venerdì 10 agosto 2012

Internati italiani, nuovi documenti

di Dino Messina

Il soldato Raffaele Uccellari, originario di Montemarciano, in provincia di Ancona, venne catturato dai tedeschi il 15 settembre 1943 a Rodi, dopo l’armistizio dell’8 settembre, e deportato in uno dei Lager nell’attuale territorio della Bielorussia, allora in mano ai nazisti. Raffaele era uno di quei tanti soldati italiani che non avevano accetato di collaborare con l’ex alleato e per questo assieme a migliaia di commilitoni venne deportato nei campi dove gli Imi (Internati militari italiani) erano posti al gradino più basso della gerarchia di reietti, venivano solo prima degli ebrei, al pari degli zingari, e dopo i prigionieri russi. Il loro compito era lavorare fino allo stremo e quando venivano considerati inservibili finivano in una fossa. Per Raffaele Uccellari e altri dodicimila internati le pene non ebbero termine con la liberazione. Alcuni riuscirono a fuggire, altri si affidarono alle sicure mani degli Alleati, altri ancora furono presi in consegna a paritre dal 1944 dai sovietici e portati in altri campi di prigionia all’interno della Russia: alcuni vennero rilasciati tra il ’45 e il ’46, circa undicimila rientrarono nel 1954, assieme a diecimila prigionieri dell’Armir. Un migliaio di internati non sopravvisse alla seconda prigionia.

Leggiamo questa storia nel bel saggio che Maria Teresa Giusti ha pubblicato su “Ventunesimo secolo”, la rivista diretta da Gaetano Quagliariello, come introduzione a parte dei documenti tradotti e editati che furono donati il 30 novembre 2009 dal presidente Bielorusso Aleksander Lukasenko al premier italiano Silvio Berlusconi in visita di Stato a Minsk. Tra i faldoni c’erano un paio di elenchi di prigionieri nei campi della regione di Glubokoe, a Nord del Paese, e di Grodno, ai confini con la Polonia. Interessanti sono soprattutto le interviste a testimoni locali raccolte tra il 1964 e il 1965 e custodite negli ex archivi del kgb di Misk. Un ritratto toccante sulle condizioni di vita dei prigionieri italiani, malnutriti, malvestiti, costretti a scavare le trincee dove restavano come vittime inermi o fucilati accanto ai prigionieri russi in fosse comuni.


(lanostrastoria.corriere.it 29 luglio 2012)

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