lunedì 6 giugno 2011

Etiopia 1936-1940: Il doppio volto di Faccetta Nera


Etiopia, l'Esercito corregge gli storici

di Antonio Carioti

Ad Angelo Del Boca non mancano franchezza e spirito autocritico: «Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi. Sono da sempre un nemico del colonialismo e mi sembrava giusto sottolineare soprattutto le nostre responsabilità di Paese cosiddetto civile rispetto a popolazioni che avevamo aggredito con estrema violenza. Inoltre avevo un' enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié e questo mi confortava nell' idea che bisognava evidenziare in primo luogo i crimini italiani». L'ammissione del famoso storico, pioniere degli studi sulla presenza italiana in Africa, conforta le tesi di un libro di Federica Saini Fasanotti, pubblicato dall' Ufficio storico dello Stato maggiore dell' esercito: Etiopia 1936-1940. Le operazioni di polizia coloniale nelle fonti dell'esercito italiano pp. 524, Euro 25.

Si tratta di una ricostruzione minuziosa, in cui l'autrice condanna l'aggressione fascista e riconosce le numerose atrocità compiute dalle nostre forze armate, ma si sofferma anche sulla ferocia degli insorti etiopi, a suo avviso sottovalutata dalla storiografia, ricordando per esempio l' uso di mutilare i cadaveri del nemico e le ripetute violenze verso i civili. Se Del Boca accetta, almeno in parte, queste critiche, diverso è l'atteggiamento di Matteo Dominioni, autore del saggio Lo sfascio dell'impero (Laterza): «Sono lieto che l' Ufficio storico dell' esercito abbia prodotto quest' opera, frutto di un profondo scavo archivistico, che colma un vuoto pluridecennale. Mi pare però un lavoro vecchio, di stile coloniale, che tende a giustificare gli eccessi italiani sulla base dell' arretratezza e dei costumi guerrieri tipici della società aggredita. Noi studiosi del colonialismo non abbiamo mai negato che gli abissini fossero un popolo bellicoso, capace di gesti brutali, né presentato gli insorti come stinchi di santo. Io ho parlato di una vera e propria guerra civile tra etiopi provocata dall'occupazione straniera. Ma quando s' invade un Paese, è logico che ne consegua un conflitto spietato. E nel ricostruire la storia non ci si può basare solo su documenti italiani: bisogna considerare anche il punto di vista dell' altra parte».
Il libro di Federica Saini Fasanotti richiama anche le disposizioni impartite da alti ufficiali dell' esercito affinché gli indigeni fossero trattati umanamente. Lo stesso viceré Rodolfo Graziani, noto per le durissime rappresaglie ordinate in seguito all' attentato da lui subito nel febbraio 1937, firmò alcuni mesi dopo, il 31 ottobre, un telegramma in cui auspicava «larga generosità e perdono». Tuttavia Del Boca non considera quel documento realmente significativo: «Graziani aveva sulla coscienza massacri spaventosi, come l' eccidio di massa dei monaci copti di Debrá Libanós, e la sua presunta resipiscenza non convince. Ormai era in disgrazia presso Mussolini, a causa degli effetti pessimi della sua politica, e cercava di mettere le mani avanti. Ma non servì, perché venne sostituito poco dopo dal duca Amedeo d' Aosta». Proprio sul successore di Graziani Federica Saini Fasanotti esprime un giudizio positivo, per la capacità del duca d' instaurare rapporti migliori con gli africani e di combattere la guerriglia in modo efficace, tanto da far pensare che, se non fosse scoppiata la Seconda guerra mondiale, l'insurrezione sarebbe andata scemando fino a esaurirsi. Del Boca è d' accordo solo in parte: «Senza dubbio con Amedeo d'Aosta la situazione cambiò. Ma anche sotto di lui proseguì l' uso dei gas tossici contro gli etiopi. E la rivolta, dopo una flessione nel 1938, riprese forza nel 1939. Secondo me non si sarebbe arrivati a sgominarla del tutto, anche se non fosse scoppiata la guerra con la Gran Bretagna. Ritengo piuttosto che Mussolini, preoccupato per la gran quantità di risorse assorbita dal conflitto, avrebbe cercato un accordo con Hailé Selassié. C' erano delle trattative in corso per un suo ritorno in Etiopia. Il negus avrebbe dovuto rinunciare alla corona imperiale, ma in cambio avrebbe ottenuto il governo della parte centrale del Paese, lo Scioa, sotto la sovranità italiana». Analogo il giudizio di Dominioni: «Amedeo d'Aosta impostò una politica più rispettosa verso gli etiopi, ma al suo fianco c'era il generale Ugo Cavallero, che attuò repressioni efferate. E non credo si possa dire che nel 1940 la guerriglia fosse sulla via della sconfitta: l'anno più difficile per i ribelli fu il 1938, anche a causa della carestia che infuriava in Abissinia».


(Corriere della Sera, 6 gennaio 2011)


Il doppio volto di Faccetta nera

di Antonio Airò

Settantacinque anni fa, il 9 maggio 1936, Mussolini annunciava a un popolo esultante la nascita dell’Impero italiano d’Etiopia. Pochi giorni prima il maresciallo Badoglio, alla guida di una colonna motorizzata di 1800 autocarri e 20.000 uomini, era entrato senza colpo ferire in Addis Abeba, «in una città semi deserta, con numerosi cadaveri» che le razzie degli stessi etiopi avevano saccheggiato ampiamente, mentre l’imperatore Hailè Selassiè fuggiva a Gibuti. La guerra vittoriosa si era conclusa in pochi mesi con un bilancio, in termini di vite umane, contenuto; 1976 i militari morti, 3557 i feriti.
Ma conquistata l’Etiopia, bisognava governarla, cercando di ottenere la «sottomissione» o la collaborazione dei tanti ras locali, ognuno con il suo esercito spesso indisciplinato, decisi a difendere con le armi la propria autorità e autonomia in un territorio immenso nel quale, oltre agli ex soldati del Negus che avevano scelto la via della guerriglia, agivano indisturbati senza alcuna pietà verso gli italiani occupanti e la popolazione indifesa bande di criminali comuni e di predoni da sempre recalcitranti a ogni forma di potere.
Subito dopo la proclamazione dell’Impero, quindi, le nostre forze amate – esercito, aviazione, milizia – furono impegnate in continue operazioni di polizia coloniale, in un’ottica di occupazione integrale della quale ci offre un’amplissima documentazione (con il ricorso soprattutto al gigantesco materiale dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito) la studiosa Federica Saini Fasanotti nel volume Etiopia 1936-1940 (pp. 524, euro 25), che ricostruisce anno dopo anno scontri armati, episodi di crudeltà ma anche di umanità, figure di protagonisti italiani ed abissini durante la nostra avventura nel Corno d’Africa.
Emergono in quella guerriglia, in cui a pagare il prezzo più elevato saranno i villaggi del Paese, quasi due facce: quella intollerante, feroce di Mussolini, che ben si esprime in un telegramma del luglio 1936 al viceré Graziani nel quale lo autorizza «a iniziare e condurre sistematicamente politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. Senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile»; l’altra rappresentata dal generale Nasi e dallo stesso Graziani, disponibili (pur nella fermezza di un’occupazione ostile) a forme di convivenza con i ras locali, che si arrendevano con l’obiettivo di una pacificazione che avrebbe consentito all’Etiopia uno sviluppo moderno. Ma la politica di Graziani sarebbe stata contradditoria.
Da una parte assicurava «larga generosità e perdono» ai notabili; dall’altra, specie dopo l’attentato che lo aveva gravemente ferito, avrebbe reagito con estrema durezza contro i guerriglieri e la stessa popolazione, ritenuta connivente – a cominciare dalla popolare Chiesa copta, con i quasi 300 monaci di Debra Libanos passati per le armi. Nelle pagine della Fasanotti non vengono dimenticate le responsabilità di una occupazione dura e anche atroce da parte di non pochi militari italiani «che non si sono certamente distinti per particolari doti diplomatiche e umanitarie, come si è cercato di far credere fino agli anni ’60», ma si smontano anche le tesi di una storiografia che aveva assolto le sevizie, alcune rituali (come le mutilazioni dei cadaveri), dei ribelli e dei banditi; «Nessun uomo tra quelli catturati dagli etiopi venne risparmiato».
Una situazione che sarebbe stata ricaduta soprattutto sulla gente comune, la quale subiva la brutale occupazione degli italiani ma registrava con angoscia anche quella delle bande militari che «raramente dimostravano pietà nei confronti di chi si era sottomesso». Un ruolo essenziale nella lotta contro la guerriglia l’avrebbe giocato l’aviazione italiana. Se durante la guerra erano stati utilizzati i gas come l’iprite, suscitando le proteste dell’opinione pubblica internazionale, in seguito la cosa si sarebbe verificata solo in rare occasioni. Nel 1938 comunque Graziani veniva sostituito ad Addis Abeba da Amedeo duca d’Aosta, Ma la politica pacificatrice del nuovo viceré sarebbe stata di breve durata: nel giugno 1940 l’Italia entrava in guerra e l’anno dopo l’Impero finiva.
(Avvenire, 7 maggio 2011)

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