di Mario Avagliano
La tragica
coda della vicenda politica ed esistenziale di Antonio Gramsci costituisce un appassionante
enigma storiografico. A distanza di 75 anni dalla morte del fondatore del
partito comunista d’Italia, i punti oscuri sono ancora molti. Dopo l’arresto, fu
davvero abbandonato al suo destino da Stalin e Togliatti perché ritenuto troppo
ingombrante? E la sua impietosa critica al modello sovietico si spinse fino
all’abiura del marxismo, in un quaderno dal carcere rimasto segreto?
Alcuni saggi
usciti nelle ultime settimane aggiungono qualche importante tassello alla
conoscenza dei fatti. Non mancando di suscitare un vivace dibattito, con
Massimo D’Alema che punta il dito su lobbies ed élites tecniche: “La polemica
sul Togliatti stalinista e sul Gramsci eretico è falsa e strumentale. Vogliono
delegittimare le culture politiche del dopoguerra e i partiti che ne sono gli
eredi”.
Per dipanare
la matassa, il punto da cui partire – suggerisce Giuseppe Vacca, presidente
della Fondazione Gramsci e autore di Vita
e pensiero di Antonio Gramsci. 1926-1937 (Einaudi, pp. 367, euro 33) - è la
critica ai “compagni” russi. “Voi oggi state distruggendo l’opera vostra”, scrive
Gramsci il 14 ottobre 1926, su incarico dell’Ufficio politico del Pcd’I, in una
vibrante lettera al Comitato centrale del partito comunista sovietico. Vacca mette in rilievo che non si tratta di una semplice accusa di
metodo riguardo all’espulsione di Trotzki & Co.: Gramsci segna in modo insanabile
e definitivo la sua presa di distanza dalla politica messa in atto da Stalin.
Un mese dopo
quel messaggio, l’8 novembre 1926, in violazione dell’immunità parlamentare, Gramsci
viene tratto in arresto dalla polizia fascista e rinchiuso a Regina Coeli.
Inizia la sua odissea giudiziaria e carceraria. Nel febbraio 1928, mentre si
trova nel carcere milanese di San Vittore, riceve una lettera di un dirigente
del partito, Ruggiero Grieco, partita da Basilea e guarda caso transitata per
Mosca, che lo fa “inalberare” perché “compromettente”, in quanto rivela che è
il capo del Pcd’I.
Siamo alla
vigilia del processo a ventidue imputati comunisti, tra i quali figurano, oltre
a Gramsci, Umberto Terracini e Mauro
Scoccimarro, e il regime è all’affannosa ricerca di elementi di accusa nei
confronti del pensatore sardo. La missiva potrebbe essere utilizzata contro di
lui. E il giudice istruttore Enrico Macis commenta sardonico: “Onorevole
Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in
galera”.
A maggio si
celebrerà il processo e il pubblico ministero Isgrò concluderà la sua
requisitoria con una frase rimasta famosa: «Per vent'anni dobbiamo impedire a
questo cervello di funzionare». Una richiesta accolta dal Tribunale. Quanto
abbia contato la lettera ai fini della condanna, è oggetto di discussione. Gramsci,
tuttavia, fino all’ultimo sospetterà che dietro a Grieco si nasconda Togliatti.
Su questa
lettera di Grieco, definita di volta in volta da Gramsci “strana”, “famigerata”
e addirittura “un atto scellerato”, gli storici si sono esercitati da tempo. Vacca,
nel suo saggio, esclude la tesi del complotto interno: Togliatti non aveva
bisogno di sabotare i tentativi di scarcerazione di Gramsci in quanto Mussolini
odiava di suo il comunista sardo e lo stesso Cremlino non aveva alcun interesse
a liberarlo, per le sue posizioni eterodosse.
Ma allora
chi fu a manovrare Grieco? Luciano Canfora, in un altro libro uscito nelle
ultime settimane, Gramsci in carcere e il
fascismo (Salerno editore, pp. 304, euro 12), non esclude che questi abbia
scientemente cercato di danneggiare Gramsci (e Terracini e Scoccimarro,
destinatari di altrettante missive), su mandato dell’Ovra, la polizia segreta
fascista. Una pista che sarebbe
avvalorata anche dall’imbarazzante Appello ai fratelli in camicia nera
redatto dallo stesso Grieco nell’agosto 1936 sulle colonne del periodico “Lo
Stato operaio”, nel quale proponeva di far proprio il programma mussoliniano
del 1919.
Le tre missive in cui Gramsci parla di Grieco
furono in ogni caso eliminate dalla prima edizione delle Lettere dal carcere
del 1947. D’altronde Palmiro Togliatti, appena quindici giorni dopo la morte di
Gramsci (27 aprile 1937), aveva inviato una direttiva ai compagni comunisti del
Centro estero per esortarli a “non prendere nessuna iniziativa di pubblicazione
di lettere e altro materiale inedito (di Gramsci) senza accordo con me”.
L’intento censorio era evidente. E infatti l’intera
opera di Gramsci fu sottoposta a pesanti tagli da Felice Platone, con la
supervisione dello stesso Togliatti. Furono espunti i riferimenti agli eretici Trotzki e Rosa Luxemburg ma anche molti brani di
carattere più umano.
Canfora scrive che l’operazione rappresentò in quel momento storico “la
sola via che potesse avvicinare quelle pagine a un pubblico più ampio”. Quale
che siano stati i reali intenti di Togliatti (Nunzio Dell’Erba, in polemica con
Canfora, ritiene che il Migliore volesse “costruire un piedistallo per se
medesimo come erede dell’opera di Gramsci, occultando i motivi delle loro
divergenze politiche”), vi sono punti ancora da chiarire.
Lo stesso Canfora si dilunga sul ruolo di informatore dell’Ovra che avrebbe
svolto l’anarchico Ezio Taddei, nel dopoguerra approdato a Botteghe Oscure. E Franco
Lo Piparo, in un altro volume uscito di recente, I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista
(Donzelli, pp. 144, euro 16), avanza l’ipotesi che Togliatti abbia fatto
sparire un intero Quaderno, il n. 34, nel quale Gramsci avrebbe preso le distanze
dal comunismo tout court. In effetti
lo stesso Togliatti fin dall’inizio parlò di 34 quaderni dal carcere, ma ne
sono conosciuti (e sono stati pubblicati) solo 33.
Insomma, c’è ancora materia per gli storici. David Bidussa invita ad
indagare sulla pista di Cambridge. Dove viveva l’economista Piero Sraffa, che
assieme alla cognata Tania Schucht fu la persona più vicina a Gramsci nel
periodo della detenzione e dopo la sua scomparsa trasmise a Togliatti le copie
delle lettere e dei quaderni. È in Inghilterra la soluzione dell’enigma?
(Il Messaggero, 31 luglio 2012)
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RispondiEliminaPssst…
RispondiEliminapssst…
sshhhhh…non giratevi....
fate finta di niente....
sono l‘agente moollllto segreto Ostin Pauers, quello di cui si parla nei commenti di questo blog…(parlando bene l'inglse sto ovviamente usando uno pseudonimo).
Volevo innanzitutto ringraziare tutta la rete dei bloggeroni (che sono gli agenti moolllto segreti e tutti massoni 2.0) che cancellano quei commenti che rischiano di far saltare la mia copertura di agente moollllto segreto impegnato in missioni segretisssime.
Purtroppo non posso rivelare nulla da qui ma chi volesse essere reclutato nella rete dei bloggeroni o volesse informazioni sulla mia occultisssima attività mi contatti pure.
Vi rivelerò importanti informazioni e vi spiegherò anche come vive un pericolosissimo e segretissimo soggetto come il sottoscritto.
A presto.