagina 19)

Difficile dire quale sia stata la scintilla che infiammò l’animo di Ciceruacchio, spingendolo ad appassionarsi al sogno della Repubblica. Forse fu la presa di coscienza delle umili condizioni del popolo romano. Forse il desiderio di giustizia sociale e la volontà di emanciparsi. Fatto sta che il carrettiere, nato a Roma il 27 settembre 1800, fu presto conquistato dagli ideali risorgimentali, di cui si fece portavoce fra i popolani. Già nel 1837 finì nei registri della polizia dello Stato Pontificio, per la partecipazione al tentativo di sommossa di un gruppo di carbonari guidato da Benedetto Polvano.
Uomo semplice e schietto, dotato di grande carisma, di un’innata capacità dialettica e di una naturale eleganza nel vestire, Angelo Brunetti non fu sempre un mangiapreti. Anzi, come ricostruisce Claudio Modena, nel 1846 aveva accolto con entusiasmo la nomina di Papa Pio IX (al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti) e le sue caute aperture alle riforme, guidando varie manifestazioni popolari volte ad orientare in senso democratico la politica del nuovo pontefice e ad affrancarlo dalla reazionaria gerarchia del Vaticano.
Il feeling tra Ciceruacchio e Papa Mastai durò circa due anni. E in questo periodo Pio IX, pur legiferando con prudenza, blandì il popolo romano che lo spronava con grida di esortazione («Coraggio Santo Padre!»), alimentando così le speranze di chi, come l’abate piemontese Vincenzo Gioberti, prefigurava un'Italia federale guidata dal Santo Padre. Almeno fino al 1848, l’anno dei moti rivoluzionari. Quando a febbraio il Papa pronunciò l'allocuzione «Benedite, gran Dio, l'Italia», il movimento popolare di Ciceruacchio “impose” a Pio IX la concessione della Costituzione, l'arruolamento volontario per la guerra contro l'Austria e la partenza delle truppe agli ordini del generale Giovanni Durando. Ma poi il Papa fece marcia indietro e diede ordine alle truppe pontificie di fermarsi a Bologna.
A metà novembre, quando il nuovo presidente del governo pontificio Pellegrino Rossi venne assassinato dal figlio maggiore di Ciceruacchio, Luigi Brunetti, il Pontefice firmò un decreto con il quale si rimangiava tutto quello che aveva concesso nei mesi precedenti. La delusione di Ciceruacchio fu talmente cocente che si mise a capo dei tumultuosi movimenti di piazza che a fine novembre costrinsero Pio IX a lasciare Roma e ad andare in esilio a Gaeta.
Di lì a qualche mese sarebbe sorta la Repubblica romana, sotto il triumvirato di Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi. Angelo Brunetti ne fu uno dei protagonisti, ottenendo a furor di popolo la Costituente e organizzando animate adunate contro il Vaticano che spesso si concludevano con aggressioni a sacerdoti o assalti a chiese o conventi. Mazzini gli affidò il delicato compito di comandare i comitati per la difesa della Repubblica romana dalle aggressioni esterne. Anche Garibaldi rimase conquistato dal suo coraggio e dal suo spirito combattivo. Nel maggio del 1849, quando si trattò di organizzare la resistenza quartiere per quartiere, il Generale incaricò Ciceruacchio e i suoi popolani di requisire i confessionali dalle chiese capitoline per erigere le barricate contro i francesi.
L’avventurosa esistenza di Angelo Brunetti si concluse in Veneto, lontano dalla sua amata Roma, durante la ritirata di Garibaldi in direzione di Venezia, dopo la caduta della Repubblica ai primi di luglio del 1849. Il carrettiere romano, che era fuggito dalla capitale lasciandovi la moglie Annetta, fu catturato dagli austriaci e barbaramente fucilato a Porto Tolle (Rovigo) assieme ai figli Luigi e Lorenzo, di soli 13 anni, nella notte tra il 10 e l’11 agosto.
Come scrive Giulio Andreotti nella prefazione, “di personaggi come lui restano i monumenti, ma la tradizione orale non riserva loro tributi ed encomi». Anche il monumento a Ciceruacchio, per la verità, ha avuto una storia travagliata. Fu solo in occasione del decennale della morte di Garibaldi, nel 1892, che un comitato popolare, di cui era presidente Salvatore Barzilai e di cui faceva parte Luigi Cesana, direttore de "Il Messaggero", riuscì ad ottenere un monumento all’eroe scomodo che aveva osato sfidare l’autorità del Papa. La statua in bronzo di Ciceruacchio, opera dello scultore siciliano Ettore Ximenes, venne inaugurata nel 1907 sul lungotevere Arnaldo da Brescia, presso il ponte Margherita. Nel marzo scorso, in occasione delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, è stata trasferita al Gianicolo, luogo simbolo della Repubblica romana, accanto al viale intitolato al figlio Lorenzo.
La vicenda umana e politica di Ciceruacchio è la dimostrazione che il Risorgimento non fu opera soltanto di una minoranza illuminata di intellettuali, nobili e borghesi istruiti, ma un fatto di popolo. Nel Pantheon degli eroi dell’Unità d’Italia, merita un posto d’onore anche questo Masaniello romano del quale Felice Venosta già nel 1863 scriveva: "La memoria di lui vivrà eterna quanto il tempo. Roma, l'Italia, lo venereranno quale Martire; e siamo certi che quando sul Campidoglio sventolerà il tricolore vessillo e saranno infugati dal Vaticano i tristi corvi, Roma, decretando onore di epigrafi e di monumenti ai suoi Martiri, inciderà i nomi loro sulla pietra, e in cima a que' nomi sarà quello di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio".

(Il Messaggero, 20 agosto 2011, pagina 1 e pagina 19)

1 commento:

  1. Ciceruacchio è una figura particolare per il risorgimento. Si è sempre cercato di far passare il risorgimento per un moto popolare mentre senza l'esercito piemontese e soprattutto l'aiuto dell'esercito francese (lo stesso che pose fine alla repubblica romana); ma nonostante questo Ciceruacchio, che era l'unico eroe popolare del risorgimento assieme a Garibaldi, è caduto quasi nel dimenticatoio. Si accettava solo Garibaldi come padre della patria assieme a Vittorio Emanuele e Mazzini perchè comunque la spedizione dei mille la fece formalmente come suddito del re, così si poteva costruire la storia di una lotta di liberazione al tempo stesso popolare e monarchica.
    Ciceruacchio e la repubblica romana erano invece solo un problema per i savoia: il loro ricordo certo non aiutava i rapporti col pontefice, che già erano brutti di loro, in più la parola "repubblica" faceva venire l'orticaria a tutti i re.
    Invece fu l'episodio più bello e pulito del risorgimento, l'unico che non ha bisogno delle mitizzazioni create successivamente dalla scuola italiana con le sue piccole vedette lombarde. Mi resta sempre un forte dubbio su quanto la repubblica romana faccia realmente parte del risorgimento italiano e quanto della lotta contro il papa, nel senso che il fatto di cacciare il papa non significa che necessariamente la maggior parte del popolo romano capisse cosa fosse l'Italia o desiderasse farne parte, probabilmente si sarebbe accontentato anche di semplici riforme democratiche e migliori condizioni di vita per la plebe. Bisogna considerare anche che Roma faceva parte dello stato pontificio, e uno stato pontificio senza il papa non era pensabile, l'Italia quindi se si voleva cacciare il papa diventava una necessità altrimenti Roma sarebbe rimasta una piccola città stato senza alcuna forza per difendersi dai nemici.

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