lunedì 10 ottobre 2011

"L'Italia in giallo eroica e fragile". La mia recensione sul Messaggero del primo romanzo di Aldo Cazzullo

di Mario Avagliano

Un giallo in piena regola, con tanto di morto in un bosco, due investigatori meridionali e un alone di mistero sull’identità dell’assassino. Ma anche una tenera storia d’amore. E una trama intrisa d’epica, di sentimenti, di passioni a volte insane, ambientata ad Alba, nelle nebbie delle Langhe, sulle tracce di un tesoro trafugato, in tre dimensioni temporali: gli ultimi fuochi della Resistenza nell’aprile 1945; l’inverno del 1963, anno di morte di Beppe Fenoglio (a cui è ispirato uno dei protagonisti del libro, Amilcare Braida); il 25 aprile del 2011, con i giorni tristi di oggi.

Dopo il successo di Viva l’Italia!, saggio di orgogliosa rivendicazione di Risorgimento e Resistenza (ora ristampato da Mondadori, con il dvd dello spettacolo teatrale), il giornalista Aldo Cazzullo approda al primo romanzo, La mia anima è ovunque tu sia (Mondadori, pp. 128, € 17), sulla storia leggendaria del tesoro della Quarta Armata italiana, proveniente dal Sud della Francia occupata, che nell’aprile 1945 viene spartito tra la Curia di Alba e i partigiani rossi.


Un’opera sorprendente per l’intensità del racconto, il ritmo incalzante e la vivacità dei dialoghi. Ma anche una riuscita metafora della nuova Italia del dopo Ventennio fascista, eroica ma compromissoria, dagli equilibri fragili, così argutamente disegnata da Guareschi nella saga su Don Camillo.

Il vescovo di Alba decide di affidare la sua “quota” di tesoro a un giovane cresciuto in seminario, Antonio Tibaldi, imboscatosi durante la Resistenza. Il capo dei partigiani Domenico Moresco, invece, la trattiene per sé, tradendo il compagno Alberto e la memoria della donna che hanno tutti e due amato, Virginia, dal “sorriso a forma di cuore”, torturata e uccisa dai fascisti. Il cattolico Tibaldi e il comunista Moresco faranno entrambi fortuna, il primo riempiendo con il suo Barbera gli scaffali dei supermarket, l’altro producendo pregiate bottiglie di Barbaresco. Ma quando 66 anni dopo Moresco verrà ucciso in un bosco, i fantasmi del passato torneranno implacabilmente ad affacciarsi nella placida Alba. Fino al colpo di scena finale.

Cazzullo, con uno stile che ricorda l’amato Fenoglio ma una cifra del tutto originale, bruciante, fatta di flash emotivi, ci conduce alla scoperta di segreti inconfessabili. Una “sceneggiatura” degna di un film. E che lascia una sensazione di verità, alimentata dallo stesso autore nella nota finale, quando spiegando che ad Alba non c’è il lago né la questura, chiude enigmatico: “Forse non c’è mai stato neppure un tesoro. Forse”.


(Il Messaggero, 8 ottobre 2011)

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