martedì 4 ottobre 2011

Già vinti nel cuore. Un carteggio famigliare (1936-1944)... per comprendere la storia d'Italia

“Già vinti nel cuore. Un carteggio famigliare (1936-1944)", Solfanelli Editore (pagine 281, euro 20), a cura di Francesco Mancini, è una raccolta di  lettere e brani di diario in cui viene tracciato lo spaccato  di una generazione di italiani cresciuta sotto il fascismo ed andata in guerra. Pagine scritte da due fratelli, Armando e Antonio Mancini, figli del Podestà di un piccolo paese dell'Abruzzo. Pagine per lo più casalinghe, a volte poetiche, romantiche, a volte riflessive, amare. Ovviamente  destinate a rimanere segrete. Insomma carte privatissime,  scritte  senza il senno di poi,  che documentano però eventi storici straordinari. Che possiamo leggere, al di là delle ideologie,  delle  storie divise dell'Italia degli anni Quaranta, di quei tempi dalla memoria ancor oggi  tormentata.

Armando, il minore, allo scoppio della 2° guerra mondiale  insegna a Pescara. Professore a 21 anni, vincitore dei Littoriali del fascismo, si arruola volontario nei battaglioni del GUF. “Atleta filosofo” lo chiamano i commilitoni. Convinto della vittoria anche dopo la caduta del Duce, l’8 settembre ‘43 però combatte i tedeschi a Coo, a fianco degli inglesi contro cui era andato a far la guerra.  Nel libro si cerca di capire come mai lo fece, il perché della sua scelta, che rapporto c’era in lui tra fascismo e amor di Patria, quali idee avesse veramente, quali avesse cambiate. Ai nostri militari che resistono agli attacchi tedeschi, gli ex alleati non facevano scrivere l’ultima lettera dei condannati a morte.  Poco o nulla si sa perciò dei suoi ultimi  tragici giorni. Per cercare una spiegazione, s’è dovuto scavare nella sua storia.
Antonio, il maggiore, è diverso per carattere e formazione. Non è fascista, e dopo mille mestieri, s’è fatto notare in alto. Negli anni ’40 è a Pesaro, alla Scuola d’Artiglieria, avviato a una promettente carriera. Ma dentro di sé è contrario alla guerra. Anche nel suo comportamento c’è qualcosa da spiegare: infatti  va controcorrente, volontario in Corsica, a luglio ’43, quando molti pensano che la guerra è perduta, e tutti tornano.

EVENTI STRAORDINARI.  A Coo, nel mare Egeo, i tedeschi nell’ottobre ’43 compiono il più grave eccidio – dopo Cefalonia - di ufficiali italiani di tutta la seconda guerra mondiale. Armando, giovane comandante della 51^ batteria di mortai da ’81, resiste ad   oltranza.   Scompare   inghiottito   dalla   storia,  mitragliato, fucilato, fatto affogare, non s’è mai saputo come. Il suo corpo le sue cose, non sono mai stati trovati.
In Corsica Antonio, in quei giorni, resiste ai tedeschi. Lì  gli italiani battono un’intera Divisione corazzata delle SS. Fatti  storici, che pochissimi sanno,  e che quasi nessuno ricorda.

"TESTIMONI DI SPERANZA".
Li definisce lo storico Lorenzo Ornaghi. E infatti di valori cristiani, civili, furono testimoni. Fusi in un intenso, singolare  patriottismo cattolico. In pace e in guerra,  gli stessi valori permisero a tre ragazzi di paese, d’una regione allora isolata ed arretrata, di vincere  avversità che apparivano insormontabili. Nati da una famiglia di piccoli possidenti che  la crisi economica degli anni ’30 mette sul lastrico, sono costretti prestissimo a lavorare ed a lasciare la scuola. Studiano da autodidatti, s’arrangiano, si fanno valere. Superano la caduta  sociale. E quando hanno raggiunto il loro modesto sogno,  una vita  da insegnanti, da impiegati, una più grande catastrofe, la guerra,  ne travolge le vite.

IL CROLLO DEL ’43. I tre fratelli (il terzo era Luigi, di cui però rimangono purtroppo poche lettere) erano partiti con  idee diverse sul fascismo  e sulla guerra. L’8 settembre l’Italia crolla, l’esercito, abbandonato, si dissolve.  “Tutti a casa”. Loro no. Resistono, dimostrano che ci si può sentire vinti, senza arrendersi.  Reagiscono. Due sopravvivono. Dopo aver combattuto, Antonio Mancini per più di un anno rimane isolato. E’ disperso, creduto morto. Il suo diario segreto diventa il viaggio interiore d’un Orfeo cattolico, alla ricerca del suo amore irraggiungibile, nell’Italia infernale del ’44. Ci rivela le passioni, i sentimenti, le speranze di giovani d’estrazione rurale e cattolica, diversi da quelli che nel nostro immaginario sono i protagonisti di quei giorni, i fascisti i  partigiani. Ci mostra che in quella guerra sbagliata, in cui si parte convinti come Armando o al contrario  “Già Vinti nel Cuore” come Antonio, non vi furono solo le privazioni, i lutti, ma anche la tragedia spirituale dell’Italia  sconfitta. Ciò di cui per vergogna o per dolore, non si parlò. Antonio che non s’era illuso, né credeva nel fascismo,  pensando all’8 settembre del 1943,  non scrive di  pace e di libertà, ma piange l’“enorme sventura della Patria”. Non ne parlerà mai, affidando a queste carte riposte la sua sofferenza, la  terribile lezione del totalitarismo, il germoglio della democrazia.

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