di Mario Avagliano
Primo Levi scriveva che “spaventa il pensiero di quanto potrà accadere quando tutti i testimoni saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera, potranno affermare o negare qualsiasi cosa”. Ma se il presunto falsario è un testimone dell’epoca, come si fa a discernere tra realtà e invenzione? L’interrogativo è legittimo, alla luce del caso scoppiato in Inghilterra, dove Mr Denis Avey, un arzillo novantatreenne, veterano della seconda guerra mondiale, che vive nel Derbyshire, ha rivelato che nel 1944, dopo essere stato catturato in Nord Africa dai tedeschi e spedito in un campo di lavoro per prigionieri di guerra vicino ad Auschwitz, consegnò la sua uniforme inglese a un deportato ebreo olandese e si fece passare per lui.
Denis entrò così per qualche giorno nel lager simbolo dell’Olocausto, vedendo con i suoi occhi le ciminiere dei forni crematori, i cadaveri ammassati nel cortile e le condizioni miserevoli in cui si trovavano gli ebrei e gli altri prigionieri del campo, ascoltando i loro gemiti e urla di disperazione, mangiando la zuppa di cavolo marcio servita dagli aguzzini tedeschi e dormendo nei letti a castello infestati dai pidocchi.
“Quando milioni di persone avrebbero dato qualsiasi cosa per uscirne, lui, coraggiosamente, vi fece ingresso, per testimoniare un giorno la verità”, ha scritto il giornalista della BBC Rob Broomby, che nel novembre 2009 ha raccolto per primo la storia di Denis, in un’intervista televisiva esclusiva. Grazie a lui il veterano inglese ha potuto incontrare a Londra Susanna Lobethal, la sorella di un giovane ebreo di origine polacca, Ernst, che aiutò a scampare alla morte, facendogli avere le sigarette inviategli dalla stessa Susanna tramite la Croce Rossa Internazionale, merce rara e preziosa durante la prigionia, che poi Ernst scambiò con scarpe e generi di sussistenza.
Il libro che narra la vicenda di Denis, scritto quattro mani col giornalista della BBC, è stato pubblicato in Inghilterra nel luglio 2011 ed è subito balzato al primo posto dei libri più venduti su Amazon. I suoi diritti sono stati acquistati in dodici nazioni e il 3 novembre uscirà anche in Italia, per i tipi della Newton Compton, con il titolo Auschwitz. Ero il numero 220543 (288 pagine, 12,90 euro).
La storia di Denis Avey è di profonda compassione e di eroismo mozzafiato. Nato nel 1919 nella campagna dell’Essex, fuori Londra, Avey si arruolò volontario a vent’anni nella 7ª Divisione britannica, i cosiddetti Desert Rats, e fu mandato in Egitto. Catturato in Libia, vicino Tobruk, dall’Afrika Korps di Rommel, finì dopo varie peripezie nel campo E715 in Polonia. Lì nel 1944, durante le ore diurne, lavorava come operaio in una fabbrica tedesca insieme ai detenuti del campo vicino, chiamato Auschwitz. Inorridito dai loro racconti, decise di scoprire qualcosa in più e trovò il modo di entrare per due volte in quell’inferno, scambiandosi di posto con un deportato ebreo dal fisico simile al suo e tornando poi indietro nel suo campo.
La prefazione del libro-memoria di Avey è firmata dal celebre storico britannico Sir Martin Gilbert. Il veterano inglese è stato definito “un uomo di una tempra morale indistruttibile” dal corrispondente del New York Times e vincitore del premio Pulitzer, Henry Kamm. Nel marzo del 2010, con una cerimonia presso Downing Street, è stato insignito da Gordon Brown della medaglia di “eroe dell’Olocausto”. Il suo nominativo è stato anche presentato a Yad Vashem, per il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni”.
Il problema è che un numero crescente di persone non crede alla sua testimonianza: ex prigionieri, storici, le organizzazioni ebraiche. Piotr Setkiewicz, direttore del Dipartimento di Ricerca del Museo di Auschwitz, teme che questa vicenda “possa fornire munizioni per i negazionisti dell'Olocausto che sono pronti a sfruttare ogni occasione per 'provare' che la Shoah non ha avuto luogo”. Il Congresso Mondiale Ebraico ha espresso una profonda preoccupazione “per la carica che ha una parte significativa della storia di Mr Avey, ossia che lui stesso si sia introdotto di nascosto nel campo di Auschwitz”.
Nel frattempo la portavoce dello Yad Vashem, Irena Steinfeldt, ha dichiarato che al momento non è possibile onorare Avey come “Giusto tra le Nazioni”, poiché nessuno dei sopravvissuti ha confermato il suo racconto. E anche alcuni ex deportati ad Auschwitz ed ex prigionieri del campo E715 lo hanno contestato, sostenendo che lo scambio di persone sarebbe stato impossibile.
“Sono stato ricoverato in ospedale per due anni dopo la guerra – ha spiegato Avey alla stampa inglese -. Nel 1947, sono andato alle autorità militari di presentare le mie informazioni su Auschwitz. Il mio racconto non è stato preso sul serio. Sono rimasto scioccato, soprattutto dopo i rischi che avevo corso. Mi sentivo completamente disilluso e traumatizzato. Così da quel momento in poi ho cercato di rimuovere quei ricordi”. Nel 1947 la guerra era finita e la gente voleva riprendere la vita normale. C’era la mentalità di non voler sapere cosa fosse veramente successo. Molte persone avevano da raccontare storie che nessuno era interessato a sentire. Deve essere stato molto doloroso". Ma i dubbi restano.
(Il Mattino, 23 ottobre 2011)
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