mercoledì 5 ottobre 2011

A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945

“Egregi Signori Consiglieri Federali, Non possiamo fare a meno di dirvi che noi alunne siamo profondamente indignate che i profughi vengano ricacciati così spietatamente verso una sorte tragica (...) Se continueremo così, possiamo essere certi che il castigo ricadrà su di noi. E’ possibile che voi abbiate ricevuto l’ordine di non accogliere ebrei, ma questa non è certamente la volontà di Dio, e noi dobbiamo ubbidire più a Lui che agli uomini...”. Così scrivevano al governo svizzero, il 7 settembre 1942, 22 allieve quattordicenni (su 32) della II C della cittadina di Rorschach, nel canton San Gallo, vicina al confine con Germania e Austria. La lettera non passerà inosservata.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943, la Svizzera rappresentò per gli ebrei italiani perseguitati una sorta di Paradiso delle libertà. Ma non fu sempre così. E non lo era stato per gli ebrei di altre nazionalità ( tedeschi, austriaci, francesi, belgi e olandesi) negli anni precedenti. A quanto risulta dai dati ufficiali, dall’ottobre del ‘40 all’aprile del ‘42 (proprio gli anni in cui la "soluzione finale" veniva messa in atto) furono accolti in Svizzera solo 176 ebrei! E' il tema del bel libro di Silvana Calvo, A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945 (Silvio Zamorani Editore, Torino 2010).

Punto di partenza e perno del libro è proprio la lettera inviata dalle scolare della 2.C della Sekundarschule di Rorschach al governo svizzero. In essa le ragazzine facevano osservare alle autorità che respingere i profughi ebrei nelle mani dei tedeschi, ossia ributtare «come bestie oltre la frontiera questi miseri esseri infreddoliti e tremanti», significava mandarli incontro «a morte sicura». Per questo motivo supplicavano il Consiglio Federale di cambiare atteggiamento e di accogliere quei «poverissimi senza patria». Il racconto è strutturato lungo tre filoni principali. In primo luogo viene ripercorsa la vicenda della lettera. L’effetto che essa suscitò a Palazzo Federale, la reazione del Consigliere Federale Eduard von Steiger il quale non esitò a trasformare quel breve scritto in una "questione di Stato" aprendo consultazioni con colleghi di governo e con parlamentari autorevoli nonché interpellando il Ministero pubblico della Confederazione in vista di punire un docente della classe sospettato di essere stato l’istigatore della lettera. Segue poi l’inchiesta scolastica con relativo interrogatorio del docente e della ragazze.


Per contestualizzare la vicenda viene analizzata la situazione della Svizzera negli anni dal 1933 al 1945: la minaccia per il Paese derivante dalla presenza ai propri confini di regimi totalitari ed espansionisti, quali la Germania e l’Italia, e il pericolo per la coesione nazionale rappresentato dalle teorie razziste che, se avessero prevalso, avrebbero potuto costituire una forza centrifuga tale da indurre le diverse componenti etnico linguistiche a lasciarsi attrarre dai paesi limitrofi per ricongiungersi alla loro cosiddetta "comunità del sangue".
Vi è poi l’esame dei provvedimenti adottati per fronteggiare la situazione: la neutralità e la politica economica, le reazioni dei vari soggetti istituzionali e sociali e le aggregazioni sorte all’interno del paese, taluna per perorare la causa della difesa ad oltranza e talaltra per chiedere adattamento e sottomissione alle esigenze dei tedeschi. Questo avveniva mentre veniva promosso un pregante "elvetismo" patriottico nell’ambito della "Difesa spirituale del paese". Quest’ultima non era però così univoca come generalmente si pensa: essa infatti aveva due anime una nazionalista ed una etica. L’una preconizzava chiusura ed esclusione verso l’esterno, l’altra voleva promuovere valori morali di solidarietà ritenuti fondamenti dello spirito e della tradizione della Svizzera.
L’aspetto più importante che viene trattato nel libro è la politica di asilo della Confederazione nei confronti dei profughi, soprattutto degli ebrei che cercavano scampo dal nazismo. Vengono dunque ripercorse le tappe di questa politica dal 1933 al 1945. Mediante documenti quali protocolli di sedute del governo, rapporti di funzionari del Dipartimento di Giustizia e Polizia e Circolari di istruzioni inviate da Berna ai Cantoni, agli organi di frontiera e alle rappresentanze svizzere all’estero si cerca di mostrare in quale modo e con quali mezzi tale politica è stata realizzata e quali furono le argomentazioni a monte delle decisioni adottate che portarono ad un’accoglienza che appare limitata in confronto alla tragica situazione che ci si trovava di fronte.
Allo scopo di chiarire nel limite del possibile le dimensioni e la distribuzione nel tempo dell’accoglienza e del respingimento dei profughi dal 1933 al 1945, in appendice vengono analizzate le cifre fornite dalle varie fonti (il Rapporto Ludwig, le Tabelle di Guido Koller, il Rapporto Bergier e il Rapporto Jezler).

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