mercoledì 12 ottobre 2011

Olocausto? Meglio parlare di Shoah... Ma attenti al tarlo della banalizzazione

di Francesco Lucrezi

In un saggio di recente pubblicazione (L’ardore, Milano 2010), in cui vengono formulate alcune considerazioni sul gesto degli attentatori delle Torri gemelle (paragonato al rito sacrificale della ‘devotio’ romana, che vedeva un condottiero militare ‘consacrarsi’ agli dèi, e andare incontro alla morte, per salvare il proprio esercito: accostamento, in realtà, assai discutibile, rappresentando la ‘devotio’ un valoroso esempio di virtù militare, mentre quello dell’11 settembre costituisce solo un vile e ignobile crimine verso civili inermi e innocenti), Roberto Calasso formula alcune interessanti (quantunque, ancora, alquanto opinabili) considerazioni riguardo alla scelta, nel dopoguerra, del termine ‘Olocausto’ per indicare lo sterminio degli ebrei.

Tale parola, nota Calasso, richiamava i riti sacrificali effettuati, in passato, nell’antico Israele, e così “lo sterminio di sei milioni di ebrei per opera dei nazisti veniva designato con il termine che indicava certe cerimonie sacre, celebrate fin dai tempi di Noè dagli antenati degli uccisi”. La scelta, naturalmente, fu assai infelice, ma, continua Calasso, “anche se qualcuno osservò che si stava compiendo una enormità, non venne ascoltato e la forza dell’uso impose la parola nelle varie lingue europee… Eppure, nella scelta inappropriata e stridente della parola ‘Olocausto’…operava una mano invisibile, che non era solo la mano dell’ignoranza. In quella parola si accennava a qualcosa che oscuramente si stava profilando. La guerra aveva soppiantato il sacrificio, ma il sacrifico era sul punto di soppiantare la guerra. Lo sterminio degli ebrei, nelle sue procedure, era stato qualcosa di intermedio tra il mattatoio e la bonifica. E avrebbe avuto luogo in tempo di pace, come una gigantesca  operazione di smaltimento di rifiuti. Perciò i termini militari non si attagliavano più. Perciò veniva spontaneo, orribilmente spontaneo, ricadere nella terminologia del sacrificio”.
Il punto sollevato meriterebbe una lunga discussione, che non è il caso di fare in questa sede. E' senz’altro vero che la singolare scelta della parola ‘Olocausto’ nacque, soprattutto, dall’esigenza di adoperare un termine ‘nuovo’ e ‘ad hoc’, adatto all’assoluta novità ed enormità di quanto era successo, ed estraneo alle consuete categorie adoperate per le ‘normali’ violenze della guerra. Ma non è vero che ciò che era accaduto potesse, in qualsiasi modo (sia pure secondo la logica perversa del ‘mattatoio’ e della ‘bonifica’) richiamare l’idea del sacrificio, che restava in ogni caso, e secondo ogni ottica, quantunque deformata, del tutto lontana dalla realtà del genocidio. Non va dimenticato, soprattutto, che la parola fu adoperata, dapprima, negli Stati Uniti, e fu importata in Europa proprio per il suo carattere apparentemente ‘esotico’ e ‘arcano’. In Europa, anche quando si narravano le vicende dell’antico Israele, non si adoperava spesso la parola ‘olocausto’, cosicché il significante (oscuramente suggestivo ed evocativo) appariva, per così dire, ‘libero’, disponibile per un nuovo significato. La nuova coppia significante-significato prese rapidamente piede, tanto che oggi la parola ‘Olocausto’ indica, pressoché esclusivamente, lo sterminio, e non più il sacrificio rituale (atto per il quale, all’occorrenza, si preferisce usare differenti espressioni). Ma, come è fatale che accada, il termine, coniato per indicare qualcosa di unico, terribile e irripetibile, e considerato efficace per tale scopo specifico, è stato rapidamente ‘rubato’ per altre, molteplici funzioni: e si sono così moltiplicati gli ‘olocausti’ di popoli e soggetti vari, sottoposti ad angherie e persecuzioni di diverso tipo e di varia gravità. La parola, scelta per la sua ‘unicità’, si è andata quindi gradualmente inflazionando e banalizzando, tanto da perdere, in buona parte, il suo carattere  solenne e ‘sacrale’. Si è reso necessario, così, l’uso di un altro termine, e la scelta è caduta sulla parola ebraica ‘Shoah’, annientamento – decisamente più appropriata di Olocausto -, che, com’è noto, ha incontrato un largo e rapido successo, andando praticamente a sostituire, pressoché ovunque in Europa – non in America, dove resiste ‘Holocaust’ – il vocabolo precedente.
Ma il tarlo della banalizzazione, si sa, non si arresta mai, così come il lavoro dei banalizzatori. È recente, per esempio, il grido di dolore di un noto politico italiano, innanzi allo scempio della situazione carceraria italiana, nella quale si anniderebbero “pezzi di Shoah”. Prima o poi, forse, occorrerà un’altra parola.



(Info Ucei, 12 ottobre 2011)

2 commenti:

  1. Yad Va-shem a Gerusalemme ha la seguente denominazione ufficiale:

    "The Holocaust Martyrs' and Heroes' Remembrance Authority"

    Idem dicasi per il Memorial di Washington DC, la cui denominazione ufficiale è: "U.S. Holocaust Memorial Museum".

    Direi a Calasso: vivere, prima di teorizzare.

    Cordialità,

    Matteo Luigi Napolitano

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  2. Gentile signor Napolitano :

    è vero che Yad Vashem ha come denominazione Ufficiale "the holocaust martyrs and heroes remembrance authorithy" ed è anche vero che il termine "Holocaust" è utilizzato e resiste generalmente in tutto il mondo Anglosassone , mentre in Europa è ormai ben entrato nell'uso comune ormai il termine shoah . Però vi è una differenza fra i due musei che mi permetto di farle notare . Se da un lato il museo dello YV di Gerusalemme è dedicato esclusivamente alla shoah e alla resistenza ebraica al Nazifascismo , dall'altro il polo museale di Washington ( il secondo più importante al mondo dopo lo YV quanto a documenti in esso conservati ) è stato dedicato a TUTTE le vittime dei lager del nazionalsocialismo , non solo agli ebrei . Nell'Holocaust Museum di Washington trovano spazio esposizioni dedicate a : Omosessuali , testimoni di geova , deportati politici , preti cattolici antinazisti , criminali comuni , zingari , disabili ... tutte le vittime del nazionalsocialismo insomma . Diversa è la situazione nello YV , dove lo stesso Simon Wiesenthal dovette molto lottare col consiglio di amministrazione del museo per fare si che anche le vittime zingare dello sterminio nazista ( l'unica altra categoria per la quale si può parlare al pari degli ebrei e dei disabili di uno sterminio eugeneticamente organizzato ) avessero un loro spazio nel museo , riuscendoci ma dopo molti litigi . Diciamo che all'interno di YV vale ancora oggi una frase dello storico Yehuda Bauer secondo il quale "Non tutte le vittime furono ebree ... ma tutti gli ebrei furono vittime" . Mentre nel museo di washington fin da subito l'intenzione fu di non creare alcun distinguo , e nella stessa commissione che si occupò negli anni '80 di mettere i primi passi per il museo vi erano rappresentanti di associazioni non solo ebraiche , manche : omosessuali , rom , disabili , testimoni di geova .

    Per queste ragioni , penso che se si voglia parlare in generale dell'universo concentrazionario e di tutte le sue vittime senza distinguo si possa usare anche il termine "olocausto" ,mente se si vuole parlare della shoah intesa proprio come lo sterminio eugenetico organizzato industrialmente dai nazisti contro gli ebrei sia corretto il termine shoah .

    Cordialità

    Alessandro .

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