di Mario Avagliano
In una delle 43 storie del libro “Racconti ebraici” di Gianfranco Moscati e Gustavo Ottolenghi si parla della testimonianza dell’ebrea polacca Rachel Igenfeld. Dopo la fuga e l’esilio in Svizzera per sfuggire alla cattura dei nazifascisti, nel 1945 Moscati rientrò a Milano e collaborò con il Servizio Ricerche Deportati, che aveva sede a Roma. Entrò così in possesso di una ventina di appelli della giovane Rachel, rimasta vedova nel ghetto di Varsavia, che mise in salvo la sua piccola neonata Italaja lasciandola dentro un cesto nella foresta con un biglietto con su scritto: “La bimba è battezzata e si chiama Leonka”.
Quando nella zona arrivarono i russi, malgrado il loro intervento, Rachel non riuscì a riavere la sua bambina, di cui aveva continuato a seguire la vita presso la famiglia che l’aveva adottata. Finita la guerra, Rachel Igenfeld col secondo marito Shlomo Bassermann si trasferì in Austria, poi in Germania e infine in Canada, a Toronto. Di qui il 16 novembre 1949 scrisse al Comitato Ricerche di Roma una lettera riprodotta nel libro di Moscati: un accorato appello alle autorità civili e religiose ebraiche e cattoliche per riabbracciare la propria creatura.
Una storia che, come sottolinea Moscati, ricorda per certi versi quella di Mosè, che venne salvato dagli eccidi del faraone d’Egitto grazie al gesto della madre, che lo mise in un canestro sulla riva del fiume Nilo, e fu adottato dalla regina d’Egitto. “Io purtroppo non parlo l’inglese – ha scritto in una lettera Moscati – e cosa più grave non so utilizzare il computer. Tra pochi giorni entrerò nel 90° anno ed ho pensato che il più bel regalo che i miei amici potrebbero farmi, sarà che possiate lanciare messaggi in tutto il mondo, riuscendo, mi auguro, a rintracciare Italaja che oggi dovrebbe avere circa 71 anni e dovrebbe trovarsi in Polonia”. Un messaggio nella “bottiglia” di Internet, che speriamo venga raccolto da qualcuno.
(L'Unione Informa e Moked.it del 14 gennaio 2013)
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