lunedì 3 ottobre 2011

Shoah. Voci dal Ghetto.... La pubblicazione on line delle interviste della Shoah Foundation di Spielberg

di Mario Avagliano

Cosa accadrà dopo che l’ultimo testimone della Shoah sarà morto? I negazionisti avranno campo libero nel propagandare le loro false tesi, volte a minimizzare la persecuzione degli ebrei? Sarà oscurata la memoria di tragici eventi storici come la retata del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, di cui questo mese ricorre il 68° anniversario? L’intellettuale ebreo David Bidussa ha scritto per Einaudi un saggio su questo argomento, intitolato significativamente Dopo l’ultimo testimone. E ora dall’Archivio Centrale dello Stato arriva una risposta concreta al problema, con la pubblicazione on line delle 433 video-interviste in italiano (oltre un migliaio di ore di filmati) realizzate negli anni Novanta dalla Shoah Foundation Institute di Steven Spielberg, che ha raccolto complessivamente 52 mila testimonianze in 32 lingue e provenienti da 56 paesi.  -  (Il Messaggero, 2 ottobre 2011)


Un progetto straordinario denominato “Ti racconto la storia: voci dalla Shoah” e realizzato in collaborazione con la Direzione Generale per gli Archivi e il Laboratorio Lartte della Scuola Normale Superiore di Pisa, che è stato salutato con queste parole da Piero Terracina, ex deportato ad Auschwitz: “Ora finalmente sarà possibile trasmettere la memoria anche quando non ci saranno più testimoni”.
L’indirizzo del sito è www.shoah.acs.beniculturali.it e al database si accede mediante registrazione. La galleria delle testimonianze è impressionante e, oltre a documentare con nomi, fatti ed episodi la persecuzione degli ebrei italiani, ci restituisce, come spiega la responsabile del progetto Micaela Procaccia, “un ritratto inedito della vita delle comunità ebraiche dal 1918 al secondo dopoguerra, con notizie e ricordi sulle tradizioni popolari, le cerimonie religiose e i dialetti ebraici dell’epoca”. Si va da testimoni noti, come lo stesso Terracina e Settimia Spizzichino, a persone che hanno raccontato la loro vicenda per la prima volta, a casa propria, davanti alle telecamere della Shoah Foundation.

Una delle testimonianze più importanti dal punto di vista storiografico è quella di Shlomo Venezia, che durante la prigionia ad Auschwitz-Birkenau fu obbligato a lavorare nei Sonderrkommando, le unità speciali composte da deportati e destinate alle operazioni di smaltimento e cremazione dei corpi dei deportati uccisi mediante gas, i cui componenti venivano periodicamente eliminati dalle SS per mantenere il segreto circa la “soluzione finale” della questione ebraica. Venezia è uno dei pochi sopravvissuti - l'unico in Italia, una dozzina nel mondo - di queste speciali squadre.

Tra le storie più toccanti, vanno citate quelle della persecuzione a Roma, a cui appartengono “circa 180 degli intervistati, più di un terzo del totale, un numero proporzionale - spiega Micaela Procaccia - all’importanza della comunità ebraica romana in Italia”. Marina Anticoli Limentani, ad esempio, racconta l’episodio del 26 settembre 1943 del ricatto di Kappler alla comunità ebraica, con la richiesta di consegnare 50 chili d’oro in cambio della salvezza. “Io ero al Tempio – dice – aiutavo nella raccolta. Fu una cosa commovente, venne gente da tutte le parti di Roma. Anche una povera vecchietta che vendeva le castagne al di là del ponte: con le lacrime agli occhi si staccò gli orecchini e ce li diede, esclamando: ‘Vi voglio dare pure io un po’ d’oro, poveri figlietti’”. Settimia Spizzicchino, quando parla di Auschwitz, si emoziona e nasconde il volto alla telecamera.

Di grande interesse le testimonianze sulla maxi retata del 16 ottobre 1943 che, come attestano le interviste, non riguardò solo il Ghetto ma anche altri quartieri della capitale. Una giornata infausta per Roma, che fu però costellata anche da episodi di solidarietà da parte della popolazione. Marina Anticoli e la sorella, che abitavano in via Arenula, furono salvate da un vicino “fascista sfegatato”, Ferdinando Natoni: “Eravamo sulle scale, non sapevamo cosa fare. Due mani ci acchiapparono e ci portarono dentro casa, proprio mentre i tedeschi con i fucili spianati salivano le rampe. Quando vidi Natoni, io dissi a voce alta ‘Dalla padella nella brace’. Ma lui ci rassicurò: ‘Non dovete avere paura. Qualunque cosa succeda, voi siete figlie mie’”.

Rosetta Sermoneta Ajo e i genitori quella mattina si trovavano in via degli Scipioni, nel quartiere Prati. La portiera fascista, solerte, accompagnò da loro due soldati tedeschi armati di tutto punto: “Ci diedero un biglietto in cui c’era scritto di prendere le nostre cose e i gioielli e di fare prestissimo. I due soldati spalancarono tutte le porte, anche quelle dei bagni, tagliarono i fili del telefono e bucarono le ruote della bici”. Nel percorso da casa al camion, però, una piccola folla li circondò e li fece fuggire in un portone. “Qualcuno chiamò un taxi, che ci portò al Testaccio. Una cosa incredibile, era difficile trovarne allora. Chi ce lo mandò? Non l’ho mai saputo. Ma fu la nostra salvezza”.

I nove mesi di occupazione tedesca di Roma (settembre 1943-giugno 1944) furono terribili per gli ebrei. “Ricordo la fuga improvvisa da casa, il cambio del nome, la vita clandestina nascosti nell’appartamento di un amico di mia madre”, è il racconto di Marcello Alatri. I fascisti pagavano una taglia di 5 mila lire per ogni ebreo catturato e la capitale pullulava di spie e di delatori, compresa la famosa collaboratrice ebrea Celeste Di Porto che, come racconta Pacifico Di Consiglio, tradì tanti correligionari. Ma se tanti ebrei romani poterono sottrarsi alla cattura, fu grazie al coraggio dei loro concittadini, come la cattolica Giuliana Lestini, poi dichiarata Giusta fra le Nazioni, che – come racconta nell’intervista - nascose alcuni ebrei nella navata di una chiesa di Prati, murandoli dentro per impedirne l’identificazione. Un po’ la storia di Anna Frank, ma per fortuna con un lieto fine.

L’elenco dei romani coraggiosi sarebbe lunghissimo e di nomi e di storie dimenticate è ricco il database dell’Archivio Centrale dello Stato. Luisa Almagià, ad esempio, ricorda: “il Comitato di Liberazione nazionale, che ci fornì i documenti falsi, le suore del Convento della Madonna dei Sette Dolori, sotto al Gianicolo, che ospitarono 110 ebrei fino alla liberazione, e il professor Giovanni Borromeo e fra Maurizio, che nascosero molti ebrei al Fatebenefratelli”. “Non posso dimenticare le parole del professor Borromeo – rivela commossa - ‘I veri malati – disse - ora siete voi’”.


(Il Messaggero, 2 ottobre 2011)


Alcuni stralci delle video-testimonianzeShlomo Venezia: “Durante la prigionia ad Auschwitz-Birkenau fui obbligato a lavorare nei Sonderrkommando. Dovevo trasportare i corpi degli ebrei gasati nel forno crematorio n. 1. La prima volta che andammo lì, il capo ci disse di stare lontani dal caseggiato, ma noi ci avvicinammo lo stesso ad una finestra, curiosi di vedere cosa erano questi crematori. Vedemmo una stanza piena di cadaveri: teste, gambe, mani, piedi. Sulla faccia di ognuno di noi c’era il terrore. Non sapevamo darci pace”

Piero Terracina: “Fummo trasportati in ambulanza a Regina Coeli, al terzo braccio. Entrare in carcere a 15 anni è una cosa terribile, con la coscienza poi di non aver avuto nessuna colpa. Ricordo che eravamo faccia al muro, davanti all’ufficio matricola, e mio padre evidentemente aveva avuto la percezione del baratro sul quale eravamo sospesi e quindi ci chiese perdono e ci disse: ‘Ragazzi, può accadere di tutto! Ho una raccomandazione da farvi: non perdete mai la dignità di esseri umani’”.

Settimia Spizzichino: “Quando i tedeschi ci presero la mattina del 16 ottobre, mio padre e mia madre erano imbambolati, io invece ero tranquilla, facevo coraggio a loro e ai miei familiari. Poi quando siamo arrivati ad Auschwitz, sono crollata. Mi sentivo male, ebbi disturbi. Fin da subito avevo intuito le sofferenze a cui andavamo incontro. Mia madre mi disse: ‘Che vuoi che sia… Mica ci ammazzeranno! Invece ci hanno proprio ammazzato. Sono tornata solo io da quell’inferno….”

Marina Anticoli: “Il 26 settembre 1943, quando Kappler ricattò la comunità ebraica, con la richiesta di consegnare 50 chili d’oro in cambio della salvezza, io ero al Tempio. Aiutavo nella raccolta. Fu una cosa commovente, venne gente da tutte le parti di Roma. Si presentò anche una povera vecchietta che vendeva le castagne al di là del ponte: con le lacrime agli occhi si staccò gli orecchini e ce li diede, esclamando: ‘Vi voglio dare pure io un po’ d’oro, poveri figlietti’”.

Rosetta Ajo: “Quella mattina del 16 ottobre 1943 io e i miei genitori eravamo a casa nostra, in via degli Scipioni, nel quartiere Prati. Intorno alle sette arrivarono due soldati tedeschi. Ci diedero un biglietto in cui c’era scritto di prendere le nostre cose e i gioielli e di fare prestissimo. Spalancarono tutte le porte, tagliarono i fili del telefono e bucarono le ruote della bici. Nel percorso da casa al camion, però, una piccola folla ci circondò e ci fece fuggire in un portone. Qualcuno chiamò un taxi, che ci portò al Testaccio. Chi ce lo mandò? Non l’ho mai saputo. Ma fu la nostra salvezza”.

Luisa Almagià: “Trovammo tanta solidarietà tra i romani. Per un periodo ci nascondemmo all’ospedale Fatebenefratelli, grazie all’aiuto del professor Giovanni Borromeo e di fra Maurizio. Non posso dimenticare le parole del professor Borromeo: ‘I veri malati – ci disse - ora siete voi’. Poi il Comitato di Liberazione nazionale ci fornì documenti d’identità falsi e ci indirizzò dalle suore del Convento della Madonna dei Sette Dolori, sotto al Gianicolo, che ci ospitarono assieme ad altri 110 ebrei fino all’arrivo degli Alleati, il 4 giugno del 1944”.

L'intervento di Piero Terracina alla presentazione dell'iniziativa

Nessuno di noi mortali, per fortuna, sa quanto tempo gli resta da vivere. Il giovane non ci pensa, non ci deve pensare: ha davanti tutta la vita. L'anziano dovrebbe ugualmente vivere sereno fino alla fine dei suoi giorni ma ha delle incombenze di cui tener conto; ad esempio, per chi li ha, dividere i beni tra gli eredi, fare testamento… ma, assolto il compito, non resta che condurre la propria vita in pace con se stessi, sia per aver assolto anche gli ultimi doveri, sia per proseguire il proprio cammino senza pensare troppo alla fine che ineluttabilmente dovrà arrivare.

Per noi sopravvissuti ai campi di sterminio però, c'è un però. Già da molti, anni fin da quando ero ancora in attività lavorativa, che del resto ho lasciato soltanto tre anni fa e non pensavo minimamente alla fine, c'era qualcuno che sentiva il bisogno di ricordarcela.

Giornalisti, scrittori, storici, conoscenti, si chiedevano e ci chiedevano: "Come sarà possibile trasmettere la memoria quando non ci saranno più i testimoni, quando, tra poco, non ci sarete più voi testimoni? ", pronosticando la nostra prossima scomparsa.

Non nego che tale modo di esprimersi su questo, sia pure importante argomento, mi abbia dato un po' fastidio. Era un "crescendo", una specie di ritornello tanto che, ad un certo punto, ho inteso la necessità di replicare con una lettera, un po' ironica, al mensile della Comunità Ebraica Shalom che concludevo con queste parole: "E' certo, anche noi dovremo morire, sappiate però che lo sappiamo".

Per fortuna, oltre a tanta gente che poneva la domanda sul dopo di noi ma che non dava e non si dava nessuna risposta, per garantire alle future generazioni e agli studiosi la trasmissione della nostra testimonianza, c'è stato chi ha cercato ed ha trovato il modo di dare quella risposta, ed ha lavorato piuttosto che fare proclami; da qui è nato il tesoro inestimabile che la tecnologia ci permetterà di trasmettere con la più grande raccolta esistente di interviste audiovisive; oggi tutti sappiamo che sono circa 52.000, raccolte in 70 paesi e in 32 lingue diverse, di cui 430 di uomini e donne italiani.

Attraverso le testimonianze rilasciate alla Shoah Foundation emergono i molteplici aspetti della realtà dei Lager. Io stesso ricordo che quando mi intervistarono parlai diffusamente dello sterminio degli zingari a Auschwitz al quale non assistetti perché era notte e di notte era vietato uscire dalle baracche (c'era il coprifuoco), ma sentii tutto.

Nella testimonianza in video l'utente ha (e avrà) davanti a sé i testimoni che, sollecitati dagli intervistatori, mostrano le loro emozioni e sentimenti che si trasmettono a chi vede e ascolta; e questo, anche nel lontano futuro se i supporti magnetici come spero non si deterioreranno. Sarà quindi importante la manutenzione, a meno che la tecnologia, che fa continui progressi, non consenta di mantenere anche nel lungo periodo le testimonianze raccolte e finora ben conservate.

E’ significativo che nel 2006 la Fondazione Spielberg abbia cambiato il proprio nome in “Istituto per la storia e l’educazione visiva”.

Il nuovo nome riflette un obiettivo più ampio: prevalere sui pregiudizi, l’intolleranza, gli integralismi e le sofferenze (…) attraverso l’uso, come strumento educativo, delle testimonianze di storia visiva dell’Istituto.

Questa puntualizzazione, che ho letto in citazione, appare importante alla luce delle recenti o ricorrenti polemiche sulla mancata o inadeguata inclusione di tutte le voci di memoria della immane tragedia di cui sono stato giovane vittima allora e oggi consapevole testimone. Certamente la Shoah non è stato l’unico crimine del Novecento ma sicuramente è stato il più terribile non solo per le dimensioni ma anche per il modo come è stato ideato e realizzato. Alla conoscenza storica non si risponde con l’atto di quel funzionario francese che ha interdetto mediante una circolare l’uso della parola «Shoah» nelle scuole.

Dal continuo incontro con i giovani, quale testimone della Shoah, ho tratto una certa familiarità con la tecnologia, che procura invero qualche angustia ai miei coetanei. Mi riprometto da oggi di saper proporre ai giovani e ai docenti che incontro di imparare a fruire di questa biblioteca che si annovera tra le più grandi biblioteche video-digitali al mondo.

Ecco, ora hanno finalmente una risposta coloro che con apprensione, affetto, amicizia, smarrimento si chiedevano “Come sarà possibile trasmettere la memoria quando non ci saranno più i testimoni”. Da oggi sarà possibile.

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