lunedì 27 giugno 2011

Israele, Pio XII e i silenzi sugli ebrei

Ampio spazio oggi sui principali quotidiani israeliani a proposito delle dichiarazioni rilasciate da Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede che al termine della scorsa settimana, in occasione della cerimonia di attribuzione del titolo di Giusto tra le Nazioni a Don Piccinini, riferendosi alle persecuzioni antiebraiche in Italia e al coinvolgimento della Chiesa nelle operazioni di salvataggio degli stessi ebrei, aveva affermato che Pio XII e la Santa Sede “hanno prestato aiuto agli ebrei ogni volta che hanno potuto”. Parole decise, seguite da altre affermazioni concilianti verso l'operato del papa durante il nazifascismo, che hanno suscitato reazioni molto forti da parte di associazioni ebraiche che da tempo si battono contro interpretazioni storiche assolutorie su Pio XII e i suoi “silenzi”. Un tema delicatissimo per tutto l'ebraismo italiano che stato sollevato anche in occasione della recente visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma. (Info-Ucei del 27 giugno 2011)



Dopo giorni di polemiche, riprese con ampio spazio dai media israeliani, l'ambasciatore Lewy ha deciso di chiarire il suo pensiero, dichiarando quanto segue: “Considerato che il fatto di cui ho parlato è ancora oggetto della ricerca storica attuale e di quella futura, il mio personale giudizio storico sulla vicenda era prematuro''. Ma il rischio di strumentalizzazioni, specie alla luce del percorso di beatificazione di Pacelli più volte paventato dalla Chiesa, resta lo stesso molto forte come ha sottolineato tra gli altri il direttore del Simon Wiesenthal Center di Gerusalemme Efraim Zuroff sul Jerusalem Post: “Il suo intervento è stato inopportuno e storicamente sbagliato” ha commentato Zuroff. Polemiche sono arrivate anche da rappresentanze di vittime della furia nazifascista. “I sopravvissuti alla Shoah sono delusi e turbati da commenti storicamente insostenibili dell'ambasciatore Lewy. Per qualsiasi ambasciatore fare tali commenti è moralmente sbagliato'' si legge in comunicato diffuso dal vicepresidente dell'Associazione dei sopravvissuti alla Shoah e dei loro discendenti Elan Steinberg. Che a farlo sia stato poi un rappresentante diplomatico dello Stato d'Israele è ritenuto da Steinberg “un fatto particolarmente dannoso”. Tra i passaggi ritenuti più controversi nel discorso di Lewy, pubblicato dall'Osservatore Romano sabato 25 giugno, quello in cui si dice che a partire dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 e nei giorni successivi “monasteri e orfanotrofi, tenuti da ordini religiosi, hanno aperto le porte agli ebrei e abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione dei più alti vertici del Vaticano che erano quindi informati di questi gesti”. Una versione che striderebbe con la convinzione diffusa che si sia invece trattato di atti di straordinario eroismo non sollecitati dall'alto, ma piuttosto frutto del convincimento dei singoli uomini e donne di Chiesa. “Ciò che fecero numerosi religiosi cattolici aprendo le porte ai fuggiaschi ebrei lo fecero di loro spontanea volontà senza nessuna imboccata. Non ci sarebbe stato il tempo necessario e l’ordine non venne” commenta l'ambasciatore Sergio Minerbi, considerato uno dei massimi esperti nei rapporti fra Israele e Vaticano, nell'editoriale che questo notiziario quotidiano pubblica qui di seguito.

Pio XII e la Storia - di Sergio Minerbi
L’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede ha espresso nei giorni scorsi a Roma un parere su Pio XII che mi sembra sprovvisto di fondamenti storici. Egli ha affermato che dal 16 ottobre 1943 monasteri e orfanotrofi hanno aperto le porte agli ebrei, e questo è indubbiamente vero. Ma ha aggiunto: “Abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione degli alti vertici del Vaticano”. Per quanto mi consta non esiste nessun documento che provi che gli alti vertici del Vaticano abbiano suggerito o ordinato ai monasteri di accogliere ebrei prima del 16 ottobre 1943. Ciò che fecero numerosi religiosi cattolici aprendo le porte ai fuggiaschi ebrei, lo fecero di loro spontanea volontà senza nessuna imboccata. Non ci sarebbe stato il tempo necessario e l’ordine non venne.
Lewy afferma “che quello partito il 18 ottobre 1943 fu l’unico convoglio” che i nazisti organizzarono verso Auschwitz. Così 1024 ebrei furono inviati al campo di sterminio e ne tornarono 15. Ma non fu l’unica retata, poiché dopo quella data furono arrestati e deportati un migliaio di ebrei, più di quelli catturati la prima volta.
Lewy non è nuovo a questo genere di affermazioni poiché già nel 2003 andò a Boston negli Stati Uniti per concedere un’intervista a Michael Paulson, del Boston Globee affermò: “È sbagliato dire che Pio XII non salvò ebrei”.
In pubblico Pio XII non pronunciò mai la parola ebrei né durante la guerra né dopo. Si era sostenuto da parte cattolica che egli non fosse al corrente delle persecuzioni naziste contro gli ebrei. Ma fu provato che questo non era vero. Egli ricevette per esempio nel giugno 1940 il funzionario Vincenzo Soro, già addetto all’ambasciata italiana a Varsavia, che gli raccontò di aver visto una decina di ebrei uccisi con un colpo alla nuca, sulla neve in un giardino di Varsavia. Il cappellano Scavizzi, che accompagnava i treni-ospedale verso il fronte russo incontrò personalmente Pio XII nel 1941-42 e gli scrisse quattro lettere con dettagli precisi sull’uccisione di due milioni di ebrei in Ucraina. All’inizio del 1943 il vescovo di Berlino, von Preysing, scrisse a Pio XII per invocare il suo intervento e salvare gli ebrei, ma invano. A Roma dopo l’8 settembre 1943, la preoccupazione maggiore del Segretario di Stato Maglione fu quella di salvare Roma dai comunisti. Di questo parlò Pio XII con il rappresentante britannico Osborne, e con il rappresentante americano Tittman nell’ottobre 1943. In Ungheria Pio XII inviò un messaggio a Horty il 25 giugno 1944, ma ormai era troppo tardi.
Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Igael Palmor, ha detto: “La posizione prevalente da noi e nel mondo ebraico è che Pio XII mantenne il silenzio quando invece avrebbe dovuto alzare la voce”. Lewy è stato poi costretto a smentire se stesso affermando che le sue parole “Facevano parte di uno sfondo storico più vasto, ma tenendo conto del fatto che questo sfondo storico è tuttora oggetto di ricerche, era troppo presto per formulare una posizione storica personale”. No, signor Ambasciatore, lei non può esprimere alcuna posizione storica personale, ma solo quella sostenuta dal suo governo.

(Info-Ucei del 27 giugno 2011)


Il discorso di Lewy


Il discorso dell’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, in occasione della consegna, avvenuta a Roma, della Medaglia di "Giusto fra le Nazioni" alla memoria di don Gaetano Piccinini (1904 - 1972).

* * *
Desidero salutare lo Spettabile Superiore Generale dell’Opera Don Orione, Don Flavio Peloso, il Sig. Sindaco di Avezzano, Dott. Antonio Floris, Monsignor Andrea Gemma, Vescovo di Isernia e Venafro,ifamiliari del giustodon Gaetano Piccinini, e dellafamiglia Camerini, signore e signori
Sono lieto di aver potuto accogliere l’invito a partecipare a questa cerimonia in onore di Don Gaetano Piccinini che ha aiutato a salvare membri della famiglia Camerini facendo il possibile per alleviare la dura prova cui sono stati sottoposti durante il periodo dell’occupazione. Non mi soffermo dunque sui dettagli della vicenda che la mia collega Livia Link ha già illustrato e del resto sono presenti i testimoni diretti che certamente molto meglio di me possono raccontare la storia.
Vorrei invece accennare molto brevemente ad un argomento ampiamente discusso: l’atteggiamento della Chiesa durante il periodo dell’occupazione nazista a Roma, durante il quale la vita degli ebrei della città è stata messa in serio pericolo, e tanti di loro purtroppo non hanno fatto ritorno dai campi di sterminio. Senza Don Gaetano Piccinini, e altri uomini e donne come lui, il numero di vite umane spezzate sarebbe stato molto più alto. A Don Piccinini riconosciamo di non aver dato solo asilo, ma di averlo fatto nel rispetto delle origini e identità di ciascuno.
A partire dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 Ottobre del 1943 (millenovecento quaranta tre), e nei giorni successivi, monasteri e orfanotrofi tenuti da ordini religiosi hanno aperto le porte agli ebrei e abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione dei più alti vertici del Vaticano, che erano quindi informati di questi gesti. Sarebbe pertanto un errore dichiarare che la Chiesa Cattolica, il Vaticano e il Papa stesso si opponessero alle azioni volte a salvare gli ebrei. E’ vero piuttosto il contrario: hanno prestato aiuto ogni qualvolta hanno potuto.
Il fatto che il Vaticano non abbia potuto evitare la partenza del treno che portò al campo di sterminio, durante i tre giorni trascorsi dal rastrellamento del 16 ottobre fino al 18, può solo aver aumentato la volontà, da parte vaticana, di offrire i propri locali come rifugio per gli ebrei. Gli ebrei romani ebbero una reazione traumatica. Essi vedevano nella persona del Papa una sorta di protettore e si aspettavano che li salvasse ed evitasse il peggio. Bene, sappiamo tutti cosa è successo, ma dobbiamo anche riconoscere che quello partito il 18 ottobre 1943 fu l’unico convoglio che i nazisti riuscirono ad organizzare da Roma verso Auschwitz. Questo desideravo condividere con Voi. non vi trattengo oltre e Vi ringrazio nuovamente per avermi invitato.

Nessun commento:

Posta un commento