venerdì 28 ottobre 2011
Ho inciampato e non mi sono fatta male. Haifa, Napoli, Berlino. Una storia familiare
Una storia individuale che diventa vicenda collettiva
di Mario Avagliano
«Io sono una testimone di seconda generazione, non ho vissuto la guerra, non sono una sopravvissuta allo sterminio, ma sono figlia ed erede del nazismo e delle leggi razziali fasciste». Così inizia il delicato e umanissimo libro di memorie di Miriam Rebhun, Ho inciampato e non mi sono fatta male. Haifa, Napoli, Berlino. Una storia familiare, pubblicato per L’Áncora del Mediterraneo (pag. 192, euro 16,50). In uno straordinario viaggio a ritroso tra l’Europa e il Mediterraneo, la Rebhun, ebrea napoletana cresciuta ad Haifa, nei trepidanti inizi dello Stato di Israele, ricostruisce le illusioni, le tragedie, le speranze di tre generazioni di ebrei.
Haifa, Napoli, Berlino… Ad Haifa Miriam ha trascorso i primi anni di vita, assieme al padre Heinz, giunto in Palestina assieme al fratello gemello Gughy nel 1936 in fuga da Berlino, dove furoreggia Hitler, per realizzare il sogno di Israele. La nonna Frida non aveva potuto seguire i due figli, per non abbandonare il marito Leopold, gravemente malato, deceduto di morte naturale nel 1940. Catturata dai nazisti il 2 ottobre 1942, venne deportata e uccisa nel campo di Theresienstadt (il 7 luglio del 2008, su iniziativa della nipote Miriam, in sua memoria una pietra di inciampo è stata incastonata nel selciato di Poschingerstrasse 14, a Berlino).
Nella Napoli ribelle del 1943-1944, il giovane Heinz, venuto in Italia sotto le insegne della Brigata Ebraica, nelle file nell’esercito britannico, conosce e s’innamora della bella ebrea napoletana Luciana Gallichi, alla quale si unisce in matrimonio. Tornato in Palestina con la moglie, Heinz dopo la fine della guerra apprende della tragica morte della madre, inghiottita nel buco nero della Shoah. Nel 1946 nasce Miriam, che il padre chiama affettuosamente “mein prinzipessa”. Ma il destino è crudele: il 17 gennaio 1948 Heinz viene falciato dagli spari di un cecchino arabo, mentre si reca al lavoro su un autobus di linea. Alcuni mesi dopo muore in combattimento, nella guerra d’indipendenza israeliana, anche il fratello gemello Gughy.
Luciana, impossibilitata a crescere da sola la piccola Miriam, ripara a Napoli, nell’affollato appartamento di via di Piedigrotta 23. Qui Miriam impara l’ebraico, con l’aiuto del rabbino Isidoro Kahn. Qui, divenuta donna, sposa l’amore della sua vita Marco, un ragazzo non ebreo, da cui ha due figlie (Giorgia e Sara), battezzate cattoliche. E sempre qui, alla fine degli anni Settanta, dopo un viaggio in Israele, Miriam parte alla riscoperta delle sue radici, diventando una testimone della Memoria e un influente membro della comunità ebraica napoletana.
La Germania razzista e violenta di Hitler, la Palestina eroica e turbolenta degli albori e la Napoli povera ma generosa del dopoguerra sono gli scenari che fanno da sfondo alla storia familiare dei Rebhun, ebrei tedeschi, che s’intreccia con quella dei Gallichi, ebrei napoletani, orgogliosi delle proprie origini sefardite. Vicende che Miriam fa tornare a vivere, almeno sulla carta, con uno stile appassionato, mai retorico. Un memoir sul filo dell’emozione e una caccia ai ricordi che danno vita ad un’affascinante e toccante storia familiare, che da vicenda individuale diventa storia collettiva.
(Shalom, n. 10, ottobre 2011, p. 35)
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