venerdì 9 dicembre 2011

«La fonte di Mazzacane. Quanno ri tideschi ammazzarono all’intrasatta».

di Giovanni Preziosi

«La fonte di Mazzacane. Quanno ri tideschi ammazzarono all’intrasatta». S’intitola proprio così l’avvincente romanzo abilmente scritto da Enzo Antonio Cicchino per i tipi di Laruffa editore, nel quale si mescolano in un caleidoscopio di emozioni l’arte della scrittura con quello della pittura. L’Autore, infatti, dipinge su carta il tormentato paesaggio molisano nell’immediato Dopoguerra. Sono colori densi e in chiaroscuro, talvolta pastosi, quelli che ci descrivono gli animi degli abitanti di Gavena, un piccolo centro dell’entroterra molisano che rappresenta  simbolicamente un cono d’ombra confitto nel mondo sannitico. Sullo  sfondo si svolge la storia narrata con raffinato stile letterario dall’Autore che si svolge durante gli anni roventi del secondo conflitto  mondiale nei quali la sofferenza e i disagi causati dalla guerra ha lasciato negli animi di ognuno un segno indelebile.


Difatti i personaggi appaiono ancora inesorabilmente ossessionati dai tristi ricordi di una vicenda bellica non ancora – e non potrebbe essere altrimenti – metabolizzata. La materia si anima nelle mani dell’artista. Il paesaggio tormentato del Molise diventa una tavolozza di
colori. Densi. Pastosi. Crostosi. Chiaroscurali. Le parole che si inanellano sulla carta diventano pennellate vigorose. Senza tentennamenti né ripensamenti. Non c’è bucolica serenità né idilliaca soavità nella vicenda narrata. E nemmeno generosa tolleranza, ma solo
dura, imparziale, cruda realtà rurale di un mezzogiorno orfano della speranza.


Pessimista razionale, ma senza ottimismo della volontà, l’Autore disegna i personaggi, che animano la vicenda, a carboncino. Privilegia le ombre piuttosto delle luci. Gli uomini, le donne, i bambini e, persino, gli animali di Gavena non vivono, sopravvivono. Non amano, si
accontentano di non odiare. Incapsulati in una spirale perversa che li trascina in un gorgo fangoso dal quale esala il tanfo della decomposizione di una umanità spogliata di significato. L’afrore della putredine dei sentimenti defunti. Su tutto, con tocco magistrale, rimbomba il frastuono di una normalità assordante.
Un racconto davvero molto suggestivo che merita di essere senz’altro di essere letto fino in fondo tutto d’un fiato…

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