martedì 26 luglio 2011

"La libertà si chiama Jaipur" - In fuga da Mussolini per diventare consigliere del Maharaja delle Indie

di Mario Avagliano

Negli anni della persecuzione razziale non c’era pace per gli ebrei italiani neppure in India. Lo dimostra la storia di Gabor Dessau, italiano di religione ebraica, nativo di Perugia, laureato in ingegneria mineraria nell’Università di Roma nel 1929, docente di Giacimenti Minerari al Politecnico di Torino. La sua singolare vicenda è stata narrata dalla nipote Gabriella Steindler Moscati, professore associato di lingua e letteratura ebraica all’Orientale di Napoli, dopo anni di ricerche negli archivi di mezzo mondo, nel libro «La libertà si chiama Jaipur. Dalle leggi razziali alla corte del Maharaja. Le vicende di un ebreo italiano nella II guerra mondiale» (edizioni Mimesis, pp.250, euro 16).
Zio Gabor era un tecnico assai brillante e nel ’37 era stato assunto in qualità di ingegnere capo all’Ispettorato generale Minerario per l’Africa orientale Italiana. Il 17 novembre 1938 il suo tranquillo percorso esistenziale veniva sconvolto dalle leggi per la difesa della razza emanate dal governo fascista, che stabilivano l’allontanamento di tutti i cittadini ebrei dagli enti pubblici e l’esclusione dall’insegnamento.
Per sfuggire alle persecuzioni, nel ’39 Gabor decise di partire per l’Eritrea, dove prima lavorò per la società privata “Rimifer” di Genova, che richiese la sua collaborazione per l’esplorazione dei giacimenti ferrosi situati sul Monte Tulului, e poi nel ‘41 si trovò nella surreale condizione di essere “impiegato” per l’esercito di Mussolini in Eritrea: abbastanza italiano per essere aggregato all’esercito, ma non abbastanza, considerate le leggi razziali, per fare il soldato.
Era tuttavia abbastanza italiano per essere catturato dagli inglesi come “nemico” e finire in un campo di prigionia di Sua Maestà Britannica, prima a Porto Sudan in Egitto e poi a Latrun in Palestina. Di qui, nell’agosto 1941, attraverso una serie di traversie, finirà in India, nel campo di prigionia di Bairagarh, lasciato dagli inglesi in mano ai fascisti, dove viene costretto ad ascoltare un convegno sulla “Psiche giudaica”, nel quale l’oratore tuona: “L’ebreo è il principale colpevole della decadenza e della rovina della coscienza classica in Europa e nel mondo…”. “Ci risiamo! I fascisti, anche qui! Non ne posso più”, si sfogherà con gli amici.
Anche in India subisce discriminazioni e vessazioni per motivi razziali, tanto da chiedere di essere chiuso in cella di isolamento o di essere trasferito. Finché gli inglesi non lo inviano nello Stato del Jaipur, dove diventa l’esperto minerario del Maharaja di Jaipur, la celebre “città rosa” del Rajasthan, godendo di libertà e prestigio. Una storia a lieto fine, nella quale riecheggia qualcosa di molto antico, raccontato nella Torah, cioè l'episodio di Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli e poi assurto agli onori della corona egizia.

(Shalom, n. 7, luglio-agosto 2011, pagina 35)

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