domenica 13 marzo 2011

Risorgimento: i neoborbonici e le amnesie sul Sud e i Mille di Garibaldi

7 settembre 1860: Garibaldi entra a Napoli
di Mario Avagliano

Il 150° dell'Unità d'Italia, dal punto di vista storico-politico, ha segnato una rivincita del Sud. Ne costituiscono una testimonianza il sorprendente successo di vendite di Terroni di Pino Aprile e l'uscita di saggi come Il sangue del Sud di Giordano Bruno Guerri, Gli ultimi giorni di Gaeta di Gigi di Fiore, I prigionieri dei Savoia di Giuseppe Novero. Questi libri hanno consentito di riesaminare alcune pagine nere della storia italiana, come l'assedio di Gaeta, le deportazioni dei meridionali ed alcuni violenti eccidi di cui si macchiò l'esercito sabaudo, a partire dalla strage di Pontelandolfo, nel Beneventano, del 14 agosto 1861. Guardando con occhio diverso anche alle "ragioni" sociali della rivolta dei briganti (le misere condizioni di vita del popolo, la mancata distribuzione delle terre, il forte aumento della tassazione, la leva obbligatoria), sulle quali si erano peraltro già espressi illustri studiosi della questione meridionale, da Guido Dorso a Gramsci.
Ma se è giusto sottoporre ad un sano "revisionismo" la vulgata storica dei vincitori, d'altro canto le vicende di quegli anni non possono essere riscritte ad uso esclusivo dei vinti, come ad esempio si è fatto per il fascismo, Salò e la Resistenza.
In questo processo di "riscrittura" della storia patria si è infatti dimenticato che alcuni dei maggiori teorici dell'utopia dell'Unità d'Italia e uomini d'azione della causa italiana furono meridionali, come i napoletani Vincenzo Cuoco, Alessandro Poerio e Carlo Pisacane (il quale in una lettera scrisse che anche il Sud ha dei doveri tremendi perché "ha sul collo una di quelle tirannidi che degradano chi le sopporta"). E ancora il calabrese Benedetto Musolino, i siciliani Rosolino Pilo, Francesco Crispi e Michele Amari, il pugliese Giuseppe Fanelli.
Si è dimenticato che il sogno dell’Unità d’Italia era allora un progetto di modernità. Rappresentava la “nazione” contrapposta al localismo settecentesco privo di sviluppo, di connessioni internazionali, di giustizia e di diritti civili. Significava richiesta di costituzione e di autogoverno. Ecco perché i patrioti meridionali nei decenni precedenti si erano rivoltati più volte contro i Borbone (basti pensare ai moti del 1799 e del 1848) e tanti di loro marcirono nelle carceri borboniche. Ed ecco perché quando nel 1849 Roma si sollevò, proclamando la Repubblica, anche da Napoli partirono moltissimi campani per aiutare i rivoluzionari romani.
Si è poi dimenticato che perfino tra i Mille di Garibaldi vi era una notevole presenza di meridionali, circa cento, principalmente siciliani, campani e calabresi, e che nel corso della spedizione tanti altri meridionali si arruolarono nelle file dei garibaldini e ovunque il Generale fu accolto da una folla festante.
Si è dimenticato che numerosissimi meridionali parteciparono come volontari nel 1866 alla terza guerra d'indipendenza e tra il 1915 e il 1918 alla Grande Guerra, considerata l'atto finale dell'unità d'Italia.
E si è dimenticato che Brindisi e Salerno furono capitali d'Italia, che i napoletani si ribellarono ai tedeschi per la libertà d'Italia e che migliaia di meridionali entrarono nella Resistenza e morirono sulle montagne o nelle città del Centro Nord o nei campi di concentramento per liberare l'Italia dal nazifascismo. 
Le amnesie sono tante e, anche grazie all'attivismo dei neoborbonici, la nuova storia del Risorgimento accredita il mito di un fantomatico paradiso borbonico e di un Meridione di metà Ottocento in cui tutto funzionava, dalle prime linee ferroviarie d'Italia all'industria tessile e manifatturiera. Sottacendo la realtà di un Sud arretrato, con l'eccezione di alcune città come Napoli e Palermo, in cui "il divario con le regioni più avanzate del Nord era già notevole" e la società "appariva ancora immersa nella fase intermedia del passaggio dal feudalesimo al capitalismo" (Francesco Barbagallo, Mezzogiorno e questione meridionale 1860-1980), le terre erano in mano ai latifondisti, gli indici di disoccupazione erano altissimi, l'analfabetismo era diffuso a livello di massa (nel 1861 l'85% della popolazione del Sud non sapeva né leggere né scrivere, contro il 50% di quella del Piemonte).
Non c'è dubbio che dopo l'Unità d'Italia il processo unitario sia stato condotto in modo pessimo e disomogeneo sotto il profilo economico e fiscale e della realizzazione dei servizi e dei trasporti (diverso è il giudizio per quanto riguarda l'aspetto culturale e dell'istruzione) e che i governi succedutisi alla guida del Paese abbiano fatto davvero poco per risolvere la cosiddetta questione meridionale, a parte l'esperienza della prima Cassa del Mezzogiorno.
Ma è anche vero che vi sono regioni e zone del Meridione dove nell'ultimo ventennio c'è stata una riscossa economica e sociale. La Puglia, la Basilicata, Salerno, Avellino e parte dell'Irpinia, Reggio Calabria, Cosenza, alcune zone della Sicilia e della Sardegna hanno iniziato a valorizzare i loro territori, scommettendo su turismo e innovazione tecnologica e recuperando terreno rispetto al Centro-Nord.
Certo, resistono sacche anche molto vaste di Sud in cui non c'è lavoro, il degrado è diffuso, la criminalità la fa da padrone e l'illegalità, l'abusivismo, la mancanza di rispetto delle leggi sono all'ordine del giorno. Problemi irrisolti che mettono in agitazione e indignano anche la parte sana e largamente maggioritaria del Meridione, insofferente verso lo Stato centrale.
Soffiare sul fuoco della "controstoria" dell'Unità d'Italia rischia però di fare il gioco, come è accaduto al Nord, di chi vuole nasca anche nel Sud un forte partito territoriale, che magari faccia del vittimismo e del campanilismo le sue bandiere.
Da meridionale mi chiedo, cui prodest? A chi giova?
Analizzare le pagine nere dell'Unità d'Italia e le manchevolezze del processo unitario è doveroso per il nostro Paese ed è utilissimo per comprendere la situazione attuale ed evitare di ripetere gli errori del passato. Ma bisogna essere orgogliosi delle pagine luminose della nostra storia, come il Risorgimento e la Resistenza (come ci invita a fare il bel libro Viva l'Italia! di Aldo Cazzullo).
La rinascita del Meridione richiede uno Stato più efficiente, più moderno e più equo e Regioni, amministrazioni locali, cittadini del Sud capaci di rimboccarsi le maniche e di cambiare il proprio destino, mettendo a frutto l'incredibile patrimonio di cultura, storia, bellezze naturali, artistiche ed archeologiche lasciatoci in eredità dai nostri antenati.
Le scorciatoie storiche di un revisionismo a senso unico e le scorciatoie politiche di un partito del Sud  non ci porterebbero lontano. E rischierebbero di minare per sempre la nostra bella Italia.

Copyright © Mario Avagliano 2011


Per approfondire, vedi alcuni miei articoli:

Risorgimento schizofrenico. Gli scrittori divisi come sulla Resistenza (Il Messaggero, 28 novembre 2010)

Risorgimento, quando il Sud volle ribellarsi (Il Mattino, 23 dicembre 2010)

Intervista a Giuliano Amato su Risorgimento, questione meridionale e identità italiana (Il Messaggero, 12 gennaio 2011)

Nessun commento:

Posta un commento