mercoledì 11 maggio 2011

Un'altra storia ritrovata di Giusti: monsignor Guido Bortolameotti e i Gardin

di Maria Luisa Crosina

I Gardin
«Tutti sappiamo cosa significa amare il prossimo come noi stessi: essere disposti a dare anche la vita per un altro. Ebbene oggi noi abbiamo qui due persone che hanno offerto la loro vita per la mia. Don Guido e la signorina Adele l’hanno offerta ogni giorno per un anno e mezzo, spontaneamente, senza alcuna speranza di ricompensa. Per seicento giorni hanno voluto condividere il grave pericolo in cui io ero e associarsi a tale pericolo indissolubilmente. Il mattino eravamo qui a Cloz ma non sapevamo se la sera ci avrebbero trovati ancor qui o se qualcuno sarebbe venuto a prenderci per avviarci ad un oscuro destino».
Così iniziava il discorso dell’ingegner Augusto Rovighi il 12 giugno 1983, quando il suo salvatore, monsignor Guido Bortolameotti, venne insignito dal console d’Israele della Medaglia dei Giusti, il riconoscimento concesso dallo Stato d’Israele a quelle persone che, a rischio della propria vita e senza attendersi ricompensa, prestarono aiuto gli ebrei perseguitati.

Oggi, a Gerusalemme, nel parco sorto nei pressi del Museo delloYad Vashem e che porta il nome di Giardino dei Giusti, un albero di carrubo è intitolato a monsignor Guido Bortolameotti, il sacerdote trentino che, nel 1943, con la complicità della sua fedele perpetua Adele, aveva nascosto nella sua canonica di Cloz per diciotto mesi l’ingegner Augusto Rovighi, di fede valdese, ma ebreo per nascita..
Avevo narrato la storia di Augusto Rovighi in un mio libro uscito una decina di anni fa (Le storie ritrovate. Ebrei nella provincia di Trento. 1938-1945, Trento 1995), così come l’avevo appresa direttamente da monsignor Bortolameotti il quale l’aveva precedentemente rievocata in un suo scritto (La chiesa del Miracolo. A 50 anni dalla benedizione della prima pietra della nuova chiesa. Ricordi, Trento 1990). L’ingegner Rovighi, dopo che erano iniziati i rastrellamenti in Alto Adige, aveva cercato un nascondiglio a Cloz, dove c’era già sua moglie Serafina Rizzi con due figlioli e l’aveva trovato presso un suo parente. Dopo alcuni giorni, però, essendo continuamente ricercato, non si era sentito più al sicuro in quella casa e il 21 settembre, calato il buio, si era presentato in canonica, assieme alla moglie, chiedendo al parroco don Guido di trovargli riparo in qualche maso circostante. Il sacerdote l’aveva fatto fermare quella notte presso di sé, ed era stata solo la prima di numerosissime altre.
Qualche mese fa mi giunse da Bologna una telefonata: era Luigi, uno dei figli dell’ingegnere, che esprimeva il desiderio di conoscermi. Professore di musica presso il Conservatorio di Bologna e noto musicologo, conservava ricordo di quegli anni lontani e drammatici. Ci demmo appuntamento a Riva e mi mise a parte di un’altra storia, collegata alla prima. Una storia che tentava da tempo di rendere nota, mosso da un sentimento di gratitudine e di giustizia per due persone che non avevano esitato a porre a repentaglio la propria vita e quella dei loro figli per salvarlo. Fu così che sentii per la prima volta i nomi di Pietro ed Elisabetta Gardin, due giusti a cui nessuno ha mai dato un riconoscimento e che, forse, mai l’avrebbero voluto, perché, come testimoniano il loro figli Gian Maria e Maria Luisa, esclusivamente mossi «da sentimenti di umana solidarietà che si ribellava alla criminale sopraffazione razziale».
Luigi Rovighi all’inizio del 1944 aveva undici anni e si trovava a Bolzano. Mentre il padre era nascosto in canonica, la gendarmeria tedesca si impegnava in accurate ricerche per scoprire dove egli si trovasse, e, per saperlo, aveva sottoposto la madre a ripetuti interrogatori, minacciandola perfino di ritorsioni sul figlio, qualora non avesse rivelato il nascondiglio. Fu allora che due coniugi veneti, Pietro ed Elisabetta Gardin, appunto, imprenditore tessile lui, insegnante lei, amici di famiglia e genitori di due bambini, senza frapporre indugi, caricarono Luigi in macchina per portarlo al sicuro in una loro fattoria di Caerano San Marco in provincia di Treviso. L’uomo d’oggi ricorda quel viaggio come gravido di pericoli: il piccolo gruppo venne ripetutamente fermato da SS armate che richiesero i documenti e perquisirono la macchina, ed anche una volta giunti a destinazione, i pericoli non cessarono, perché, spesso, nella casa fecero irruzione i tedeschi. Luigi rimase presso i suoi salvatori per due mesi sotto falso nome, finché sua madre lo richiamò a Cloz.
Pietro ed Elisabetta Gardin sono scomparsi rispettivamente nel 1981 e nel 1995. I loro figli, tuttora viventi, risiedono l’uno a Paderno del Grappa, l’altra a Treviso.

2 commenti:

  1. Storie intense , vissute anche da chi le racconta con viva partecipazione Ma non è la prima volta che leggo stirie così belle Ho scorso uno ad uno gli alberi di quel viale Ma ogni volta che penso o sento raccontare una così bellissima storia , non so perchè , mi sovvengono tutte quelle storie non scritte , di quegli ebrei o partigiani presi per una denuncia anonima o denunciati per 5.000 lire... Quell'ebreo che state cercado , si trova nascosto presso il sig. .....

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  2. Grazie Ivano della tua testimonianza! E' vero, ci sono state tante delazioni e denunce anonime. Noi italiani abbiamo tante responsabilità...

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