giovedì 1 marzo 2012

«Parole dal lager dei prigionieri politici». La recensione de Il Mattino di “Voci del lager”

di Titti Marrone
«Oggi compirò 23 anni e mi trovo in galera. Tutto ho dimenticato ma il mio amore mai, ho dimenticato la spia, ma la sposa mai». Difficile trovare una dichiarazione più efficace di questa che suoni insieme di amore e di sconforto, ma capace di trarre forza dagli affetti familiari. A vergarla, con mano resa incerta dalla precarietà e dal rischio connessi alla scrittura in carcere, è Gioacchino Giordano, nato a Cava de’ Tirreni, incarcerato al Marassi di Genova dopo essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, deportato a Dachau e morto lì nel 1945, un anno dopo aver scritto alla sua amata Maria quella lettera. Gioacchino Giordano è una delle centinaia di figure che escono dall’ombra, che diventano coro e fanno risuonare piccole storie dimenticate nel libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri Voci dal lager - Diari e lettere di deportati politici 1943-1945 (Einaudi, pagg. 414, euro 14).

Il libro compone, in un mosaico di testimonianze dirette - biglietti lanciati dai treni e dalle tradotte, lettere sfuggite alle maglie della censura, diari vergati nei lager in gran segreto e nascosti come tesori - il profilo dei destini di oppositori del regime di Salò: combattenti partigiani o esponenti della cosiddetta ”resistenza civile”, che annoverò personaggi a vario titolo ostili al fascismo, tanto da essere classificati come ”politici”, essere incarcerati, reclusi in campi di lavoro o di concentramento, essere marchiati con un triangolo rosso applicato sul petto. A differenza dei prigionieri ebrei, contrassegnati dal giallo della stella di David, i ”politici” non sono esplicitamente inclusi in un progetto di sterminio, nei lager dei Reich italiani e tedeschi dove lavoreranno come schiavi o nelle carceri dove sono rinchiusi, ma spesso il loro destino sarà ugualmente la morte. Questo sarà anche il caso di un altro campano di cui qui viene pubblicata una toccante lettera, Brenno Cavallari, che dal campo di Fossili, dove verrà fucilato nel 1944, lancia oltre il muro un biglietto avviluppato intorno a una pietra e indirizzato al nipote Sergio: ”Abbiamo bisogno di materiale di propaganda”, scrive Cavallari.

Dunque, l’”altra Resistenza” che emerge da queste pagine include persone fin qui poco o mai menzionate: e sono uomini, donne, vecchi, giovani, giovanissimi come il napoletano Franco Busetto, studente di Ingegneria a Padova entrato nella Resistenza come ufficiale di collegamento del comando delle formazioni partigiane garibaldine costituite nell’area delle Venezie e poi deportato a Mauthausen, lager da cui riuscì a tornare a casa. L’affresco corale tracciato dal cospicuo materiale documentario qui riportato è un prezioso frammento di memorie raccolte, per così dire, in presa diretta e, come chiosano Avagliano e Palmieri nell’introduzione, rappresenta ”un contributo alla piena comprensione di quel particolare stadio del processo della deportazione a prescindere dagli sviluppi e dall’esito successivo”.

Dopo una breve introduzione d’inquadramento storico-documentaristico, Avagliano e Palmieri pubblicano oltre 400 pagine di testimonianze dirette senza sovrapporre la propria voce a quella degli estensori, ma solo corredando di annotazioni storiche le varie pagine e differenziandole per fasi e categorie. Spesso le lettere e i diari trattengono sulla carta annotazioni minimali, che appartengono alla vita di tutti i giorni (”fa pagare l’abbonamento radio, il libretto con i moduli e nell’ultimo cassetto della scrivania”) o intimissime istantanee inviate ai propri cari: anche per questo alzano molti veli sulla vita da reclusi. E la semplice raccolta di documenti, metodo già adoperato nelle altre microstorie di Avagliano e Palmieri uscite da Einaudi - Gli internati militari italiani e Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia - serve a dar voce a chi se la vide soffocare dal nazifascismo, per sottrarla al silenzio dell’oblìo.

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