lunedì 19 dicembre 2011

La fiera Resistenza dei ferrovieri romani



di Mario Avagliano

I nove terribili mesi dell’occupazione tedesca di Roma tra il settembre 1943 e il giugno 1944, caratterizzati dalle violenze delle SS naziste e delle bande fasciste e da fame, rastrellamenti, deportazioni e fucilazioni, ma anche da episodi eroici di resistenza armata o civile, hanno segnato la storia della capitale nel profondo e sono tuttora al centro della ricerca storiografica. Dopo la pubblicazione di Senza fare di necessità virtù (Einaudi), le memorie del gappista Rosario Bentivegna, protagonista dell’azione di via Rasella, un nuovo studio rivela dettagli inediti di quel periodo, mettendo in luce il contributo alla resistenza dei ferrovieri romani, che già negli anni Venti avevano svolto ampia attività antifascista, subendo licenziamenti e arresti. E’ il bel lavoro di Massimo Taborri Antifascismo e Resistenza tra i ferrovieri del Compartimento di Roma (edito dall’Anpi Roma-Lazio), che sarà presentato oggi alle 17.30 alla Casa della Memoria da Massimo Rendina e Aldo Luciani.



“Diversamente da altri Paesi, come la Francia, la partecipazione dei ferrovieri alla lotta di liberazione è stata poco studiata, eppure anche essi ebbero la loro bataille du raill”, afferma l’ex comandante partigiano Rendina, vicepresidente nazionale dell’Anpi. Dalla ricerca di Taborri, emergono storie di coraggio e di resistenza, già all’indomani dell’armistizio. Il 10 settembre 1943 proprio nella stazione Termini e nelle vie adiacenti ebbe luogo un ultimo estremo tentativo di difesa di Roma, messo in atto da un reparto di militari d’artiglieria comandato dal maggiore Benedetti. Lo scontro con i paracadutisti tedeschi durò dalle 16 alle 20, provocando tredici vittime tra civili, militari italiani e tedeschi, e coinvolse diversi ferrovieri che chiesero di avere in distribuzione dei moschetti, tra cui il capo stazione Italo Campani.

A seguito dell’occupazione tedesca dell’Urbe, all’interno della stazione Tiburtina si costituì un nucleo clandestino guidato dal guarda-sala Michele Bolgia, uno dei sei ferrovieri uccisi alle Fosse Ardeatine, che fornì informazioni dettagliate al movimento partigiano circa i treni di deportati in partenza o in transito. Nel solo mese di febbraio del ’44 Bolgia e i suoi uomini riuscirono ad aprire in quattro diverse circostanze i portelloni dei carri merci dei convogli diretti nel Reich, carichi di ebrei o di uomini rastrellati per il lavoro coatto, consentendo la fuga di alcuni di loro.

Il ferroviere socialista Alessandro Sideri fin dal settembre-ottobre 1943, nello scalo di Roma Tiburtina, reclutò colleghi nella resistenza, in rapporto con Eugenio Colorni, mettendo assieme circa 140 persone. L’attività di sabotaggio nei confronti dei trasporti militari tedeschi riguardò la rottura degli scambi di manovra, lo scalzamento di traverse, il taglio dei tubi della condotta dei freni. Nelle officine di San Lorenzo e Trastevere operai e tecnici ritardavano ad arte la manutenzione del materiale rotabile. Il personale viaggiante aiutò i giovani militari e civili che si davano alla macchia servendosi dei treni. Ci furono atti di coraggio anche da parte dei macchinisti, come Agostino Pierucci, che per bloccare il nodo ferroviario nel marzo del ’44 fece deragliare la sua locomotiva sui binari di Roma Tuscolana.

Ancora a Tiburtina, nell’ottobre del ’43, grazie all’iniziativa del capo stazione Caccavale, coadiuvato da un’affascinante interprete tedesca di nome Mimy Loeb, circa 350 persone razziate in provincia di Napoli e avviate dai tedeschi verso la Germania, vennero fatte scendere dai carri su cui erano ammassate e, munite di documenti falsi, riavviate in parte verso Sud. Importante fu anche l’attività di intelligence in favore degli Alleati, con la segnalazione dei trasporti tedeschi di uomini o di materiale bellico.

Altri ferrovieri militarono nel partito comunista o nel partito d’azione. Tra questi spicca la figura di Armando Bussi, reduce della Grande Guerra, che aveva perso un occhio a Caporetto e nel Ventennio fu oppositore di Mussolini, assumendo poi incarichi direttivi delle bande azioniste. Arrestato il 3 marzo 1944 da elementi della banda Koch, fu tradotto a Regina Coeli dopo aver subito sevizie e torture presso la pensione Oltremare di via Principe Amedeo. Il 24 marzo venne fucilato nella strage delle Fosse Ardeatine insieme ad altri cinque colleghi delle FS. Un altro ferroviere, Roberto Luzzitelli, fu ucciso dai tedeschi il 3 giugno, il giorno prima della liberazione di Roma, “reo” di aver sminato il Ponte delle nove luci. A testimonianza del sacrificio di sangue dei ferrovieri romani alla causa della libertà.

(Il Messaggero, 19 dicembre 2011)

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