Memorie rimosse
di Andrea Rossi
Tornano alla mente i ricordi di quei giorni: sono, nel mio caso, memorie d’infanzia che riportano dettagli sgradevoli, ben lontani dalla retorica del “tutti insieme contro il terrorismo” che molti, in modo posticcio, hanno appioppato a quella stagione triste e sanguinosa. Forse solo Mario Calabresi, il figlio del commissario Luigi (1937-1972), è riuscito in tempi recenti a rendere bene il clima di quegli anni tutt’altro che fantastici. Per quanto mi riguarda ho in mente il discorrere sottovoce in famiglia sul fatto che la squadra politica della Questura, la Digos, sorvegliava in borghese l’entrata e l’uscita dei dirigenti del petrolchimico ferrarese, dove mio padre era responsabile del laboratorio di ricerche, nel concreto timore che si potessero verificare azioni terroristiche.
Già: perché non morivano ammazzati solo poliziotti, magistrati, politici e giornalisti, ma anche dirigenti d’azienda. Cercando notizie nel sito Internet che a questi uomini e donne è stato dedicato, ne ho individuati diversi, quasi una ventina, tutti morti fra il 1978 e il 1981. Uomini perbene, scomparsi nella nebbia del tempo e che non dicono più nulla a nessuno nell’Italia di oggi: Piero Coggiola (1932), dirigente della Lancia di Chivasso (Torino), ucciso nel 1978; Carlo Ghiglieno (1928), dirigente della Fiat, assassinato nel 1979. Poi i nomi che ci toccarono da vicino, perché erano uomini che lavoravano per la Montedison, la stessa azienda di mio padre: Silvio Gori, detto Sergio (1932), dirigente ammazzato a Porto Marghera (Venezia) nel 1980, e Giuseppe Taliercio (1927), rapito, seviziato e ucciso un anno dopo. Sarà per i ricordi poco lieti sopra esposti, e forse per limiti personali, che non mi è mai riuscito di trovare nulla di salvabile del bagaglio di cascami ideologici del cosiddetto “movimento del ’77”, stagione in cui creatività e violenza politica andarono talmente a braccetto da essere le due facce di una stessa medaglia (...)
CULTURA E IDENTITA' N. 1/2009
di Andrea Rossi
(...) Ci sono luoghi della memoria che sono figli di un Dio minore. Chi conosce, almeno superficialmente Roma, sa bene che via Caetani è poco più di un vicolo, perpetuamente intasato da autovetture male posteggiate. La lapide dedicata ad Aldo Moro (1916-1978) è in genere occultata da camioncini o da transenne. Viene da chiedersi se altri dolorosi luoghi della memoria nazionale, come la sala d’attesa della stazione di Bologna, fossero trattati con identico disdoro, chissà che cosa accadrebbe. Senz’altro fior di intellettuali, stracciandosi le vesti, scriverebbero ispirate e pensose considerazioni sull’assenza delle istituzioni e lo scarso senso civico nazionale. In realtà via Caetani è fra tutte le memorie minori, quella meglio trattata; altre persone perbene sono morte durante gli “anni di piombo”, e non esistono cippi a rammentarne l’esistenza e la tragica fine.
Tornano alla mente i ricordi di quei giorni: sono, nel mio caso, memorie d’infanzia che riportano dettagli sgradevoli, ben lontani dalla retorica del “tutti insieme contro il terrorismo” che molti, in modo posticcio, hanno appioppato a quella stagione triste e sanguinosa. Forse solo Mario Calabresi, il figlio del commissario Luigi (1937-1972), è riuscito in tempi recenti a rendere bene il clima di quegli anni tutt’altro che fantastici. Per quanto mi riguarda ho in mente il discorrere sottovoce in famiglia sul fatto che la squadra politica della Questura, la Digos, sorvegliava in borghese l’entrata e l’uscita dei dirigenti del petrolchimico ferrarese, dove mio padre era responsabile del laboratorio di ricerche, nel concreto timore che si potessero verificare azioni terroristiche.
Già: perché non morivano ammazzati solo poliziotti, magistrati, politici e giornalisti, ma anche dirigenti d’azienda. Cercando notizie nel sito Internet che a questi uomini e donne è stato dedicato, ne ho individuati diversi, quasi una ventina, tutti morti fra il 1978 e il 1981. Uomini perbene, scomparsi nella nebbia del tempo e che non dicono più nulla a nessuno nell’Italia di oggi: Piero Coggiola (1932), dirigente della Lancia di Chivasso (Torino), ucciso nel 1978; Carlo Ghiglieno (1928), dirigente della Fiat, assassinato nel 1979. Poi i nomi che ci toccarono da vicino, perché erano uomini che lavoravano per la Montedison, la stessa azienda di mio padre: Silvio Gori, detto Sergio (1932), dirigente ammazzato a Porto Marghera (Venezia) nel 1980, e Giuseppe Taliercio (1927), rapito, seviziato e ucciso un anno dopo. Sarà per i ricordi poco lieti sopra esposti, e forse per limiti personali, che non mi è mai riuscito di trovare nulla di salvabile del bagaglio di cascami ideologici del cosiddetto “movimento del ’77”, stagione in cui creatività e violenza politica andarono talmente a braccetto da essere le due facce di una stessa medaglia (...)
CULTURA E IDENTITA' N. 1/2009
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