venerdì 23 marzo 2012

All’asta il sangue degli anni di piombo

di Annamaria Barbato Ricci

Il prossimo 29 marzo da Bolaffi sarà possibile fare un’offerta per acquistare 17 volantini delle Brigate Rosse (1974 - 1978)
 
Sono trascorsi troppi pochi anni dacché l’Italia ha fatto la pace con se stessa, uscendo dal tunnel del terrorismo. Un fantasma che non abbiamo ancora completamente fugato. Per cui, suscita disagio quel lotto n. 243 del catalogo dell’Asta della Bolaffi, in programma il prossimo 29 marzo, che mette all’incanto un ensemble di 17 volantini delle Brigate Rosse – in un periodo che va dal 27 marzo ’74 al 1978 - persino ad un prezzo-base “modico”: l’intero stock a 1.500 euro.
Il fatto in sé non è insolito; alcuni anni fa m’impegnai in prima persona a favorire che una corposa documentazione di Benedetto Croce, messa all’asta da Christies a Roma, rimanesse fruibile ai cittadini, stimolando l’intervento della Regione Campania, con la bravissima Sovrintendente ai Beni Archivistici Regionali, Loredana Conti. Avevo ricevuto un allarmato input dall’allora Segretario Generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, e Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, alle nove di sera, rivoluzionò la prima pagina del quotidiano per lanciare l’SOS, contro la potenziale dispersione di un simile prezioso patrimonio storico.
Certo, anche i volantini ciclostilati delle BR sono parte della storia. Questi, dove, fra gli altri, c’è anche la comunicazione della fine del processo ad Aldo Moro nella prigione del popolo – datato 15 aprile 1978, con relativa condanna a morte -, sono stati “strappati” da una sorte di macero da chi li ha ritrovati, “dimenticati” in qualche mobile di una “Casa del Popolo”, si ipotizza piemontese.
Tali, scarnificati, sono i fatti. Questi documenti sono un pezzo della nostra storia più oscura, di cui, in sottofondo, sono ancora aperte le piaghe. Ci sono i figli, le famiglie delle vittime; e i sopravvissuti, quelli gambizzati, rapiti. Distruggere tale documentazione non servirebbe a cancellare queste pagine dolorose. Ma venderli? Lucrarci? Vedere quel denaro che s’incassa schizzato del sangue di cui i proclami erano preludio o rivendicazione?
Forse la strada più diritta e “nobile” sarebbe stata quella di donarli ad un archivio, magari a quello, se c’è, della Fondazione per le vittime del terrorismo.








Perché 1.500 euro – o persino 15mila, se qualche collezionista feticista s’accanisse nel “gioco” del rialzo – sono una quotazione che svilisce il dolore, il lutto, la vergogna, l’ignominia veicolati da quei fogli di carta impolverati; e sul dolore, sul lutto, sulla vergogna, sull’ignominia non si poserà mai abbastanza polvere da seppellirli, come sono stati seppelliti i morti che, su un fronte, ma anche sull’altro, quello dei terroristi, si sono susseguiti.
Io, che sono così attenta alle simbologie, non sottovaluterei la riemersione di questa documentazione in un circuito “commerciale”. Certo, Alberto Bolaffi, sornione tenta l’obiezione, peraltro fondata, che, nella stessa asta, è in vendita anche una lettera a firma di Adolf Hitler e che le “reliquie” fasciste hanno ancor oggi un ottimo mercato; inoltre, rincara il proprio alibi, lusingando il giornalista de’ La Stampa che lo intervista sul caso, offrendosi di versare il proprio utile alla Fondazione benefica del giornale.
Mi sembra una manovra diversiva, che non mi convince. Tanti italiani (non credo d’essere così una bestia rara) ripensano a quei giorni insanguinati del terrorismo con mai domi orrore, dolore, angoscia. Il caso citato del Museo della Memoria (o della Shoah, lo Yad Vashem, fondato nel 1953 a Gerusalemme), dove sono conservati reperti “terribili” (cito Bolaffi), si riferisce ad un’Istituzione che funge da ammonimento affinché il dramma non si replichi. Ciò non avviene, invece, nel caso questi “souvenir” (nel senso letterale e non futile.. ovvero ricordi) diventassero un semplice “trofeo” per un collezionista, magari – essendo l’acquisto accessibile a tutti – un “nostalgico” delle BR, oppure un ex aderente (e chi ci dice che non ci siano ancora militanti in sonno?).
Vogliamo illuderci di vivere in un mondo perfetto, avulso dall’esistenza di questo tipo di persone? In più, c’è chi, come il Presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, si diletta a ri-tweettare una frase allusiva contro il suo “nemico politico” Giuliano Pisapia (“Pisapia vende la sua collezione privata”).
Ha voglia a protestare la sua innocenza per l’”involontario” inoltro di una frase che non aveva compreso nella pienezza della sua offensività. Ha voglia ad utilizzare la procedura di fuga "Gelmini", attribuendo a un gestore della sua posizione sui social media la responsabilità della grave affermazione (ha una culpa in vigilando nei confronti di un.disastroso collaboratore).
Il gran tallone d’Achille di chi, di questi tempi, ricopre una carica pubblica è quello di non capire che c’è una bella differenza dal prendere il caffè al bancone del Bar Sport, cianciando come il gorilla del Crodino – e senza neanche l’ingentilimento della Cabello – ed essere investito di un ruolo istituzionale. una scia di quel berlusconismo che - ahinoi, Perina & Granata - non è ancora diventato semplicemente un reperto da archiviare su Wikipedia.
Poiché stiamo lentamente ritornando ad un’Italia normale e dignitosa, la differenza fra l’atmosfera equilibrata che stiamo respirando e l’aria avvelenata che ci aveva avvolti come una nube tossica (e che qualcuno conserva ancora in lattina, come quell’aria di Napoli che ha fatto la fortuna di Napolimania), appare quanto mai stridente.

(L'Indro, 21 marzo 2012)


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