In una trasmissione a più voci come "Agorà", e con poco tempo a disposizione, è impossibile esprimere opinioni articolate e organiche. Per chi fosse interessato, ecco le mie riflessioni sui Diari di Mussolini (veri o presunti), sulla loro pubblicazione e sul mito del "fascismo buono" e degli "italiani brava gente"...
I diari di Mussolini e il mito del fascismo buono
di Mario Avagliano
Io credo molto nel valore storico dei diari e delle lettere. Soprattutto i documenti della gente comune, perché in quel caso chi scrive non lo fa per la storia ma per dare notizie e comunicare i propri stati d’animo ai familiari o agli amici (nel caso delle lettere) oppure semplicemente a se stessi (nel caso dei diari).
Sono fonti storiche importanti, che ci consentono di indagare la sfera intima, privata degli autori, cogliendo quali sentimenti, pulsioni, emozioni, passioni attraversarono il nostro Paese in determinati periodi storici. È un po’ come entrare nella camera segreta dei pensieri degli italiani dell’epoca. Certo, si tratta di punti di vista soggettivi, ma sinceri. Tante microstorie personali che raccontano la grande storia, perché chi scrive non programma di essere poi “pubblicato”, né tanto meno immagina che un giorno le sue parole diverranno di dominio pubblico.
Sono fonti storiche importanti, che ci consentono di indagare la sfera intima, privata degli autori, cogliendo quali sentimenti, pulsioni, emozioni, passioni attraversarono il nostro Paese in determinati periodi storici. È un po’ come entrare nella camera segreta dei pensieri degli italiani dell’epoca. Certo, si tratta di punti di vista soggettivi, ma sinceri. Tante microstorie personali che raccontano la grande storia, perché chi scrive non programma di essere poi “pubblicato”, né tanto meno immagina che un giorno le sue parole diverranno di dominio pubblico.
Ho qualche perplessità invece sui diari dei grandi protagonisti, perché in quel caso è evidente la possibilità di un uso strumentale della scrittura privata, per esaltare le proprie azioni agli occhi dei posteri, oppure riabilitare la propria figura e giustificare gli episodi più controversi della propria vita. Chi scrive sa che verrà letto in futuro, e quindi l’automanipolazione e l’autocensura possono raggiungere livelli parossistici.
Tuttavia anche questi documenti, se autentici, possono essere utili per ricostruire avvenimenti, colloqui, incontri, e per comprendere meglio la personalità degli autori, i retroscena di certe decisioni e il loro pensiero e giudizio su persone e fatti storici.
Ecco perché fin dal dopoguerra si è scatenata una ricerca quasi spasmodica dei diari di Benito Mussolini da parte di giornalisti, storici, avventurieri, che è stata ben descritta da Enrico Mannucci nel suo saggio Caccia grossa ai diari del duce (Bompiani 2011). Una ricerca che si è subito tinta di giallo, visto che già nel 1957 a Vercelli spuntarono alcuni presunti quaderni del duce, che poi si scoprì erano stati in realtà contraffatti e falsificati da due signore, Rosetta Panvini Rosati e sua figlia Amalia.
E questo spiega anche le roventi polemiche che hanno accompagnato la recente pubblicazione da parte di Bompiani (e a ruota ad opera del quotidiano “Libero”) della prima agenda del duce “ritrovata” dal senatore Marcello Dell’Utri, relativa all’anno 1939. Peraltro con un titolo che è tutto un programma, I diari di Mussolini (veri o presunti), e una nota editoriale in cui si ammette che l’autenticità dei documenti è “controversa”.
L’unico punto fermo in questa vicenda, e su cui la storiografia concorda, è che in quegli anni Mussolini realmente annotava i suoi pensieri quotidiani sulle agende.
Esistono prove dirette di ciò, come la pagina di diario regalata da Mussolini al figlio Romano e riguardante il suo giorno di nascita o quella donata al caporedattore del Popolo d’Italia Giorgio Pini. Il duce accenna ai diari nei suoi incontri con il giornalista tedesco Emil Ludwig, che ne annota alcuni brani nel suo saggio Colloqui con Mussolini (1932). Lo stesso Mussolini, nel suo libro Parlo con Bruno, pubblicato nel 1941, scrive di aver tenuto un diario fino al 1940, citando alcuni passi degli anni 1935-1938 che si riferiscono al figlio Bruno, morto durante la seconda guerra mondiale. Infine Edvige Mussolini, sorella del duce, ha testimoniato di aver avuto in custodia le agende fino al 1940.
Detto questo, vi sono fondati dubbi sull’autenticità dei testi Bompiani-Libero.
Non mi soffermo sulle perizie calligrafiche, che escono fuori dalle mie competenze. Debbo però osservare che due storici seri e rigorosi come Luciano Canfora ed Emilio Gentile hanno avuto modo in passato di rilevare notevoli incongruenze in questi testi.
Gentile in particolare ha studiato per circa due mesi i testi in questione, su incarico del gruppo L’Espresso, analizzandoli pagina per pagina e confrontandoli con i testi editi, la stampa del tempo e gli altri diari conosciuti. Stilando infine una scrupolosa e dettagliata perizia storiografica (vedi di seguito), alla quale si rimanda.
Sorprendono ad esempio i numerosi nomi errati e i frequenti errori grammaticali, poco plausibili in un personaggio colto come Mussolini, maestro elementare e brillante giornalista. Restando all’agenda del 1939, è strano ad esempio che, il 27 settembre, l’ex socialista Mussolini scriva: “il movimento popolare iniziato da Marx ed Hegel” invece che Engels. Paradossale che incorra in gravi strafalcioni da matita rossa e blu, quali “eccezzione”, “soggezzione”, “correzzione”, “schizzofrenia”, “sopraciglia”, “soprafare, “sopraluogo”, “inefficenza”, “superfice”. Per non parlare degli apostrofi ballerini, che compaiono dove non sono necessari e mancano dove invece occorrerebbero, con errori come “buon’umore” o “un autostrada”.
Dalle analisi di Gentile e Canfora sono emerse anche numerose discordanze cronologiche rispetto al reale accadimento dei fatti, riscontrabili ad esempio da un confronto tra le date di udienza riportate nel diario e quelle risultanti nel registro ufficiale delle udienze contenuto nel fondo Segreteria Particolare del Duce presso l’Archivio Centrale dello Stato. Guarda caso queste discordanze fanno il paio con le cronache dei giornali dell’epoca, che non di rado ricevevano in ritardo la notizia delle udienze del duce.
Ma vi sono discordanze cronologiche finanche sulle date degli avvenimenti storici. Ad esempio il 2 maggio 1939 nel diario si legge che “il ministro degli esteri russo Ltitvinof, viene sostituito da Molotov”. In realtà la giubilazione avvenne il giorno dopo e la Pravda ne diede notizia solo il 4 maggio.
L’errore più macroscopico è forse quello relativo all’annotazione del 1° gennaio del 1938, nella quale si legge testualmente: “Quest’anno farò 55 anni, il 29 agosto”. Peccato che Mussolini fosse nato il 29 luglio 1883.
Colpisce in questi diari il “copia e incolla”, a volte addirittura parola per parola, di interi brani di articoli di giornale, in particolare per descrivere le visite del duce a città, stabilimenti, cantieri. Senza citazione delle testate, ovviamente. Come se fosse Mussolini in persona a scrivere.
Non mancano gli anacronismi. Ad esempio nella nota del 12 settembre 1939 l’autore scrive: “I carri armati sono di tre tonnellate contro le 40 dei ‘Tigre’ tedeschi”. Ebbene, i carri armati ‘Tigre’ furono introdotti nel 1942.
Un altro anacronismo è stato rilevato da Marino Viganò, docente all’Università Cattolica di Milano, il quale ha ironizzato sulle capacità divinatorie di Mussolini in riferimento all’annotazione del 10 febbraio 1939, in cui l’autore definisce “pastor angelicus” il successore di Pio XI, motto che verrà scelto solo tre anni dopo da Pio XII, in un filmato girato in Vaticano.
Gentile ha anche riscontrato “in queste agende, una singolare mancanza di note su momenti, aspetti e figure che ebbero un significato e un ruolo molto importante nella vita politica di Mussolini”. Lo storico cita l’assenza dei resoconti degli incontri col re; il carattere meramente “impressionistico” della ricostruzione di eventi come i vertici di Stresa e Monaco e degli incontri con Hitler, che ricalcano in gran parte i comunicati ufficiali e i resoconti giornalistici; i silenzi o le scarne annotazioni su alcune riunioni del governo e alcuni provvedimenti importanti, come la legge che istituiva il grado di Primo maresciallo dell’Impero, che fu motivo di forte attrito col re, e su molte udienze del duce a Palazzo Venezia (“nulla o quasi è annotato degli incontri con importanti personalità della politica e della cultura, come, per esempio, il segretario del partito o il capo della polizia Arturo Bocchini”).
Altri silenzi potrebbero essere rilevati, sempre nel diario del 1939, sul premier inglese Neville Chamberlain, che pure è citato diverse volte: l’autore omette qualsiasi riferimento all’importantissima corrispondenza con Mussolini della fine del luglio 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Neppure i giudizi sui gerarchi fascisti sono sempre calzanti. Roberto Festorazzi su Avvenire osserva ad esempio che Giuseppe Bottai viene definito nel diario “il marxista del fascismo”, ovvero “il demiurgo di una cultura totalmente asservita al regime”, mentre nei colloqui con Yvon De Begnac (“Taccuini mussoliniani”, Il Mulino), che sono coevi, il duce lamentò il fatto che Bottai stesse “sottraendo del tutto” gli intellettuali della fronda al “controllo politico del partito”.
Un’altra lacuna registrata da Gentile riguarda l’assoluta scarsità di appunti e commenti sui libri letti, “mentre è certo che le note di lettura erano una caratteristica dei diari di Mussolini, come testimonia Emil Ludwig, il quale ne cita alcuni esempi, attinti direttamente dagli originali, che gli furono mostrati dal Duce nel corso dei loro colloqui nel 1932”.
Gentile osserva che il fatto che non vi sia “nei diari nulla di significativo e di importante che non si trovi già in altre fonti edite pubblicate prima o dopo la morte di Mussolini”, fa pensare che “questa concordanza derivi dalle stesse fonti edite, alle quali avrebbe attinto l’autore dei diari” e nelle sue conclusioni afferma che “permangono fondati motivi per dubitare” che l’autore della agende sia stato Benito Mussolini.
Considerazioni analoghe a quelle di Giordano Bruno Guerri, che si è soffermato su alcuni brani relativi al 1939, registrando la mancata annotazione di “fatti, incontri, trattative di grande importanza, tanto da risultare pochissimo credibile che Mussolini li ignorasse nel proprio diario, per prendere invece nota di banalità reperibili su qualsiasi giornale”.
Bruno Guerri ha rilevato anche l’inverosimiglianza delle citazioni di D’Annunzio (1° settembre 1939), personaggio che il duce non amava affatto; alcuni errori clamorosi su date storiche arcinote agli italiani dell’epoca (come il riferimento il 2 settembre 1939 agli “eroi dell’86” per le imprese coloniali italiane dell’Ottocento, quando invece il massacro della spedizione Bianchi è del 1885, mentre è del 1887 l’annientamento a Dogali della colonna De Cristoforis); la falsità dell’attribuzione ad Hitler della formula della “non belligeranza”, che invece era stata escogitata dallo stesso Mussolini nel consiglio dei ministri del 1° settembre.
Ma allora chi si è preso la briga di scrivere questo zibaldone a puntate di pensieri e annotazioni, spesso prolisse e inutili, che riempie migliaia di pagine di agende dell’epoca?
Paolo Mieli avanza l’ipotesi del falso d’autore. Ovvero la possibilità che sia stato lo stesso Mussolini ad editarli in un periodo successivo, nel ’44, quando si venne a conoscenza dell’esistenza dei diari di Ciano.
È la tesi del professor Brian Sullivan, docente dell’Istituto per gli studi strategici della National Defence University, il quale sostiene che “probabilmente Mussolini li scrisse durante la repubblica di Salò utilizzando i diari originali, ma editandoli, aggiungendo cioè alcune cose e sottraendone altre, nel tentativo di prendere le distanze da Hitler e dalla guerra, in previsione di un eventuale processo simile a quello di Norimberga”.
Una tesi suggestiva, ma che comunque suscita dubbi e interrogativi. A parte gli errori grammaticali e i nomi errati, in ogni caso inspiegabili, c’è da domandarsi dove e quando Mussolini avrebbe trovato il tempo di portare a termine un’impresa così ciclopica.
Renzo De Felice escluse gli anni di guerra, perché spulciando nella documentazione della sua segreteria, “non troviamo niente che ci autorizzi a pensare a dei margini di fattibilità di un lavoro del genere, né a Palazzo Venezia, né tanto meno a casa – dove peraltro stava pochissimo in quel periodo”. Quanto al periodo di Salò, in effetti “nella villa di Gargnano un po’ più di tempo lo ha sempre avuto, rispetto a Palazzo Venezia. Ma a Salò Mussolini non poteva nemmeno pensare senza che i tedeschi lo sapessero”.
Altra questione spinosa e aperta è quella dell’immagine di Mussolini che viene fuori da questi diari, che assomiglia molto più al duce stanco e “crepuscolare” di Salò che al Mussolini roboante, carico di vis polemica, ma anche arrogante, tronfio, retorico degli anni che vanno del 1935 al 1939, quinquennio tra l’altro di massimo consenso per il regime fascista.
Dalle pagine di questi diari emerge un uomo solo, un politico debole, riluttante, che detesta la teatralità delle cerimonie, non ama di essere adulato dalle masse, è quasi del tutto privo di passione politica.
E anche la presa di distanza da alcune delle decisioni fondamentali del Ventennio sembrerebbero preludere alla volontà di precostituire un’immagine diversa e migliore di sé, di un dittatore bonario e di un politico disinteressato, o meglio interessato solo a servire la Patria.
Il Mussolini di questi diari, infatti, afferma di essere “contro le leggi razziali” e, come osserva Gentile, “non solo odia e teme Hitler, ed è contro la guerra nel 1939, ma dichiara spesso di non avere ambizioni di espansione territoriale, neppure nel Mediterraneo: non vuole “occupazione” dell’Albania, non vuole la Corsica, la Tunisia, Nizza, e alla fine depreca persino l’avvenuta conquista dell’Etiopia come un’impresa inutile”.
Appare singolare il fatto che in queste agende il duce si dichiari quasi sempre contrario alle scelte più importanti della politica fascista.
Voglio soffermarmi sulla questione delle leggi razziali, perché è una vicenda che ho approfondito in questi ultimi anni, assieme a Marco Palmieri, con il libro Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945 (Einaudi 2011) .
All’indomani dell’approvazione in consiglio dei ministri della legge per la difesa della razza, il 13 novembre 1938, il presunto Mussolini annota: “Si vorrebbero espellere gli ebrei dal Partito. No - non approvo”.
Per inciso la legge venne approvata dal consiglio su proposta di Mussolini e gli ebrei poi vennero effettivamente espulsi dal partito nazionale fascista.
Nell’antologia di brani selezionata da me e Palmieri c’è il diario di un ebreo fiorentino, Vittorio Pisa, il quale racconta di aver appreso la sua “cessazione da fascista” mentre monta di guardia in camicia nera al Sacrario del caduti fascisti.
E in effetti per gli ebrei che avevano creduto in buona fede al fascismo, le leggi razziali rappresentarono un doppio tradimento: da parte dell’Italia, che da un giorno all’altro li considerò “stranieri in Patria” se non addirittura “nemici”, e da parte del partito e del regime fascista.
Le annotazioni del presunto Mussolini sulle leggi razziali, nel diario del 1939, non sono molte, ma il loro contenuto è rilevante e suscita pesanti perplessità per l’evidente discrasia con la realtà dei fatti e la politica persecutoria messa in atto dal regime fascista.
Il 3 gennaio 1939 si legge: “Roosevelt mi manda William Philips a chiedere una cosa impossibile – vuole sistemare gli ebrei scacciati da Hitler in Abissinia, giù sul basso Giuba – Ma nemmeno ci andrebbero. Personalmente non ho nulla contro gli ebrei – Ho avuto ebrei fra i miei amici più fidati e validi – Ho già varato varie volte il progetto di creare uno Stato israelita per gli ebrei di tutto il mondo –“.
Colpisce l’ipocrisia della frase “Personalmente non ho nulla contro gli ebrei”. Nel gennaio 1939 sono già in vigore i provvedimenti razziali che, in sostanza, hanno escluso gli ebrei italiani da ogni settore della vita civile: la scuola, l’esercito, i posti pubblici, il partito nazionale fascista, le arti, le professioni, il mondo della cultura e dell’editoria.
Il 7 gennaio, l’autore si sofferma sul Mein Kampf di Hitler e sugli scritti antisemiti di Alfredo Rosemberg: “La conclusione di questo povero pazzo è che i tedeschi sono perfetti perché ariani – gli ebrei: carne da cannone – assolutamente da levare di torno ecc. È meglio che non mi inoltri in altri particolari – Ne sono disgustato – e questi tedeschi vorrebbero, dunque, imporci le loro teorie ed essere anche lodati?”.
Il brano di diario dell’11 febbraio è ancora più sorprendente: “L’uomo di governo – si legge – si trova a doversi esprimere di fronte all’opinione pubblica come esige la ragion di Stato e l’obbligo che egli ha di assolvere per il suo paese i compiti più difficili e ingrati (…). Questo è dunque lo stato d’animo di Mussolini nei confronti della Chiesa e nell’obbligo che egli ha di rispettare almeno nella forma più blanda le leggi razziali imposte da Hitler e facenti parte della politica dell’Asse – E così – La Chiesa ha sollevato un allarme sulla disposizione indetta per i matrimoni misti – Non mi pare una cosa gravissima – Ma è motivo di contrasto – Io sono contro le leggi razziali – Gli ebrei vivano come hanno sempre vissuto – La razzia ariana o no è per me la stessa cosa Uno della Papuasia, purché sia un galantuomo, è sempre una persona degna di rispetto, è assolutamente assurdo stabilire discendenze e ‘pedigree’ nel genere umano – Noi siamo italiani e basta”.
Anche queste affermazioni cozzano in modo stridente con la realtà.
“In realtà – come ha scritto Anna Foa -, non solo le leggi del 1938 furono meticolosamente applicate, ma sotto alcuni aspetti esse erano più dure di quelle di Vichy, che non vietarono mai il matrimonio fra ebrei e «ariani», e perfino di quelle naziste, per esempio per quanto riguardava i figli di matrimonio misto. L’idea della mitezza della persecuzione antisemita in Italia non si fonda sul confronto con le leggi tedesche del 1935 o con le altre adottate successivamente in Europa, ma su quello fra le leggi del 1938 e la persecuzione delle vite, che nei Paesi occupati dai nazisti era già in fase avanzata nel 1942 e che in Italia inizierà solo dopo l’8 settembre 1943”.
E che le leggi razziali provocarono dei veri e propri drammi nelle famiglie degli ebrei italiani, lo dimostrano anche i numerosi casi di suicidio, come quello del torinese Emilio Foà che, in una lettera alla moglie, sempre presente nel nostro libro, annuncia di volersi uccidere per due motivi: consentirle di riscuotere le assicurazioni sulla vita, che assicureranno un sostegno economico alla famiglia, e liberare lei e i figli dall’incubo della persecuzione, visto che il suo è un matrimonio misto e la coniuge è cattolica. Ma il costo della liberazione è la vita.
Di qui le mie forti perplessità sulla scelta di pubblicare i presunti diari di Mussolini, tanto più nella versione di allegato ad un quotidiano.
Intendiamoci, non si tratta di apologia del fascismo. Ma non può essere neppure spacciata come un’operazione storica, visto che sia la casa editrice che Libero premettono che l’autenticità dei documenti è in dubbio.
Al massimo è un’operazione di marketing. Cosa c’entri il marketing con la cultura e la Memoria, è un altro discorso.
Mi sorprende inoltre che questo fiorire di pubblicazioni su Mussolini a larga diffusione popolare, attraverso la stampa quotidiana (i discorsi del duce, le sue agende, le memorie del suo cameriere-factotum Quinto Navarra), avvenga proprio nell’anno del 150° dell’Unità d’Italia. Come se il nostro travagliato Paese non avesse altre figure rappresentative del suo secolo e mezzo di storia all’infuori della Buonanima.
Il direttore di Libero Maurizio Belpietro ha affermato che l’intenzione del giornale è di mettere il diario a disposizione degli studiosi. Per la verità a questo scopo bastava già il volume dato alle stampe da Bompiani. Con l’iniziativa di Libero, invece, questo documenti raggiungeranno, immagino, diverse decine di migliaia di case e di persone. E non penso che tutti abbiano gli strumenti per discernere ciò che è falso da ciò che è vero, o per fare confronti con altri documenti, diari o pubblicazioni e valutare l’attendibilità dei diari.
Insomma, ancor di più in questo 2011, a mio avviso sarebbe stato meglio soffermarsi sulle pagine luminose e i personaggi positivi della nostra storia, che certo non mancano, e dare a queste un’ampia diffusione popolare. A partire dal Risorgimento e dalla Resistenza.
Per chi invece vuole scandagliare il pensiero di Mussolini, la sua complessa personalità, i suoi rapporti con Hitler, in attesa di recuperare i diari veri (se esistono ancora e non sono stati distrutti), sarebbe meglio affidarsi alla lettura e all’esame degli appunti dei colloqui con il duce raccolti tra il 1934 e il 1943 da Yvon De Begnac (Taccuini mussoliniani, Il Mulino), giornalista de Il Lavoro Fascista, oppure ai diari di Claretta Petacci (Mussolini segreto. Diari 1932-1938, a cura di Mauro Suttora, Rizzoli 2009) o ancora ai diari di alcuni dei suoi più stretti collaboratori, da Galeazzo Ciano a Giuseppe Bottai.
C’è un’altra considerazione da fare. Presentare un Mussolini dimesso, privato, intimo, romantico, padre e marito perfetto (Claretta Petacci, ad esempio, non viene mai nominata nel diario del ’39), dittatore buono, quasi pentito dell’assassinio di Matteotti, costretto solo dalle circostanze e dalla politica dell’Asse a fare l’orco con gli ebrei e ad entrare in guerra, consapevolmente o inconsapevolmente - non faccio alcun processo alle intenzioni - finisce col fornire altra legna da bruciare nel falò di una certa vulgata storiografica che tende a riabilitare il duce e il fascismo, almeno per il periodo che va dal ’22 al ’38.
Siamo arrivati al paradosso che oggi il vero revisionismo non consiste nel dire che il fascismo non era poi così cattivo, ma nel dire che non era poi così buono… Come ha scritto Aldo Cazzullo in Viva l’Italia! (Mondadori), “Del duce ci siamo ormai fatti un’idea familiare. Un nonno affettuoso, un amante passionale, uno statista animato da buone intenzioni, purtroppo tradito dall’errore di allearsi con Hitler”.
Gli italiani non si vergognano del fascismo. Non avvertono minimamente la responsabilità “di aver germinato un movimento politico che funestò mezza Europa e provocò il genocidio degli ebrei”.
Abbiamo dimenticato che Mussolini e il fascismo sono stati un po’ come la moda italiana: articoli da esportazione. Il fascismo italiano è stato il primo a nascere in Occidente e Hitler era un fervente ammiratore di Mussolini, di cui aveva studiato le mosse e gli atteggiamenti.
Abbiamo dimenticato che il regime fascista conquistò al potere con le violenze degli squadristi, picchiando gli avversari politici, bruciando le Camere del Lavoro e i giornali avversari, e poi si consolidò con i metodi tipici di una dittatura, uccidendo o esiliando i capi dell’opposizione, abolendo i partiti politici, le associazioni e i sindacati, riducendo il Parlamento a un’enclave del PNF, sottoponendo a controllo e a censura la stampa e il sistema postale, emanando provvedimenti eccezionali fortemente restrittivi della libertà individuale, istituendo la polizia segreta dell’Ovra e il Tribunale speciale per la difesa della sicurezza dello Stato.
Abbiamo dimenticato che nel 1938 il regime fascista aveva già assassinato Giacomo Matteotti, don Giovanni Minzoni e i fratelli Rosselli, bastonato Giovanni Amendola, don Luigi Sturzo e Pier Giorgio Frassati, imprigionato, confinato, costretto all’esilio migliaia di oppositori.
Abbiamo dimenticato che il regime fascista gasò gli etiopi, perseguitò e umiliò migliaia di connazionali di religione ebraica, trascinò il nostro Paese nel baratro della seconda guerra mondiale, compì atti criminali nei confronti della popolazione nella Jugoslavia occupata, chiuse gli ebrei libici nei lager, si rese complice del nazismo anche nelle deportazioni, iscrivendo l’antisemitismo a principio fondante della Repubblica Sociale (articolo 7 della Carta di Verona) e contribuendo in modo decisivo agli arresti degli ebrei, braccò senza quartiere i partigiani che cercavano di restituire dignità e libertà all’Italia.
Abbiamo dimenticato. Ma un Paese senza memoria è un Paese senza futuro.
Copyright © Mario Avagliano 2011
Copyright © Mario Avagliano 2011
Considerazioni su alcuni diari manoscritti attribuiti a Benito Mussolini
di EMILIO GENTILE
I diari manoscritti attribuiti a Benito Mussolini, da me esaminati, sono contenuti in cinque agende, ciascuna per ogni anno, dal 1935 al 1939.
L’esistenza di diari mussoliniani relativi agli anni dal 1935 al 1939 è provata dalla testimonianza dello stesso Mussolini, che nel suo libro Parlo con Bruno, pubblicato nel 1941, scrive di aver tenuto un diario fino al 1940, e ne cita alcuni passi degli anni 1935-1938, che si riferiscono al figlio Bruno, morto durante la seconda guerra mondiale. (Cfr. Benito Mussolini, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, Firenze 1961, pp. 209-57).
La conferma dell’esistenza di tali diari viene anche da altre testimonianze attendibili, fra le quali quella di Edvige Mussolini, sorella del duce, che ebbe in custodia le agende fino al 1940, e dei suoi figli, i quali hanno dichiarato di conoscere il contenuto dei diari. (cfr Edvige Mussolini, Mio fratello Benito, Firenze 1957, pp. 229-31).
Tutte le agende da me esaminate sono prive di copertina. La successione cronologica delle singole agende è regolare, anche se le annotazioni, quando si prolungano per più pagine, modificano la cronologia del diario rispetto alla data stampata: in questi casi, la data è manoscritta.
Due agende presentano irregolarità nella datazione:
1) L’agenda del 1937 contiene due pagine con la stessa data a stampa “18 dicembre. Sabato s. Graziano”, ma il testo manoscritto è differente nelle due pagine. Inoltre, mentre dopo la prima di queste pagine con la data 18 dicembre segue una pagina bianca; dopo la seconda, segue la pagina del 21 dicembre, e mancano le pagine del 19 e del 20 dicembre.
2) L’agenda del 1939 ha l’ultima pagina con la data stampata del 16 dicembre; le pagine successive mancano, mentre vi sono alcuni fogli manoscritti, uniti a questa agenda, dai quali sembra sia stata strappata la data stampata. Questi fogli sono privi di data manoscritta, salvo una nota del 21 dicembre, e un’altra con riferimento al 25 dicembre (”E’ Natale”).
Una prima lettura delle cinque agende è stata da me fatta durante una permanenza di tre giorni a Bellinzona all’inizio di Novembre 2004, su richiesta del dr. Riccardo Bocca, per conto del Gruppo Editoriale l’Espresso.
Questa lettura ha dato inizialmente una impressione generale di unità e di coerenza sia per lo stile che per il contenuto dei cinque diari, tali da far pensare che siano stati scritti dalla stessa persona, anche se il tono, il contenuto e la lunghezza delle annotazioni variano a seconda degli anni.
Non mi soffermo sugli aspetti calligrafici, che sono stati oggetto di una perizia specifica, anche se certi tratti della calligrafia di questi diari appaiono diversi da altri autografi di Mussolini, che mi è accaduto di vedere in originale nel corso delle mie ricerche. Da questa prima lettura, necessariamente rapida, non sono tuttavia emersi motivi sufficienti per formulare subito un giudizio sull’autenticità o meno dei diari.
E’ noto che queste stesse agende sono state già esaminate in passato da altri periti e studiosi, alcuni dei quali, come lo storico inglese Denis Mack Smith, hanno dichiarato di ritenerli autentici.
Lo storico americano Brian Sullivan, dopo aver esaminato il testo di queste agende in fotocopia per sette anni, in un’intervista pubblicata sul “Corriere della Sera” del 2 luglio 1994, ha dichiarato di esser propenso a pensare che i diari siano stati scritti effettivamente da Mussolini, ma in un periodo successivo agli anni ufficiali delle agende. (Cfr. “Il Corriere della Sera”, 2 e 3 luglio 1994, dove sono pubblicati anche ampli stralci di questi stessi diari, con taluni errori di trascrizione e di datazione).
L’ipotesi dello storico americano, su quella che si può chiamare una “autenticità postuma” di questi diari, è parsa plausibile ad una prima lettura dei diari stessi, ma con molti dubbi, che solo una verifica storica più approfondita del contenuto di tutte e cinque le agende, avrebbe potuto chiarire.
L’indagine storica da me svolta, nel corso dei due mesi previsti dal contratto con il Gruppo Editoriale L’Espresso, si è basata su una sistematica lettura di tutte e cinque le agende, al fine di accertare, per quanto possibile, la veridicità e l’autenticità del loro contenuto.
Tale verifica è stata fatta non per campioni o per periodi particolari, ma seguendo giorno per giorno tutte le annotazioni.
L’esame si è svolto in due fasi. Nella prima, ho proceduto a mettere a confronto le note dei diari con il maggior numero possibile di fonti edite (documenti, diari, memorie) e di opere storiografiche sulla vita di Mussolini e sulle vicende del periodo cui si riferiscono i diari.
In un secondo tempo, ho proceduto a mettere a confronto quotidianamente, per tutto il periodo compreso fra il 1935 il 1939, gli avvenimenti pubblici, gli eventi di cronaca, e anche, dove possibile, le condizioni meteorologiche (una annotazione quasi quotidiana in queste agende) con analoghe notizie della stampa coeva, attraverso una lettura incrociata (nei limiti della disponibilità di consultazione presso le biblioteche) di vari giornali e riviste, fra le quali in particolare “Il Popolo d’Italia”, il “Corriere della Sera”, il “Messaggero” , la “Tribuna”, la “Stampa”, “Gerarchia”, “La rivista illustrata del Popolo d’Italia”, “Annali del fascismo”.
Nei limiti di tempo previsti dal contratto, e data la limitazione regolamentare dei tempi di consultazione degli archivi, non è stato possibile procedere ad un analogo confronto con fonti inedite, salvo qualche occasionale riscontro fatto personalmente dal dottor Riccardo Bocca presso l’Archivio Centrale dello Stato per accertare la data di alcune udienze concesse dal duce a Palazzo Venezia.
Tuttavia, anche limitando la verifica alle fonti edite, è stato possibile formulare una valutazione complessiva sui diari, suffragata da una consistente serie di riscontri oggettivi, sia per quanto riguarda la novità e l’originalità del contenuto di queste agende, sia, soprattutto, per quanto riguarda la loro autenticità come diari autografi di Mussolini, avendo anche presente, per questa seconda verifica l’ipotesi di una loro possibile “autenticità postuma”.
Dal punto di vista della novità e dell’originalità - che sono stati gli aspetti più agevolmente verificabili attraverso il confronto con le fonti edite e le opere storiche - questi diari non presentano un contenuto documentario particolarmente nuovo e originale per la biografia di Mussolini e per la storia del periodo di cui fu protagonista, rispetto al contenuto di altri diari e memorie di protagonisti del regime fascista, relativi allo stesso periodo, come, per esempio, i diari di Galeazzo Ciano, di Giuseppe Bottai e di altri collaboratori del duce, sia nella politica interna che nella politica estera. Inoltre, si è riscontrata, in queste agende, una singolare mancanza di note su momenti, aspetti e figure che ebbero sicuramente un significato e un ruolo molto importante nella vita politica di Mussolini. Mi limito a segnalare i “silenzi” più rilevanti e meno spiegabili.
In questi diari non vi è mai un resoconto dettagliato o citazioni testuali dei numerosi colloqui che Mussolini ebbe con il re, né vi sono altre notizie che permettano di avere una più ampia conoscenza delle relazioni fra la monarchia e il regime fascista, a parte alcune considerazioni sul problema della “diarchia”, cioè sui rapporti fra il re e il duce, che tuttavia nulla aggiungono a quanto già noto da altre fonti, a cominciare da scritti e dichiarazioni dello stesso Mussolini.
Altrettanto singolare è il carattere prevalentemente descrittivo e impressionistico delle annotazioni sullo svolgimento di eventi di grande rilievo della politica di Mussolini, come gli incontri di Stresa e di Monaco, e i viaggi del duce in Germania e di Hitler in Italia.
Anche in questi casi, per gli aspetti propriamente storici, i diari non contengono elementi documentari nuovi rispetto a quanto risulta dai comunicati ufficiali e da altri documenti editi; e quasi mai riportano il contenuto dei colloqui del duce, sia ufficiali che privati, mentre abbondano le note di cronaca, simili a resoconti giornalistici, con dettagli e particolari spesso di minimo interesse e di scarso significato.
Rare o generiche sono anche le annotazioni che riguardano la politica interna, il partito fascista e le altre istituzioni e organizzazioni fondamentali dello Stato fascista.
Per esempio, non vi è alcuna considerazione, nel diario del 28 marzo 1937, sulla legge che istituiva il grado di Primo maresciallo dell’Impero, che fu motivo di forte attrito con il re; di questa legge si parla quasi incidentalmente solo nella nota del 16 ottobre successivo.
Anche nei casi in cui il diario dà notizia delle riunioni del Consiglio dei ministri o del Gran Consiglio del Fascismo, le annotazioni sono schematiche oppure si limitano a ripetere sommariamente quanto era reso noto dai comunicati ufficiali pubblicati dalla stampa dell’epoca, mentre nulla o poco riferiscono sull’andamento delle sedute, sugli interventi, sulle discussioni che vi si sono svolte.
Da questo punto di vista, questi diari offrono meno elementi rilevanti per novità e originalità rispetto a quanto è riferito, riguardo agli stessi eventi, da Ciano o da Bottai nei loro diari.
Inoltre, nulla o quasi si trova in queste agende, salvo qualche cenno di cronaca, su altre importanti iniziative del partito che riguardavano l’organizzazione, il funzionamento e il futuro stesso del regime, come, per esempio, l’istituzione della Gioventù italiana del littorio o il conferimento delle funzioni di ministro al segretario del PNF, nel 1937.
Altrettanto scarse e sommarie sono le annotazioni su altri momenti importanti sulla politica interna, come, per esempio, la riforma costituzionale che aboliva la Camera dei Deputati e istituiva la Camera dei Fasci e delle Corporazioni o la riforma della scuola, di cui nel diario vi sono solo cenni aneddotici.
Le note sui principali gerarchi del PNF non vanno oltre commenti generici e giudizi rapidi, ma quasi mai nuovi rispetto a quanto già noto da altre fonti mussoliniane o dalle testimonianze dei suoi collaboratori.
Altri silenzi singolari riguardano le udienze quotidiane del duce a Palazzo Venezia. Di queste udienze si dà molto spesso notizia, talvolta con un breve commento sulla persona, sul motivo o l’argomento del colloquio, ma non appare comprensibile il criterio della scelta per le udienze annotate e commentate.
Infatti, mentre sono spesso menzionate udienze a persone poco note o poco rilevanti, nulla o quasi è annotato degli incontri con importanti personalità della politica e della cultura, come, per esempio, il segretario del partito o il capo della polizia Arturo Bocchini. Un altro esempio: il 22 giugno 1937, è annotata la visita di un modesto ex federale, descritto nel diario come “un uomo insopportabilmente noioso“, mentre non vi è nemmeno un cenno sull’udienza concessa a Giovanni Gentile il 7 agosto successivo, come risulta dai quotidiani, né si parla mai del filosofo nel resto dei diari.
Anche le note relative agli incontri con altri protagonisti di primo piano, come Dino Grandi, Italo Balbo, Giuseppe Bottai, non vanno mai al di là di un rapido commento, e quasi mai accade che venga riferito, più o meno testualmente, al di là di un generico accenno all’argomento, il contenuto dei loro colloqui.
C’è, infine, un’altra lacuna rilevante in questi diari, e riguarda appunti e commenti sui libri letti, che appaiono scarsi per tutti e cinque gli anni, mentre è certo che le note di lettura erano una caratteristica dei diari di Mussolini, come testimonia Emil Ludwig, il quale ne cita alcuni esempi, attinti direttamente dagli originali, che gli furono mostrati dal duce nel corso dei loro colloqui nel 1932: “Dal cassetto del tavolo, [Mussolini] trasse un diario legato in pelle rossa, mi mostrò come vi faceva giornalmente note, ciascuna di mezza o d’una pagina; parlò di quest’abitudine, che egli avrebbe preso qui a Roma, circa dieci anni fa; sfogliò e mi lesse, scegliendo alcune cose, con delle pause, i passi seguenti delle ultime settimane: “Terminato il libro di Robespierre sul Terrore… Terminato il libro di Poincaré su Verdun. La sua critica sugli italiani. (Seguono note sul contegno di alcuni reggimenti francesi, con critica)… Cominciato da giornalista un libro su Napoleone… La marcia ungherese del Faust di Berlioz mi piacque molto… E’ un errore che la deflazione sia una causa della crisi, ne è una conseguenza. Proviene dal nascondere il denaro. Non è prodotta dal governo, bensì dai capitalisti che nascondono il loro denaro… Morto Briand. Non ha osteggiato l’Italia. Ei morì quando la Francia ufficiale volle distruggere la sua politica conciliativa. A ciò egli ha sopravvissuto un anno. Pieno di talento e di idee, ma è giusto il giudizio di Poincaré che egli fosse un bohémien… Ho letto il libro di Siegfried sulla crisi inglese, e a pagina 195 egli dice che l’Inghilterra è come un battello ancorato nelle acque europee, ma sempre pronto ad avventurarsi fuori… Il Banco di San Giorgio a Genova, la prima società anonima del mondo…” (E. Ludwig, Colloqui con Mussolini Milano, 1932, pp.208-209).
La scarsa novità e originalità di questi diari, i numerosi silenzi e lacune, come pure il loro carattere prevalentemente descrittivo e impressionistico non costituiscono di per sé un motivo sufficiente per negare anche la loro autenticità, tanto più che una giustificazione, sia per le lacune che per il carattere spesso cronachistico, episodico, impressionistico e aneddotico del contenuto di queste agende, sembra data dal loro stesso autore col pensiero rivolto ai futuri lettori. Per esempio, alla data 12 agosto 1935 si legge:
In questo mio giornale “quotidiano” scrivo quanto mi appare più limpido e chiarificatore nel corso della giornata, esprimo i miei pensieri, racconto brevi episodi di ogni giorno. Le mie considerazioni sui vari fenomeni della natura. Quanto è accaduto e quanto può accadere. Immagini a scatto rapide e sostanziose. Non rivelo segreti (che non ho) né retroscena politici né intrighi diplomatici né particolari sconosciuti su tanti personaggi che si orientano nella mia giornata, dei quali pochissimi adamantini - pochissimi fidati - e quasi tutti mossi da personali interessi come vuole la regola della vita umana.
E ancora, alla data 12 novembre 1937 (data manoscritta nella pagina del 10 novembre):
mi compiaccio di interessarmi nel mio giornale su argomenti passeggeri non impegnati ed evitare quei fatti che è spiacevole ricordare.
In conclusione, per quanto riguarda la novità e l’originalità di questi diari, si può dire che il loro contenuto non è particolarmente innovativo per la conoscenza della vita di Mussolini e del periodo storico di cui fu protagonista, almeno per quanto riguarda le vicende politiche.
Inoltre, la concordanza, riscontrata attraverso numerosi confronti, fra le fonti edite e il contenuto di questi diari, se da una parte potrebbe essere considerata una conferma della loro veridicità, d’altra parte lascia tuttavia molto perplessi, proprio perché, come si è già detto, per quanto è stato possibile accertare, non vi è nei diari nulla di significativo e di importante che non si trovi già in altre fonti edite pubblicate prima o dopo la morte di Mussolini. Pertanto non si potrebbe escludere l’ipotesi, in mancanza di altre attendibili prove di autenticità, che questa concordanza derivi dalle stesse fonti edite, alle quali avrebbe attinto Fautore dei diari.
In ogni caso, la novità e l’originalità di queste agende, se ne fosse dimostrata con prove inconfutabile 1′autenticità, consisterebbe principalmente nell’immagine di Mussolini che vi è rappresentata, perché, per molti aspetti, è un’immagine che contrasta nettamente con l’uomo e il personaggio politico come appare da altre testimonianze e documenti.
Il Mussolini di questi diari si presenta come un uomo alquanto romantico e sentimentale, quasi crepuscolare, che ama annotare intime impressioni, emozioni, stati d’animo, vagheggiamenti e desideri; è un uomo solo, solitario, misantropo, padre e marito affettuoso, che tesse spesso nel diario le lodi della moglie per il suo carattere e la sua saggezza, anche se non mancano allusioni o velati accenni ad avventure extraconiugali con altre donne,e che soprattutto predilige la famiglia e la quiete familiare:
23 febbraio 1936 “Varcata la porta della mia casa divento il più felice degli uomini, perché ho una famiglia, delle creature che amo e che mi amano. Mi sento sicuro per tutto, posso finalmente avere fiducia”.
A questo ritratto dell’uomo Mussolini, del tutto opposto al personaggio storico, che proiettava pubblicamente di sé l’immagine di un uomo che seguiva quotidianamente la massima “vivere pericolosamente”, si accompagna l’immagine di un uomo politico, che è quasi un duce riluttante, spesso in contraddizione con il capo politico e il personaggio pubblico quale appare da altri documenti, dai diari e dalle memorie dei suoi più intimi collaboratori.
Per esempio, il Mussolini di questi diari non è animato dalla passione della politica e del potere, detesta la teatralità delle cerimonie e dei rituali, non ama essere adulato e adorato dalle masse (1 agosto 1939: “Mi considerano un nume un iddio un chi sa chi (o mi consideravano – o non mi hanno mai considerato tale - o mi hanno considerato soltanto per quella insana e primordiale mania di adorare un meticcio [sic!] qualunque”), che rivela tratti di consapevole umiltà (21 settembre 1939:”Mi credevo un superuomo!! Oggi mi sento un povero diavolo che faccio [sic!] sforzi immani per mantenermi in equilibrio, per esercitare il potere che mi ha affidato il destino”) ed è un dittatore suo malgrado, spesso disobbedito o ingannato, prigioniero più che capo di un sistema politico che osserva e giudica quasi fosse un osservatore estraneo, e non il fondatore e il duce del regime fascista, sul quale esprime spesso commenti molto negativi, anche sprezzanti, così come si esprime sprezzantemente nei confronti della massima parte dei suoi collaboratori, compreso Galeazze Ciano, di cui il Mussolini di questi diari sembra tuttavia essere talvolta un succube consapevole.
Inoltre, il duce di questi diari appare quasi sempre contrario alle scelte più importanti della politica fascista, quasi fossero decisioni prese da altri contro il suo parere, e spesso confida al diario la sua opposizione ad iniziative più gravi, nel momento stesso in cui le fa approvare, come, per esempio, nel caso della legislazione antisemita: ‘Il consiglio dei ministri di ieri - si legge nella nota del 13 novembre 1938 - vota la legge per la difesa della razza. Si vorrebbero espellere gli ebrei dal Partito. No - non approvo”; e, ancora, nella nota dell’ 11 febbraio 1939: ‘Io sono contro le leggi razziali. Gli ebrei vivano come hanno sempre vissuto. La razza ariana o no per me è la stessa cosa “.
Infine, il Mussolini di questi diari non solo odia e teme Hitler, ed è contro la guerra nel 1939, ma dichiara spesso di non avere ambizioni di espansione territoriale, neppure nel Mediterraneo: non vuole “occupazione dell’Albania”, non vuole la Corsica, la Tunisia, Nizza, e alla fine depreca persino l’avvenuta conquista dell’Etiopia come un’impresa inutile.
L/immagine di un Mussolini buon uomo, dittatore bonario, duce riluttante e debole; politico disinteressato, unicamente dedito a servire la patria e gli interessi della nazione, potrebbe apparentemente corroborare l’ipotesi della “autenticità postuma” di questi diari, nel senso che sarebbero stati scritti o riscritti da Mussolini stesso dopo il 1940, con evidenti intenti apologetici di autogiustifìcazione e di autoassoluzione.
Anche l’immagine di un Mussolini intimista, malinconico e solitario, potrebbe apparire come un elemento di conferma della autenticità dei diari, poiché corrisponderebbe alla descrizione che del contenuto dei diari originali hanno dato i figli di Edvige Mussolini: all’origine dei diari (s’intende che parliamo qui delle agende 1921-1940, delle quali abbiamo avuto conoscenza diretta, e non di quelle degli anni successivi) sta la solitudine, intima e politica, dell’uomo che li ha redatti. Nella lettera con la quale affidava le agende alla sorella, Benito Mussolini definiva amara la sua solitudine [...] un diario, che era un po’ pro-memoria e un po’ confessione, riflessi così sobri, alieni dalla polemica e dal rancore come dall’orgoglio, volta a volta precisi nella obiettività di un ricordo o immalinconiti da un rimpianto. (E. Mussolini, Mio fratello Benito, Firenze 1957, p. 231).
Un’altra caratteristica peculiare di questi diari è la presenza di prolissi resoconti dei frequenti viaggi fatti dal duce in varie regioni d’Italia, annotati fin nei minimi dettagli, con l’elencazione dei singoli paesi, villaggi e borghi incontrati lungo il percorso, e persino con l’indicazione delle svolte, delle salite e delle discese, fino alle soste perla merenda.
E altrettanto prolisse e dettagliate sono le note che descrivono le visite del duce a stabilimenti, cantieri, fabbriche, opere in costruzioni, delle quali sono citate sempre, con ostentata pignoleria, le dimensioni, le caratteristiche tecniche, le funzioni.
Anche questa dovizia di particolari, apparentemente inediti e personali, potrebbe avvalorare l’ipotesi dell’autenticità di questi diari, anche nel senso di una “autenticità postuma”, poiché lo stile e l’intonazione di questo tipo di annotazioni, spesso accompagnate da esclamazioni malinconiche o entusiastiche di amore per la vita e per la natura, appaiono coerenti con l’immagine dell’uomo Mussolini che questi diari descrivono.
In verità, proprio queste annotazioni sono state la fonte della maggiore perplessità sull’autenticità dei diari, a causa della frequente concordanza, spesso letterale, fra il testo delle agende e le cronache dei giornali, che trattano gli stessi avvenimenti.
Dal momento che questo genere d’annotazioni costituisce una parte molto ampia di queste agende, credo sia utile citarne vari esempi, tratti da anni diversi, mettendo a confronto le note del diario con la cronaca di alcuni giornali:
Diario 20 febbraio 1935 | “La Tribuna” 20 febbraio 1935 |
Esteso rimpianto aerodinamico riunito con un Grande fabbricato dove vi sono sei gallerie Del vento. Una avente 4 metri di diametro Con una potenza soffiante di 13 cavalli e una Velocità del vento di 360 km l’ora. 4 gallerie Di 3 mt di diam. Con potenza soffiante di 450 Cavalli e una galleria verticale di 3 mt Di Diam. Con potenza soffiante di 80 cavalli alfa Circa 30 metri. La galleria verticale (di cui esistono solo 3 esemplari al mondo) permette di studiare il comportamento dell’area in perdita di velocità in vite e altre manovre acrobatiche. Diario, 15 agosto 1935 le riviste sullo scenario pacato dei monti del Matese dolcemente velali dall’ ultimo sole | Non meno importante è l’impianto aerodinamico riunito in un grande fabbricato. In complesso ci sono sei gallerie del vento: una avente 4 metri di diametro con potenza soffiante di 1300 cavalli e velocità massima di 360 chilometri all’ora; quattro di diametro di due mt. Con potenza soffiante di 450 cavalli cadauna, e una verticale, di tre metri di diametro con potenza soffiante di 80 cavalli alta circa 30 metri. La galleria verticale di cui esistono al mondo soltanto tre esemplari, permette di osservare e studiare il comportamento dell’aeroplano in “perdita di velocità” in vite e in altre manovre acrobatiche. “II Popolo d’Italia” 16 agosto 1935 le riviste sullo scenario pacato dei monti del Matese si illuminano degli ultimi raggi del sole al tramonto |
Diario, 25 agosto 1936 “Corriere della Sera”, 26 agosto 1936 | “Corriere della Sera, 26 agosto 1936 |
Stamane di buon ora visita alla truppa operante in tutta l’Irpinia. Lascio Avellino particolarmente suggestiva. La città vecchia mi piace, fra strade e vicoli emerge il duomo vetusto, solenne, mentre la città nuova è tutta ridente fra il verde. San Polito Ultra, Paroline e Salza Irpinia sono borghi rurali [...]A Volturara la strada sale a Monte Marano alla piana del Dragone sfileranno le truppe che partecipano alle grandi manovre. In inverno la Conca del Dragone raccoglie le acque che sorgono dal terreno per le falde loriche sotterranee e per le fiumane che si rovesciano dalle alture circostanti e si trasforma in un lago ~ ma in primavera le acque per un fenomeno carsico si ritirano ” scompaiono e la valle si trasforma in una zona erbosa fiorita invitante a! pascolo ai numerose greggi. Sosta piacevolissima presso Ponte Romito - all’ombra di un gigantesco castagno mi fermo. Colà mi viene offerta una frugale merenda. Ritorno ad Avellino abbastanza stanco. Diario, 26 agosto 1936 Salgo al santuario di Monte Vergine - vi si giunge per una strada impervia fra le selve della Valle della Guardia e la dura salita del Portento, Ad Ospedaletto d’Alpinolo la via è cosparsa di lauro e di mirto! [...] Visito attentamente il Santuario riccamente adorno di marmi e di affreschi e custode di leggende e di lontane memorie.[...J Pare che gli Osci vi avessero eretto un tempio a Cibele che Virgilio vi salisse per apprendere dai sacerdoti della Dea le profezie sibilline. | Mussolini ha lasciato il campo assai di buon ora.[...J ha percorso quella parte della città che è raccolta intorno al vecchio Duomo e che con le sue strade strette e contorte presenta un vìvo contrasto con la parte più moderna. San Polito Ultra, Paroline e Salza Irpinia, villaggi ove la popolazione, schiettamente rurale[...] Oltre il bivio di Volturara la strada sale verso Monte Marano, è apparsa la piana del Dragone[....] La grandiosa conca, che nel periodo invernale è sommersa dall’acqua per innalzarsi della falda idrica sotterranea e per l’apporto dei torrenti che vi giungono da tutte le alture circostanti, costituisce in estate una preziosa zona di pascoli opimi[...] In primavera, per un singolare fenomeno carsico, le acque raccolte in inverno vengono riassorbite dagli oscuri meandri calcarei e nella piana prosciugata trasmigrano i pastori. Presso Ponte Romito, all’ombra di un gigantesco castagno, il Capo del Governo ha sostato a consumare sull’erba il suo ‘rancio’. Poi ha fatto ritorno ad Avellino. “Corriere della Sera”, 27 agosto 1936 per la via tagliata tra i rigogliosi frutteti e i bei boschi della Valle della Guardia, e presto ha attaccato l’aspra salita del Partenio. Ospedaletto d’Alpinolo a una svolta della strada è apparsa d’improvviso tutta agghindata a festa con le vie ricoperte di un verde e profumato tappeto di foglie di lauro e di mirto.[...] Si inizia allora la visita al santuario ricco di marmi e affreschi, di reliquie e di fascinose leggende[...]Non è stato detto che sorge la dove gli Osci avevano eretto un tempio a Cibele e che Virgilio venne ad apprendere dai sacerdoti della dea il senso delle profezie sibilline? |
Diario, 27 agosto 1936 | “Corriere della Sera” 28 agosto 1936 |
Giornata laboriosa. Non sono ancora le sette quando esco da Avellino.[...] Dopo la visita alle miniere di zolfo a Tufo mi compiaccio di una sosta sotto un folto di castagni. [...] Colazione al sacco. Dalle auto vengono recate delle provviste. Si aprono i cestini delle cibarie. E’ il tocco passato quando il viaggio riprende sotto un sole infuocato verso Potenza. | II duce ha avuto una giornata laboriosissirna…alle 7 egli usciva da Avellino [...] A Tufo Mussolini scende per pochi miniti. Egli è atteso alle miniere di zolfo…Poco dopo Altavilla Irpinia l’autocolonna si ferma un’altra volta. Il Duce scende e si avvia con il seguito verso un folto di castagni. Dalle macchine vengono portati i cestini con provviste. Merenda sull’erba. E’ il tocco passato. Il sole dardeggia nel pomeriggio quando il Duce riprende il suo viaggio verso Potenza. |
Diario, 27 agosto 1936 | “Corriere della Sera”, 29 agosto 1936 |
Sul fianco del ripidissimo costone che Precipita nella valle sia aprono centinaia di abitazioni troglodite. Siamo in dietro almeno di diecimila anni! I vecchi governi anche quando ebbero uomini delle Lucania non si occuparono di questa regione che è l’immagine della miseria (…) Il “sasso” dovrà sparire e rimanere soltanto un’attrattiva per turisti. | Sui fianchi del ripidissimo costone che precipita a valle - vera bolgia dantesca - si aprono centinaia di abitazioni trogloditiche. I vecchi Governi, anche quando ebbero a capo uomini di Lucania, evitarono sempre di occuparsi di questa dolorosa bruttura (…) Fino quando l’intero “sasso” sparirà e rimarrà soltanto come una attrattiva per i turisti. |
Diario, 31 marzo 1939: | “La Stampa”, 1 aprile 1939: |
incontro con una fanciulla - medaglia d’oro appuntata sul petto - è la sorella dell ‘aviatore Minniti - selvaggiamente trucidato dagli abissini. Salgo sull ‘arengo. I moschettieri snudano i pugnali, le insegne sfavillano nei sole, labari orifiammi gagliardetti, i volti, i cuori, gli animi protesi in un deciso e spontaneo lancio generoso. (…) seguono la visita al porto in via di ampliamento. Vi è un Gruppo sperimentale delle Essenze. La Calabria produce bergamotto su ventimila ettari. Il nuovo quartiere delle case popolari è già realizzalo. 12 lire al mese di pigione, locali puliti confortevoli, impiantì igienici; orto e giardino - non e ‘è male!! | Poco oltre è una signorina vestita di nero, anch’essa con il segno di una medaglia d’oro. Il Duce la chiama a sé e si intrattiene brevemente con lei: è la sorella dell’aviatore Minniti, caduto prigioniero degli abissini e orrendamente seviziato agli inizi dell’impresa.[.-.]0ra il Duce sale sull’arengario.[...] I Moschettieri snudano i pugnali: mani, fazzoletti, berretti, l’acciaio dei moschetti e delle baionette, le sete e gli ori delle insegne, i volti, i cuori, gli animi, tutto è proteso verso di Lui.[...]La prima visita è per il porto dove sono in corso notevoli lavori di ampliamento. [...]Poi breve sosta al Gruppo sperimentale delle essenze, dove è offerta al Duce la documentazione di un autentico primato della provincia di Reggio (la produzione del bergamotto si estende su un’area di 24 mila ettari [....]Le case, la cui pigione non supera le dodici lire mensili, sono circondate da un orto giardino: piacciono al Duce, che ne loda la struttura. |
Diario, 14 marzo 1939 | “Corriere della Sera” 15 marzo 1939 |
Oltre ponte Milvio dopo la piazza Cardinal Consalvi sorge un fragoroso cantiere si costruisce il nuovo ponte “28 ottobre” cinque arcate lunghezza 440 metri. 160 mila giornate lavorative. Non e ‘è male. Ritorno a ponte Milvio e vado alle pendici di Monte Mario - profumo di eucalipti, fragranza di pini [...]. Sono nella distesa del “Foro Mussolini” sopraluogo ai lavori di ampliamento della Casa Littoria - nove piani - i 200 ambienti, lavoro per tutti. Oltre ponte Milvio dopo la piazza Cardinal Consalvi sorge un fragoroso cantiere si costruisce il nuovo ponte “28 ottobre” cinque arcate lunghezza 440 metri. 160 mila giornate lavorative. Non e ‘è male. Ritorno a ponte Milvio e vado alle pendici di Monte Mario - profumo di eucalipti, fragranza di pini [...]. Sono nella distesa del “Foro Mussolini” sopraluogo ai lavori di ampliamento della Casa Littoria - nove piani - i 200 ambienti, lavoro per lutti. Sono al ponte “Duca d’Aosta” in via di ultimazione. Lunghezza 224 mi, largo 35 mt. una sola campata centrale di 100 mt e due laterali piccole ricadenti sulle golene a i 22 mt ciascuna. I piloni centrali avranno bassorilievi ispirati alla III Armata del duca. Questo ponte ha dato lavoro a 300 operai per due anni. Ritorno sul Lungo Tevere dove sorgeranno altri tre ponti. Il ponte “Africa” che collocherà la stazione di Trastevere con viale Africa a valle di ponte Sublicio - pronto nel ‘40. Ha un ‘unica luce di 96 metri. Il ponte “San Paolo” in prossimità della Basilica che unirà Trastevere con la zona dell’ “E. 42 “. Avrà la campata centrale apribile per le esigenze della navigazione. Sarà attivato nel ‘40. | nuovamente la colonna delle autovetture si snoda e si dirige su Ponte Milvio. Anche qui, sulla sinistra del Tevere, dopo piazza Cardinal Consalvi, è un cantiere fragoroso di opere intense [...] Ponte 28 Ottobre. Il ponte è a cinque arcate ed ha una lunghezza di m. 440 [..^Richiederà l'impiego di circa 160 mila giornate lavorative,[...]Il Duce, risalito in automobile, procede ora attraverso ponte Milvio per la zona del Foro Mussolini entra in un vastissimo cantiere alle pendici di Monte Mario coronate di eucalipti e di giovani pini.[..]Si tratta di un monumentale edificio che in circa 1200 ambienti distribuiti in nove piani[-..] Alla visita alla Casa Littoria [...] segue quella al ponte “Duca d’Aosta” in via di ultimazione. Il ponte è largo m.35, lungo 224, con una campata centrale di 100 metri e due piccole campate laterali ricadenti sulle golene di 22 metri ciascuna. I quattro piloni terminali avranno bassorilievi marmorei ispirati ad episodi della gloriosa Terza Armata [...]“Duce! Questo ponte - voluto da Voi - ha dato lavoro a 300 operai”.[..,] E la corsa riprende lungo il fiume, verso i lavori dei tre nuovi ponti[...]il ponte d’Africa, a valle del ponte Sublicio, che collegherà il Viale Africa con la nuova stazione di Trastevere [..] sarà ultimato entro il 1940. |
Una così frequente concordanza, di cui ho citato soltanto alcuni esempi più evidenti, fra note di diario e cronache di giornale, in tutte e cinque le agende, potrebbe esser spiegabile con l’ipotesi della “autenticità postuma”, cioè immaginando un Mussolini che scrive o riscrive i suoi diari durante la seconda guerra mondiale, rinfrescandosi la memoria e con la lettura dei giornali o utilizzandoli per ricostruire lo svolgimento dei suoi viaggi e delle sue visite.
In questo caso, se fosse dimostrata la validità di questa ipotesi, ci troveremmo di fronte alla realtà di un Mussolini il quale, per compilare “a posteriori” le sue note, non solo si sarebbe avvalso ampiamente della stampa dell’epoca, ma avrebbe addirittura commesso veri e propri plagi, copiando o parafrasando le cronache dei giornali.
Tuttavia, neppure l’ipotesi di un Mussolini plagiario, che dedicatanto tempo a trascrivere dai giornali i suoi diari “postumi”, per quanto sia in sé inverosimile, potrebbe essere una dimostrazione certa della loro autenticità, perché, se anche si accettasse questa ipotesi, resterebbero ancora inspiegabili altre numerose anomalie, delle quali saranno citati alcuni esempi, così suddivisi;
1. Nomi errati ed errori grammaticali
2. Discordanze cronologiche
3. Incongruenze
4. Inesattezze
NOMI ERRATI ed ERRORI GRAMMATICALI
28 maggio 1935:
A proposito del conseguimento del brevetto di pilota del figlio Bruno si legge: “L’istruttore maggiore Testone“. Tutti i giornali coevi, dando la notizia, scrivono Angelo Tessore, nome esatto confermato anche dal brano sul fratello Bruno di Vittorio Mussolini, che lo stesso duce cita nel libro Parlo con Bruno: “ebbe come istruttore il maggiore Tessore Angelo” (p.211)
4 giugno 1935 e 11 dicembre 1935:
“Vansittard” e “Vansittar sottosegretario permanente al Foreign Office” invece di Vansittart
3 dicembre 1935:
“Edoardo Ganna nuovo federale per l’Eritrea“, invece di Leonardo.
7 marzo 1936:
“Un fatto eccezzionale“.
22 ottobre 1936
Approva programma Maggio musicale (lo dice il “Messaggero” 23 ottobre) e cita “…L’incarnazione di Poppea, Monteverdi (non la conosco)” invece di incoronazione.
24 giugno 1937:
“Mario Apelius” invece di Appelius
25 agosto 1937
“Canigatti” invece di Canicatti.
26 settembre 1937:
“Neubundeburg” invece di Neuebrandenburg
4 dicembre 1937:
“Il conte di Moldano” invece che Mordano.
21 febbraio 1938:
“Hitler ha parlato a Berlino. Se le presa con Eden e Chamberlain”
3 luglio 1938:
“Sono passati 20 anni da quando ho fatto il primo volo. Luglio 1918….Lo pilotava l’asso Mario Stoppani” invece di Antonio.
1 aprile 1939:
“Verso Castello Arnone” invece di Cancello Arnone.
23 giugno 1939:
“Sono a Norciana di Romagna” invece di Morciano di Romagna.
20 settembre 1939:
“i discorsi imprudenti di Churcill” invece di Churchill.
27 settembre 1939
“il movimento popolare iniziato da Marx ed Hegel e seguito da Lenin” invece di Engels
10 ottobre 1939:
“E’ la terra dei grandi maestri: Marx, Hegel, Niezsche” invece di Nietzsche.
24 ottobre 1939
“da Nietzsche alla “Meriade” di Federico Klopstock” - invece di Messiade.
8 dicembre 1939: “Gli altri? A parte qualche eccezzione sono quieti e fiduciosi”.
(1939) foglio sparso senza data: “Adolf Hitler. Chi è costui? Un uomo eccezzionale“
2. DISCORDANZE CRONOLOGICHE
2 aprile 1935:
“Nel tardo pomeriggio apparizione teatrale del Marajà”
“Il Popolo d’Italia” (”Roma, 2 notte. Ieri nel pomeriggio”) e il “Messaggero” (”Ieri l’altro nel pomeriggio il Duce ha ricevuto il Maharja”) del 3 aprile riferiscono che la visita è avvenuta il 1 aprile.
6 giugno 1935:
“Ricevo….la professoressa Elisabetta Hazelton Haight“.
La nota riproduce quasi letteralmente il comunicato pubblicato dalla stampa del 6 giugno, da cui risulta che la visita era avvenuta il 5 giugno.
12 luglio 1935:
“Stamane ho firmato la convenzione consolare tra l’Italia e la repubblica polacca”
I giornali del 12 luglio scrivono, a proposito di questa notizia, “ieri”
19 luglio 1935:
“Ieri Oppo è stato ricevuto (…) Oggi i piloti civili”
“Il Popolo d’Italia” del 20 luglio scrive che Oppo è stato ricevuto il 19 e il “Messaggero” del 21 luglio scrive che i piloti furono ricevuti il 20 luglio.
23 luglio 1935:
“Vado a Modigliana”
I giornali danno la notizia il 23 ma si riferiscono al 22 luglio pomeriggio.
13 agosto 1935
“La conferenza del Tripartito avrà luogo dopodomani 15 agosto”
Nel suo diario, l’ambasciatore Pompeo Aloisi, che partecipò alla conferenza (Journal, Paris 1957, p.295), scrive che la conferenza iniziò alle 10,30 del 16 agosto.
6 settembre 1935:
“Nella seduta del 5 sett. Aloisi ha ottenuto che il preciso e dettagliato piano italiano sia esaminato da un Comitato che dovrà riferire al Consiglio della SdN. Oggi il Consiglio ha iscritto la questione etiopica all’ordine del giorno”.
Le date non corrispondono con il diario di Aloisi, il quale scrive: “6 septembre….Nous continuons durant toute la matinée les tractations pour la nomination du Comité de SDN, qui examinera la question italo-éthiopienne. Je maintiens fermement mon point de vue: que l’Angleterre ne fasse pas partie du comité ed qu’il soit composé de petites nations….Ainsi, à la séance de 17 heures, le comité est crée. »
(Journal, pp.300-301)
7 ottobre 1935 :
“Ho mandato una lettera al ministro Samuel Hoare tramite l’ambasciatore a Londra: Grandi“.
La lettera era stata consegnata da Grandi a Hoare il 4 ottobre.
Mussolini ne parlò con Jules Sauerwein del “Paris-Soir” il 6 ottobre (cfr. Opera Omnia, XXXVII, p.XLI) e l’intervista fu pubblicata sul “Popolo d’Italia” il 7 ottobre: “Ho fatto rimettere a Sir Samuel Hoare….una lettera indirizzata al nostro ambasciatore a Londra”.
2 novembre 1936:
La descrizione della sequenza delle visite compiute a Milano, Pavia e altre località lombarde nei giorni del 2 e 3 novembre è del tutto in contrasto con la sequenza descritta dai giornali consultati. Per esempio, nel diario si dà per avvenuta il 2 novembre la visita a Lonato Pozzolo e agli stabilimenti della SIAI, che secondo il “Corriere della Sera” e altri quotidiani sarebbe invece avvenuta il giorno 3 novembre, al ritorno da Pavia, dove Mussolini effettivamente si recò il 3 novembre, come riferito nel diario. Il diario inoltre annota al 2 novembre la partenza in treno da Milano alle 19,30 sul treno presidenziale, per andare a Pavia, ma nel diario stesso si legge il 3 novembre “Arrivo in macchina alle 9 in Piazza Dante a Pavia”, mentre nella stampa risulta che la partenza in treno da Milano alle 19,30 riguarda il ritorno a Roma il giorno 3 novembre.
14 gennaio 1937:
“Visita complessa della Giunta Direttiva dell’Associazione naz. Volontari di guerra. Il presidente Coselschi offre una statua di Cesare Augusto“.
“Corriere della Sera”, “Il Messaggero” e il “Popolo d’Italia” del 13 gennaio scrivono che la visita è avvenuta il 12.
25 febbraio 1937
“A Milano al Castello Sforzesco il cardinale Schuster ha pronunciato un discorso”
Il discorso è stato pronunciato il 26 ottobre come risulta dalla cronaca del “Corriere della Sera” e del “Popolo d’Italia”.
14 aprile 1939:
“Oggi si è fatto un esperimento antiaereo qui a Roma”
Nel “Messaggero” del 14 aprile si legge, con riferimento al 13 aprile: “Ieri mattina….Il Duce ha seguito tutto l’esperimento” dalle 10 alle 13.
3. INCONGRUENZE:
13 febbraio 1935:
“Sono in incognito” (ad uno spettacolo all’Augusteo)
Nel “Messaggero” del 14 febbraio si legge: “…in un altro palco il Duce…Al termine dell’inno coristi e pubblico rivolti verso il palco ove era il Duce, gli hanno tributato una calorosissima manifestazione prolungatasi per vari minuti”.
16 giugno 1935:
“Le mie meditazioni vengono interrotte dalla visita dell’elegante e festaiolo Prezzolini”.
Prezzolini fu ricevuto il 15 giugno, come risulta dalla cronaca dei giornali e dalla consultazione del registro delle udienze, fatta dal dr. Bocca presso l’Archivio Centrale dello Stato; sembra inoltre strano che Prezzolini apparisse “festaiolo” al duce in quell’incontro, se in quella stessa occasione, come sappiamo da testimonianza dello stesso Prezzolini, questi diede a Mussolini la notizia della morte del figlio Alessandro: “ricordo - racconta Prezzolini nelle memorie - che non disse nulla, ma si tenne in piedi diritto, senza parlare per un minuto. Come se volesse commemorare mio figlio”. (Prezzolini, L’italiano inutile, Milano 1953, pp.181-182). Inoltre, sembra anche singolare questa unica, laconica e insignificante annotazione su un personaggio come Prezzolini, che aveva contato molto nella formazione e nell’attività giornalistica e politica di Mussolini, e del quale il duce parlò spesso con il suo biografo ufficiale (cfr.Yvon De Begnac,
Palazzo Venezia, Roma 1950 e ld., Taccuini mussoliniani, Bologna 1990).
16 luglio 1935:
“Visita del sig. Kaltenborn capo ufficio stampa della Colombia. Mi parla di Bogotà edificata a 1611 mt. sulla Cordigliera“. 17 luglio: “Confermo quanto dissi a Kaltenborn io peroro la causa di una estesa impresa coloniale sul territorio abissino piuttosto di una guerra di conquista.”
Hans v.Kaltenborn incontrò effettivamente Mussolini nel 1935, e durante quest’ultimo colloquio parlò col duce della questione di Etiopia. (Cfr.H.v.Kaltenborn, Fifty Faboulous Years, 1900-1950, New York 1950, pp.194-195; ld., It Seems Like Yesterday, New York 1956, pp.60-61), ma l’incongruenza di questa annotazione sta nel fatto che Kalternborn non era capo dell’Ufficio stampa della Colombia intesta come lo Stato dell’America latina, come sembra intendere l’autore del diario, ma lo era della Columbia Broadcasting Corporation, come si legge anche nel comunicato dell’udienza pubblicato sui giornali, e quindi non si capisce perché avrebbe dovuto parlare al duce di Bogotà (che è a 2650 metri e non 1611).
10 novembre 1935:
“Il re ha manifestato (sic!) il comando della spedizione della prossima avanzata a Badoglio togliendolo a De Bono. In tal modo si darebbe soddisfazione all’Esercito che potrebbe essere sottovalutato dal prestigio della Milizia, di cui De Bono ebbe il primo comando“.
Mancano evidentemente alcune parole o un’intera frase.
4 dicembre 1935:
“Ieri conversando con la mamma di Corridoni signora Enrichetta ricordammo la lettera che Filippo scrisse nel ‘15: ‘Andiamo a combattere per la Francia invasa il Belgio martire e l’Inghilterra minacciata’. Oggi quelle nazioni immemori del sacrificio di tanti italiani per loro ci ricambiano ponendosi a livello della selvaggia Etiopia“.
La lettera della signora Corridoni è citata con un commento quasi letteralmente simile a questa nota di diario, ne “La Tribuna” del 3 dicembre, ma nel giornale viene detto che la lettera fu citata durante l’incontro di Mussolini con madri e vedove dei caduti della Grande Guerra, avvenuto il 1° dicembre, di cui si parla nel diario del 1° dicembre, ma senza citare la madre di Corridoni. Fu nel discorso tenuto in quella occasione che Mussolini si espresse nel modo citato nel diario del 4 dicembre. Disse Mussolini nel discorso del 1° dicembre: “Non è senza emozione che ieri leggevo la lettera della madre di Filippo Corridoni, che ricordava il messaggio lanciato dal figlio, nell’atto di partire per il fronte, all’Unione sindacale milanese: ‘Andiamo a combattere per la Francia invasa, il Belgio martire e l’Inghilterra minacciata’. Ora quelli che noi abbiamo aiutati, congiurano contro l’Italia”.
12 marzo 1936:
“Visita di Ines e Wanda Oraziani consorte e figliola del generale - mi
portano in dono, un cimelio requisito a Neghelli. Due gentili e
graziose signore. “
La visita, resa nota da un comunicato stampa, non fu casuale, come sembra dalla nota del diario, ma avvenne per un motivo preciso, come risulta dal telegramma di Mussolini a Rodolfo Oraziani del 12 marzo: “Per tagliare corto alle stupide vociferazioni, appena ricevuto vostro telegramma ho chiesto di vedere Vostra moglie e Vostra figlia, che sono venute a Palazzo Venezia” {Opera Omnia , XLII, p.144). E’ strano che nulla sia detto nel diario del motivo che aveva provocato la visita ne del telegramma a Oraziani.
1 marzo 1938:
“Nelle mie udienze introducono uno strano personaggio si chiama Coselschi offre opuscoli quaderni e volumi una quantità impressionante e ingombrante. Tutto a sfondo antibolscevico.”
Il duce conosceva bene Eugenio Coselschi e lo aveva ricevuto altre volte, per esempio il 21 settembre 1935, come risulta dai giornali, quando riferì al duce sul convegno d Montreaux, e ancora il 13 gennaio 1937, come è scritto in questo stesso diario.
30 marzo 1938
“Parlo al Senato dopo 13 anni di silenzio. 2 aprile del 1925“.
In realtà Mussolini, come capo del governo, aveva parlato in molte occasioni al Senato dopo il 1925. Nel discorso del 30 marzo 1938, le sue parole furono: “Sono esattamente passati tredici anni dal giorno in cui - 2 aprile 1925 - io ebbi l’onore di parlare dinanzi a voi su problemi di carattere militare.” (Opera Omnia, XXIX, p.74).
23 luglio 1938:
“Invio al Popolo d’Italia un articolo sulla questione della razza argomento trascurato in passato ma di notevole importanza soprattutto dopo la conquista dell’Impero.”
Nel diario di Giorgio Pini, alla data del 25 luglio 1938, si legge: “25 luglio… Chiama dalla Romagna….Mi avverte che sarà diramata una dichiarazione di studiosi razzisti, compiacendosi di rilevare fra loro alcuni nomi noti. Aggiunge che manderà un suo corsivo sullo stesso argomento”. (G.Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, Rocca San Casciano, 1950, p. 158)
11 novembre 1938:
“Consiglio dei ministri. Poco rilievo. Assemblea senza storia”
Singolare che venga definito di “poco rilievo” il Consiglio dei ministri, che si era tenuto il 10 novembre e non FU, ed aveva approvato su proposta del duce il decreto legge recante i provvedimenti per la difesa della razza italiana, secondo le deliberazioni del Gran Consiglio del 6 ottobre 1938.
1 agosto 1939:
“Mi considerano un nume un iddio un chi sa chi (o mi consideravano o non mi hanno mai considerato tale - o mi hanno considerato soltanto per quella insana e primordiale mania di adorare un meticcio [sic!] qualunque”
Invece di feticcio, come sarebbe stato più logico nel contesto della frase.
1l agosto 1939:
“un modesto funzionario del Foreign Office - certo Strang“.
William Strang era una delle principali personalità del Foreign Office, inviato in quel periodo a Mosca con una delegazione inglese per colloqui con Molotov; la sua attività a Mosca fu ampiamente seguita e commentata dalla stampa italiana, con citazione del nome di Strang nei titoli, e anche con la sua foto in alcuni quotidiani. Nel diario si parla di Strang anche nella nota del 9 giugno.
16 agosto 1939:
“perché io inviai da Cavaliere una reazione [sic!] in Germania dove era dimostrato etc.” invece di relazione.
INESATTEZZE
24 gennaio 1935:
La nota riporta la lista dei ministri e sottosegretari nominati il 24 gennaio 1935, ma ci sono numerose inesattezze:
Suvich era sottosegretario agli Esteri dal 20 luglio 1932
Buffarini Guidi era sottosegretario agli Interni 1′8 maggio l933
Lessona era sottosegretario alle Colonie dal 12 settembre 1929
Baistrocchi era sottosegretario alla Guerra dal 22 luglio 1933
Cavagnari era sottosegretario alla Marina dal 6 giugno 1933
Valle era sottosegretario all’Aeronautica dal 6 novembre 1933
Thaon de Revei non fu nominato sottosegretario ma ministro delle Finanze (mentre il sottosegretario nominato il 24 gennaio era Bianchini, non citato nel diario)
16 maggio 1935:
“Il 17 maggio del ‘29 parlavo al popolo di Firenze (ho buona memoria)”
II discorso era del 1930 (Opera Omnia, XXIV, pp.235-236)
30 agosto 1935
“Battaglione alpini Edolo comandato dal leggendario generale Sora”
Era il maggiore Gennaro Sora.
1 gennaio 1938;
“Sono giunto al 1938 al 29 agosto sono 55 anni che compio”
Mussolini era nato il 29 luglio 188
2 febbraio 1939:
“anzi del tutto innocuo è il ministro Solmi erudito giurista che mi presenta la stesura del nuovo codice di procedura civile compiuto con la collaborazione d’esperti della complessa materia”.
Si trattava del progetto, non del testo compiuto.
9 marzo 1939
“// 23 marzo sarà inaugurata la nuova Camera dei Fasci e delle Corporazioni…i nuovi consiglieri nazionali (650 in numero totale) sostituiscono i deputati. Difficile la scelta, numerosi gli aspiranti [cancellato i candidati].”
In realtà non erano previsti “aspiranti” perché alla nuova Camera appartenevano automaticamente, in qualità di consiglieri nazionali, i gerarchi del partito e dirigenti delle corporazioni in funzione della loro carica, e per tutta la durata di questa.
Le varie anomalie sopra segnalate potrebbero essere spiegabili con l’ipotesi della “autenticità postuma”, ma in tal caso ci si troverebbe di fronte non solo ad un Mussolini plagiario, come nel caso della frequente concordanza fra passi dei diari e articoli di giornale, ma anche di fronte ad un Mussolini sgrammaticato, distratto, incongruente, smemorato, che cita a memoria dati insignificanti ma omette frasi o sbaglia a scrivere nomi e date importanti, compresa la sua stessa data di nascita.
Un’altra anomalia, più strana, è la nota del 18 dicembre 1937, dove è scritto:
Un consigliere militare del Negus certo Konovaloff accusa un giornale francese antifascista contro i comunisti rimasti in Italia, Si rivolge alla morte di Gramsci che rimase pochissimo in carcere date le sue condizioni di salute fu accolto in cliniche private. E’ morto di malattia non assassinato come accade spesso a generali funzionari di partito e altre personalità comuniste che quando dissentono vengono eliminati senza complimenti come è lo stile imposto da Stalin.
Questa nota contiene diversi errori e incongruenze. Innanzi tutto, non vi è nessuna relazione fra Konovaloff e la morte Gramsci; inoltre, il giornale citato non era francese ma era pubblicato negli Stati Uniti. Ciò risulta da due fonti edite, attribuite allo stesso Mussolini. Infatti, sul “Popolo d’Italia” del 31 dicembre 1937, è pubblicato un articolo non firmato col titolo “Konovaloff,” dove è recensita con elogio l’edizione italiana del libro dell’ex ufficiale zarista, che fu consigliere militare del Negus. Nello stesso numero del ” Popolo d’Italia”, appare un’altra nota non firmata, intitolata “Altarini”, dove si parla del giornale antifascista di New York “L’Adunata dei refrattari”, che riferisce di rivelazioni sul comportamento di Gramsci in carcere:
La figura di Gramsci - si legge nell’articolo - esce liquidata da queste rivelazioni. I comunisti hanno tentato di fame una specie di “santo” del comunismo, una vittima del fascismo, mentre la realtà è che Gramsci, dopo un breve periodo di permanenza nel reclusorio, ebbe la concessione di vivere in cliniche semiprivate o completamente private. Ed è morto di malattia, non di piombo, come succede ai generali, ai diplomatici, ai gerarchi comunisti, quando dissentono - anche un poco - da Stalin, e come sarebbe accaduto al Gramsci stesso se fosse andato a Mosca”.
Va fatto rilevare, a questo proposito, che l’accostamento del nome di Konovaloff al nome di Gramsci, e il riferimento ad un “giornale parigino [grassetto mio] antifascista”, si trovano anche in un passo della biografìa di G.Pini e D. Susmel, Mussolini. L’uomo e L’opera, III, Firenze 1955, p.402:
“Pubblicò [Mussolini] poi la recensione a un libro nel quale l’ex colonnello zarista Konovaloff, già consigliere militare del negus, illustrava il valore dei combattenti italiani nella guerra d’Etiopia. In un corsivo intitolato “Altarini”, riportò certe accuse di un giornale antifascista parigino contro dirigenti del comunismo clandestino in Italia, e a proposito di Gramsci precisa che etc. [segue la citazione sopra riportata].”
Un’altra discordanza di date riguarda un episodio narrato nel diario del 16 luglio 1938:
La mia scuola a Forlimpopoli. Quanti ricordi. Ora è un edifìcio vecchio direi anche sporco - confortevole - rimane del passato tutto quanto allora era negativo. Gli stessi insegnanti sono cenciosi rivelano l’immagine di una categoria di poveretti che non devono avere. Voglio che l’edificio della vecchia scuola sia rifatto e rimesso al passo dei tempi. Gli stessi maestri è bene che rivestano panni dignitosi. E tutti coloro che rivestono pubblici impieghi devono avere un aspetto gradevole ordinato che incuta dignità [cancellato: rispetto}.
Secondo le memorie di Rachele Mussolini la visita alla scuola di Forlimpopoli, seguita dall'idea di far vestire l'uniforme agli insegnanti, sarebbe avvenuta nel 1931:
Qualche mese dopo -era il 1° ottobre 1931 - Benito irruppe nella mia stanza con un telegramma in mano e mi disse: "Diventiamo vecchi, Rachele, siamo nonni ormai".[...j In una delle nostre visite fatte in quell'anno in Romagna, perché Benito voleva sempre rendersi conto delle necessità del suo paese, ci fermammo davanti alla sede dell'istituto Magistrale di Forlimpopoli, dove mio marito aveva compiuto parie dei suoi studi e si era diplomato maestro. (R.Mussolini, La mia vita con Benito, Milano 1948, p.109)
Un'altra curiosa anomalia è nella nota del 22 settembre 1939 dove è ripetuta due volte la stessa frase, qui evidenziata in grassetto:
I francesi si vantano dei famosi Somma da 22 tonn. Mitragliatrice e cannone da 47 mm. Gli altri tipi pure fortemente corazzati. Gli altri tipi pure fortemente corazzati. I Somma hanno una corazza da 40 mm.
Ci sono, infine, fra le varie anomalie di questi diari, due evidenti anacronismi. Uno è nella nota del 12 settembre 1939 dove è scritto "I carri armati sono di tré tonnellate contro le 40 dei Tigre", mentre i carri armati tedeschi "Tigre" furono introdotti nel 1942.
Questo anacronismo, tuttavia, potrebbe essere spiegabile con l'ipotesi della "autenticità postuma": cioè immaginando che Mussolini, scrivendo o riscrivendo concitatamente i suoi diari dopo il 1942, avrebbe potuto retrodatare per distrazione l'adozione dei carri armati Tigre.
L'altro caso di anacronismo è nella nota dell'11 ottobre 1936, e si riferisce ad un colloquio di Mussolini con Ottavio Dinale, figura che viene varie volte citata in questi diari come intimo amico del duce:
La domenica è un giorno di quiete [...] Tuttavia viene un amico [....] Bene, ecco l’amico, le sue polemiche e il tema della discussione. Una mia recente lettura il volume “Chataubriand”[sìc\] di André Maurois. L’amico è Dinale, l’intramontabile sapiente.
Questa nota del diario corrisponde a quanto scritto dallo stesso Dinale, il quale così ha ricordato il suo colloquio col duce a proposito del libro di Maurois:
Una bella domenica Mussolini mi mandò a chiamare, era l’ottobrata romana. Era già primo Maresciallo dell’Impero.[...] La domenica doveva essere una giornata tranquilla e serena. Hai letto il recentissimo volume “Chataubriand” [sìc\'\, di André Maurois?- Guarda combinazione, l’ho letto in questi giorni. (O. Dinale, Quaranta anni di colloqui con lui, Roma 1953, pp. 149).
La concordanza del ricordo di Dinale con il testo del diario potrebbe essere considerata un elemento probante a favore della sua autenticità, ma la data del colloquio, riportata nel diario, è errata. Infatti, il colloquio, secondo il ricordo di Dinale, sarebbe avvenuto non nell’ottobre 1936, come scritto nel diario, bensì nell’ottobre 1938, come risulta sia dal riferimento al grado di Primo Maresciallo dell’Impero, istituito nel 1938, sia dalla citazione del libro di Maurois su Chateaubriand, pubblicato nel 1938.
Anche in questo caso, l’anacronismo potrebbe essere spiegato con l’ipotesi della “autenticità postuma”. Ma questa ipotesi non spiegherebbe una singolare coincidenza fra il testo del diario e il testo di Dinale, cioè l’identico errore di trascrizione del nome di Chateaubriand, che in entrambi i testi è scritto “Chataubriand”.
Da questa coincidenza può nascere un’altra ipotesi: cioè, che il libro di Dinale potrebbe essere una delle fonti usate dall’autore dei diari, il quale, confondendo la data della proclamazione dell’impero (1936) con la data del Primo Maresciallo dell’impero (1938), avrebbe annotato per errore il colloquio sotto la data dell’11 ottobre 1936, lasciando immutata l’errata trascrizione del nome dello scrittore francese.
In conclusione, in seguito ai risultati della mia indagine, sulla base degli esempi e degli argomenti esposti - e in mancanza di altre inconfutabili o più convincenti prove della effettiva autenticità dei diari contenuti in queste agende - a mio avviso permangano fondati motivi per dubitare che il loro autore sia stato Benito Mussolini,
Roma, 30 gennaio 2005
EMILIO GENTILE
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