venerdì 8 aprile 2011

Il giusto Gino Bartali, una pedalata verso la libertà

di Mario Avagliano

Un nuovo albero di carrubo potrebbe essere presto piantato nel giardino del Museo Yad Vashem di Gerusalemme, in cui vengono celebrati i Giusti della Shoah. In onore di Gino Bartali, classe 1914, originario di Ponte a Ema, frazione di Firenze. Questa volta non per le sue imprese sportive (nella sua leggendaria carriera ha vinto tre Giri d’Italia e due Tour de France), ma per aver aiutato centinaia di ebrei tra Toscana e Umbria durante la seconda guerra mondiale, salvando un’intera famiglia dalla deportazione ad Auschwitz.
Una  testimonianza da Israele del fiumano Giorgio Goldenberg, raccolta dal periodico Pagine Ebraiche, svela che il popolare Ginettaccio e il cugino Armandino Sizzi nella primavera-estate del 1944 nascosero per alcuni mesi a Firenze, nella cantina di una casa in via del Bandino, di loro proprietà, i quattro componenti della famiglia Goldenberg (padre, madre e due bambini, Giorgio e Tea), sottraendoli all’arresto da parte dei nazisti.
Bartali era già stato insignito nel 2006 della medaglia d’oro al valor civile alla memoria dal presidente della Repubblica Ciampi per meriti extrasportivi. Finora era nota la sua azione di corriere per una rete clandestina messa in piedi dall’ebreo pisano Giorgio Nissim. Il ciclista toscano fingeva di allenarsi per le grandi corse a tappe che sarebbero riprese dopo il conflitto ma in realtà trasportava documenti falsi, celati nel sellino della bicicletta, per circa 800 ebrei nascosti in case e conventi tra Toscana e Umbria. Centinaia di km percorsi in bici avanti e indietro, da Firenze ad Assisi, per “consegnare” nuove identità alle famiglie ricercate con feroce determinazione dai fascisti della RSI e dai nazisti.
Nulla si sapeva di un suo coinvolgimento ancora più diretto nell’opera di salvataggio dei perseguitati. Il racconto di Giorgio Goldenberg a Pagine Ebraiche ci restituisce dettagli inediti della generosità e del coraggio di questo campione. I Goldenberg, originari di Fiume, nei primi anni Quaranta si erano trasferiti a Fiesole, sulle colline che sovrastano Firenze, entrando in amicizia con  Gino Bartali e suo cugino Armandino. Come tutti gli ebrei, erano sottoposti al duro regime di restrizione dei diritti imposto dalle leggi razziali volute da Mussolini nel 1938. A Giorgio era vietato frequentare la scuola statale e quindi lui e la sorellina erano iscritti alla scuola autogestita dalla comunità ebraica.
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi occuparono il Centro-Nord dell’Italia. Tra ottobre e novembre le SS naziste avviarono le prime retate di ebrei a Firenze, a Roma e in altre città, caricando intere famiglie su vagoni piombati destinati all’inferno del lager di Auschwitz, in Polonia, dove la maggior parte di loro morì nelle camere a gas oppure di malattie o stenti. Una politica di persecuzione avallata da Mussolini e dalla nascente Repubblica Sociale. Il 30 novembre l’ordine di polizia numero 5, emanato dal neo ministro dell’Interno della RSI Guido Buffarini Guidi, annunciò che tutti gli ebrei  “sarebbero stati arrestati e inviati nei campi di concentramento”.
La vita dei Goldenberg era in pericolo. Le pene per chi aiutava gli ebrei erano assai severe. Gino, diventato da poco padre del piccolo Andrea, era nel mirino dei capi del fascio fiorentino e sottoposto a sorveglianza, poiché sospettato di attività antifasciste. Ciò nonostante non esitò a nascondere gli amici fiumani nello scantinato di uno stabile di via del Bandino, in zona Gavinana. “La cantina – spiega Giorgio nella sua testimonianza – era molto piccola. Una porta dava su un cortile ma non potevo uscire perché avrei corso il rischio di farmi vedere dagli inquilini dei palazzi adiacenti. Dormivano in quattro in un letto matrimoniale: io, il babbo, la mamma e mia sorella Tea. Non so dove i miei genitori trovassero il cibo. Ricordo solo che il babbo non usciva mai da quella cantina mentre mia madre usciva con due secchi a prendere acqua da qualche pozzo”.
I Goldenberg restarono in quello scantinato fino al 10 agosto 1944, quando Firenze fu liberata dagli Alleati. Il caso volle che la prima visione di libertà avesse le sembianze di un soldato inglese della Brigata Ebraica: “Mi ricordo – dice Giorgio – che tutti gridavano che erano arrivati gli inglesi e io uscii per vedere. Così vidi un soldato inglese con la scritta Palestina e con la Stella di Davide cuciti sulle spalle, mi avvicinai e mi misi a canticchiare la Hatikwa (l’inno del futuro Stato di Israele, ndr). Lui mi sentì e si rivolse a me in inglese. Tornai di corsa in cantina, chiamai il babbo che uscì e cominciò a parlargli in yiddish. In quel momento capii che eravamo liberi”.
Giorgio Goldenberg, che oggi ha 78 anni e vive a Kfar Saba, in Israele, è pronto a fornire una versione scritta dei suoi ricordi da inviare allo Yad Vashem. “Gino e Armandino - dice - sono due eroi della Resistenza a cui devo la vita. E’ davvero il minimo che possa fare”. Parole che commuovono il figlio del grande campione, Andrea Bartali, presidente e anima della Fondazione Gino Bartali onlus: “È una notizia bellissima che dimostra ancora una volta il grande cuore di mio padre e che spero ci aiuti a piantare questo benedetto albero in Israele”. Il 485° albero dedicato a un giusto italiano.

Mario Avagliano © Copyright

2 commenti:

  1. Mario, sai che a Milano esiste l'unico Giardino dei Giusti italiano? Sarebbe bellissimo che Gino Bartali venisse ricordato con un albero.
    In ogni modo è un bellissima notizia
    Manuela Valletti

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