di Mario Avagliano
Ci sono eventi tragici della storia d’Italia i cui contorni e i cui responsabili restano ancora oscuri, avvolti dal mistero. Uno di questi è la strage di Piazza Fontana, a Milano, nella sede della Banca dell’Agricoltura, il 12 dicembre 1969. Un attentato che provocò 17 morti e decine di feriti e che, a distanza di 42 anni, non finisce di lasciare sgomenti e di suscitare pesanti interrogativi. Chi volle e chi progettò quella strage, e con quali propositi? E come mai da quel momento in poi, in pieno clima di guerra fredda, per un terribile quinquennio, dal 1969 al 1974, si verificarono in Italia ben 4.000 attentati e sei stragi, con un bilancio di 50 morti e di circa 2.700 feriti?
Marco Tullio Giordana, regista di pellicole cult come “I cento passi” e “La meglio gioventù”, ha terminato da poco le riprese del film “Romanzo di una strage”, che affronterà quella vicenda e le storie connesse, come la morte di Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi, con un cast tutto italiano (tra gli altri Piefrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Valerio Mastrandrea e Laura Chiatti), la sceneggiatura di Rulli e Petraglia e l’intento, come afferma il produttore Riccardo Tozzi, di “raccontare l'indicibile, cioè una di quelle verità fondamentali che in genere in Italia vengono coperte da altro".
In attesa che il film di Giordana arrivi nelle sale, il prossimo 3 novembre esce in libreria un saggio che farà discutere, già dal titolo: “Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione” (Lindau, pagine, euro 22). A firmarlo è lo storico Massimiliano Griner, milanese, grande esperto dei movimenti della destra estrema e neofascista, già apprezzato autore di studi monografici sulla banda Koch e sui volontari fascisti in Spagna. Griner, sulla base di un lungo lavoro di scavo negli archivi e di rigorosa analisi delle testimonianze dei protagonisti (in molti casi raggiunti anche in carcere e nuovamente intervistati), prova a districare la complessa matassa di quel periodo storico, proponendo una lettura controcorrente dei fatti.
L’interrogativo centrale del saggio è quanto fondamento abbia la ricostruzione “ufficiale” della strage e degli eventi successivi (che Griner definisce “l’interpretazione canonica”), secondo cui i sanguinosi attentati di quel quinquennio si inquadrano in una spasmodica strategia della tensione da parte di pezzi dello Stato e dei servizi deviati volta a destabilizzare la situazione politica italiana e a minare la credibilità delle istituzioni democratiche, “al fine di instaurare un regime autoritario, se non una vera e propria dittatura militare”.
In quegli anni il clima internazionale era cupo. Tra il 1960 e il 1973 si verificò la più intensa serie di colpi di stato della storia moderna, dalla Turchia alla Grecia, dal Cile all’Africa. Ma in Italia perché esponenti di governo come Andreotti, Fanfani o Rumor, che appartenevano a una inossidabile classe di governo, che non prevedeva ricambio dalle elezioni del 1948, si sarebbero compromessi in attività eversive contro istituzioni che già incarnavano a tutti gli effetti? Lo storico milanese, citando atti e documenti, osserva che il loro coinvolgimento non è stato mai provato e che nei rapporti riservati non esistono tracce neppure di una regia occulta da parte di Washington. Al contrario gli Usa fecero sempre di tutto per “stabilizzare” la situazione italiana, beninteso tenendo fuori il Pci dalla stanza dei bottoni.
Nella sua ricostruzione, Griner non nega i depistaggi ad opera della polizia, dei servizi segreti e in qualche caso anche della magistratura, né mette in discussione l’esistenza di Gladio. Per lo storico milanese, tuttavia, la chiave di volta della verità si trova nell’analisi delle vicende e delle finalità del neofascismo italiano. Una galassia politica che, ad avviso di Griner, in gran parte non era filoamericana o al servizio della causa atlantica, ma coltivava intenti rivoluzionari e di rovesciamento dello Stato. Lo storico milanese cita Franco Freda e la sua orgogliosa rivendicazione del metodo della violenza (“Entro i limiti umani di un miliziano, la mia milizia politica ha cercato di attuare ciò che il sentimento del mondo in cui mi riconosco suggeriva”) e elencando fatti e circostanze sostiene che in quegli anni i neofascisti non siano stati una “manovalanza strumentalizzata” da pezzi dello Stato e servizi segreti, ma abbiano giocato “quasi sempre” una partita autonoma contro il sistema.
Le conclusioni del libro sono destinate ad aprire un acceso dibattito a livello storiografico. Per Griner il fine degli attentati del 12 dicembre non era spostare a destra il baricentro del Paese, né stabilizzare il regime democratico od ostacolare le rivendicazioni operaie dell’Autunno caldo. E non ci fu alcun legame tra gli attentati e il golpe Borghese, che anzi subì un ritardo di un anno a causa della strage. Il vero obiettivo di Piazza Fontana e delle altre stragi era la disintegrazione del sistema e la rivoluzione fascista, come sognavano dall’altra parte della barricata, e con diverso esito politico, i brigatisti rossi. Solo se si comprende questo, afferma Griner, si farà finalmente giustizia. E ci sarà qualche mistero in meno nella storia d’Italia.
(Il Messaggero, 21 ottobre 2011)
Nessun commento:
Posta un commento