Un recente libro di Mario
Avagliano, storico impegnato a scrivere le tante verità sottaciute sul periodo
della seconda guerra mondiale in Italia, punta i riflettori su un eroe
dimenticato e ingiustamente non conteggiato nelle vicende della Resistenza.
Con “Il partigiano
Montezemolo - Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata”,
con prefazione di Mimmo Franzinelli, noto autore di saggi di storia
contemporanea (Dalai Editore), l’Autore restituisce all’analisi storica ed alla
divulgazione oltre la ristretta cerchia degli addetti ai lavori la figura
integerrima ed eroica del Tenente Colonnello Giuseppe (Beppo) Cordero Lanza di
Montezemolo, che, nella vacatio post 8 settembre, assunse coraggiosamente le
redini della Resistenza militare nel pezzo della Penisola (la maggior parte,
Roma compresa) occupate dai repubblichini di Salò e dai nazisti, diventando la
Primula Rossa indicata come il nemico numero uno del Generale Kappler.
Fu un personaggio di alto
vigore morale e d’adamantina coerenza che, abilmente, fu regista della
resistenza operata da quella parte dell’esercito che non si macchiò di viltà e
fellonia, ma si schierò, in ossequio al giuramento alla Patria ed al Re (che,
forse, non fu altrettanto coerente, allontanandosi per mettersi al sicuro ed
abbandonando persino il genero Calvi di Bergolo in balia dei tedeschi), per
l’Italia a costo dell’estremo sacrificio.
Il libro ricostruisce, con il sostegno dei cinque figli del Colonnello, fra cui
il Cardinale Andrea e la straordinaria donna Adriana, la storia di quest’uomo
di eccezionale nobiltà d’animo ed intelligenza superiore.
L’amatissima moglie Amalia,
detta Juccia, era la sua compagna d’elezione ed il loro legame fu d’incredibile
sostegno morale per Montezemolo, quando, venduto al nemico da un traditore e
catturato, fu rinchiuso nel terribile carcere di via Tasso, nella cella n. 5.
Malgrado fosse malamente torturato, non un fiato sull’organizzazione resistenziale militare che egli guidava uscì dalle sue labbra.
Malgrado fosse malamente torturato, non un fiato sull’organizzazione resistenziale militare che egli guidava uscì dalle sue labbra.
La sua condanna alla
fucilazione ed all’oltraggio delle Fosse Ardeatine, in fondo, può intendersi
come il tragico riconoscimento di cotanto coraggio e fedeltà alla Patria. Morì,
infatti, proclamando: “Viva l’Italia”!
(BLOG
quartadicopertina.ilcannocchiale.it, 19 settembre 2012)
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