martedì 20 settembre 2011

Il Golpe inglese, Londra vs Roma nelle trame della Guerra Fredda

di Filippo Ceccarelli


"Dio stramaledica gli inglesi!" tuonava il conduttore radiofonico fascista Mario Appellius durante la Seconda Guerra Mondiale. E tuttavia, poco inclini come sono all'enfasi, sempre gli inglesi ripagarono gli italiani - e ancora continuano - aspettandosi da loro il peggio; e quindi mai si sono fidati, regolandosi di conseguenza con sbrigativa convinzione e brutale superiorità.

Questo soprattutto si capisce attraverso documenti inediti e segreti dalla lettura - a tratti deterministica, a tratti appassionante - de Il golpe inglese di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella (354 pagine, 16 euro) che Chiarelettere ha appena mandato in libreria.



E tuttavia è pure una storia così ombrosa e intricata, questa tra l'Inghilterra del tardo imperialismo e l'infida Italia prima fascista e poi democratica, comunque proiettata nel Mediterraneo e perciò vissuta come una minaccia agli interessi petroliferi britannici in Medio Oriente, da potersi anche raccontare come una lunga vicenda che spinge Londra a cercarsi qui nello stivale una incredibile varietà di potenziali alleati. Anch'essi tuttavia più o meno leali, anglofili sinceri e improvvisati, fascisti della fronda e mercenari, Ciano, Grandi, casa Savoia, il generale Badoglio, il Duca d' Aosta, poi aristocratici siciliani, separatisti con le dovute appendici mafiose; e sempre dignitari della massoneria, anche loro probabilmente con le avvertenze e le riserve di cui sopra.


E poi, a seconda delle vicissitudini e dei rivolgimenti storici, è la volta di combattenti repubblichini come Borghese, di partigiani anticomunisti come quelli della "Franchi" o di iper-comunisti alla Moranino; per non dire degli imprenditori di genio come Olivetti, o di avventurosi e controversi uomini d'azione tipo Sogno, quindi intellettuali cosmopoliti alla Barzini, e spie, scrittori, ambasciatori, mestatori, salottisti, extraparlamentari e giornalisti borghesi cui far arrivare riservatamente - in qualità di "clienti": questa la definizione di una struttura, l'Ird, che opera negli anni 50 e 60 - materiali da rendere pubblici sui loro giornali.


E' questo dunque il variegato "partito inglese", gente rispettabile e lestofanti: tutti o quasi contattano gli uomini della diplomazia, della propaganda e dello spionaggio di Sua Maestà alimentando un brulichio di contatti intessuti con l'ambigua certezza che il controllo geopolitico, commerciale ed energetico della penisola è comunque determinante ai fini del grande gioco ad alto rischio della Guerra fredda.


Per quel poco che è lecito semplificare, almeno in un tempo ancora segnato dalle ideologie, appare in modo abbastanza evidente che l'Inghilterra diffida e orienta le sue mosse contro le grandi culture politiche italiane del secolo scorso e quindi, dopo aver prima appoggiato e poi combattuto il fascismo (colpiscono le rivelazioni sugli aiuti al giovane Mussolini), sistematicamente punta a scavalcare e se possibile a sbaragliare tanto i comunisti che i cattolici. Tra questi ultimi, il record dell'inimicizia tocca al Mattei anticolonialista, al Fanfani terzomondista e poi al Moro filo-arabo.


La novità, su cui il cospicuo materiale reperito da Cereghino e Fasanella nelle loro ricerche getta un insospettabile fascio di luce, è che molto più spesso di quanto non solo si sapesse, ma si potesse anche credere fino a ieri, gli obiettivi e i collegamenti britannici in Italia non coincidevano anzi decisamente erano in conflitto con quelli degli americani, specie sul piano degli approvvigionamenti petroliferi.


Quando, seppellito ormai il colonialismo, nella prima metà degli anni 70 le risorse energetiche cominciano a mancarle, assai più di Washington, che pure non scherzava, Londra punta decisamente a enfatizzare il pericolo del Pci e anzi non perde occasione per dipingere un'Italia che con la partecipazione di ministri comunisti rischia di staccarsi dal mondo occidentale.


Nasce qui, sull'onda di una catastrofe che sa un po' di pretesto, l'idea bislacca di un golpe. Ma poi: non tutto ciò che è segreto è ragionevole. Cereghino e Fasanella, studiosi italiani, hanno scavato fra le carte meno difendibili dell'Inghilterra contemporanea. Ma il fatto stesso che l'abbiano potuto fare e senza sconti proprio negli archivi di Kew Gardens dice molto su quel paese, sulla sua antica civiltà democratica, sulle nostre storiche mancanze e sulla vana pretesa di chiamare un dio a stramaledire un intero popolo - che oltretutto, proprio in quel momento, si trovava dalla parte giusta.


Una sfiducia che va al di là di ogni documentata tentazione golpistica, effettivamente posta all'attenzione degli americani nel 1976 e poi scartata; comunque una piena e rigorosa diffidenza che spicca come meglio non si potrebbe in una nota personale che Churchill, infuriato per una legittima scorribanda di petroliere, invia nel 1953 al ministro degli Esteri Eden e in cui definisce appunto gli italiani: "Amici e alleati di infimo ordine!". Laddove il punto esclamativo, nella patria e nella lingua dell'understatement, funge da inaudito rinforzo; e che infatti dal Risorgimento in poi arriva nei fatti a giustificare ogni pressione, ogni forzatura, ogni inconfessabile intromissione.

(la Repubblica, 20 settembre 2011)

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