lunedì 5 dicembre 2011

Reparto P, così il fascismo trasformava in una vittoria la disfatta in Russia

Una squadra di professionisti dell’informazione con una missione speciale: approfittare dell’occasione storica che si presenta per risollevare il consenso del fascismo. Ma anche capaci, poi, di trasformare una disfatta in una vittoria - almeno sulla carta stampata. Per i corrispondenti di guerra italiani chiamati a seguire la campagna di Russia, il ministero della Cultura popolare pensa a qualcosa di unico e il Comando supremo del Regio Esercito trova la formula che sembra più adatta: nasce così nel luglio 1941 la Sezione P, cioè Propaganda, del Corpo di spedizione italiano, poi Reparto P dal giugno ’42 quando al Csir succederà l’Armir. La ricostruzione di questa pagina poco nota della Seconda guerra mondiale è contenuta nell’ultimo numero di Nuova storia contemporanea, la rivista diretta da Francesco Perfetti, in un articolo di Fabio Fattore, già autore di altri studi sulla storia del giornalismo di guerra (Le Lettere, Mursia, Sugarco) dal titolo «I corrispondenti di guerra italiani e la campagna di Russia».


Gli uomini che fanno parte del Reparto P, premette l’autore, sono allo stesso tempo giornalisti, militari e propagandisti: come del resto tutti i corrispondenti italiani della Seconda guerra mondiale. Le novità, però, sono altre e per coglierle basta sfogliare i giornali dall’estate 1941 alla primavera ’43: contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, più che la semplice omissione già adottata in altre circostanze (ad esempio per il tracollo della X Armata in Africa settentrionale) si sperimentano tecniche sofisticate di manipolazione.


Le principali testate, come il Corriere della sera e il Popolo d’Italia, attraverso i loro giornalisti del Reparto P riescono addirittura a raccontare la ritirata e il sacrificio degli alpini. In particolare le cronache di Cesco Tomaselli, una ventina pubblicate dal Corriere tra dicembre ’42 e giugno ’43 e raccolte poi in un libro nella Repubblica sociale, non si discostano molto per contenuti e interpretazioni da buona parte della produzione letteraria sulla campagna di Russia che fiorirà nel dopoguerra: merito di un giornalismo di regime meno cieco e sprovveduto di quanto comunemente creduto ma anche colpa di una storiografia che, in mancanza di un’adeguata lettura critica, si trascinerà dietro, fino ai giorni nostri, miti e stereotipi già presenti in quegli articoli.

(Il Messaggero.it, domenica 27 Novembre 2011)

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