mercoledì 11 aprile 2012

Montezemolo. Il colonnello partigiano che volle riscattare il re

E’ uscito oggi in libreria «Il partigiano Montezemolo» (Dalai editore, pp. 416, euro 22) del giornalista e storico Mario Avagliano. È la biografia dell’eroico colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, medaglia d’oro della Resistenza, nato a Roma, rampollo di una nobile famiglia piemontese, “fedele nei secoli ai Savoia” . Il saggio ripercorre tutta la storia dell’ufficiale: l’infanzia a Torino, l’arruolamento dopo il liceo come volontario nella Grande Guerra;  l’amore per la bella Juccia, diventata sua moglie; la brillante carriera militare e gli affetti familiari; la guerra in Spagna dalla parte di Franco; le missioni in Africa; i rapporti con Erwin Rommel ,  la “volpe del deserto”.  Nel luglio 1943 fu tra i protagonisti del colpo di stato per rovesciare Mussolini  e dopo l’8 settembre organizzò la resistenza militare a Roma e nell’Italia occupata, mettendo in piedi il Fronte militare clandestino e uno straordinario servizio di intelligence al servizio di Badoglio e degli Alleati. Un libro-ritratto di un eroe italiano tra i più meritevoli di menzione, dimenticato dalla storiografia. Anticipiamo ampi stralci della prefazione di Mimmo Franzinelli.

Prefazione di Mimmo Franzinelli

Questa documentatissima biografia rimedia a un’ingiustificata trascuratezza e reinserisce la figura di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo nel circuito storiografico, quale organizzatore militare della Resistenza nella capitale. E ne presenta l’intero arco della breve e intensa vita, nell’ambito familiare come negli aspetti professionali. Un’operazione tanto più necessaria in quanto sul ricordo del colonnello pesano due opposte visioni (l’assertore dell’attendismo badogliano, il martire delle Fosse Ardeatine), che lo hanno rispettivamente appiattito in una zona grigia e decontestualizzato in un’aura atemporale.
Il titolo del volume sintetizza il protagonista di queste pagine nella dimensione – militare, ma non solo – di promotore, organizzatore e dirigente del partigianato. La sua lucida consapevolezza patriottica, in linea con il curricolo del piemontese militare di carriera, è inconciliabile (proprio per la sua valenza nazionale) con la faziosità del fascismo, travolto dal crollo del 25 luglio e reinsediato dai tedeschi nel vassallaggio di Salò. Montezemolo impersona al meglio la scelta dei militari rimasti fedeli al giuramento monarchico dopo gli sconvolgimenti dell’8 settembre. (…)
Alla fuga dei ministri militari e dei Savoia, con la mancata difesa della capitale da parte del generale Carboni, seguono le trattative con i tedeschi per la concessione a Roma dello status di «città aperta». Pagine ingloriose, che squalificano dinanzi agli antifascisti i vertici militari. A quelle vicende partecipa, in veste di delegato, anche Montezemolo, le cui iniziali speranze sulla produttività dell’opzione negoziale si rivelano poi infondate. Ammaestrato dall’esperienza, nella seconda metà del settembre 1943 – con una coerenza rara tra i suoi colleghi – imbocca la strada della clandestinità.
Avagliano ha collazionato e montato in modo efficace le testimonianze dei collaboratori del cospiratore monarchico, che assume varie identità di copertura e muta i connotati (si fa crescere baffi a manubrio e si cela dietro a occhiali scuri). Elemento fondamentale dell’esistenza clandestina è costituito dalla rete familiare e parentale, la sola struttura immune da doppiogiochisti e delatori. Grazie anzitutto al coinvolgimento del figlio Manfredi e della cugina Fulvia Ripa di Meana, sfugge per qualche tempo alla sempre più insistente caccia dei nazisti. (…)
Nella visione di Montezemolo i monarchici devono organizzarsi al meglio e collaborare con il Cln, per non tagliarsi fuori dagli eventi; è il loro contributo alla guerra contro i tedeschi a legittimarne la permanenza al vertice delle istituzioni.
L’organismo montezemoliano sviluppa un prezioso lavoro di intelligence attraverso il Centro «R», con la raccolta di informazioni sulla logistica e la struttura dell’apparato d’occupazione, funzionali a sabotaggi partigiani e a incursioni mirate degli Alleati. Le attività belliche vengono tendenzialmente spostate fuori Roma, in condizioni ambientali meno proibitive. Roma viene valutata essenzialmente quale sede naturale del governo monarchico e in tale prospettiva deve essere preservata da una guerra che rischierebbe di distruggerne l’unicità artistica e spirituale.
(…) L’azione di Montezemolo e del suo gruppo è tanto più meritoria se si considera il clima di sfiducia, opportunismo e pavidità nel quale – all’ombra del prepotere tedesco – si muovono tanti profittatori, disponibili a giocare più ruoli a seconda delle convenienze. Il colonnello si è invece esposto sino a bruciarsi i ponti dietro alle spalle, con l’arresto quale sola alternativa alla vittoria, poiché rifiuta gli inviti a lasciare la capitale, dove i nemici sono sulle sue piste. Ci si convince, nella lettura di queste pagine, che l’ostinata permanenza nella città voglia testimoniare la presenza resistenziale monarchica, per riscattare l’ignominiosa fuga dell’8 settembre e controbilanciare lo scarso peso «badogliano» nelle bande partigiane in via di allestimento nelle campagne e nelle montagne. (…)
Al di là delle pur importanti posizioni militari e politiche, è sul terreno morale che la sua figura si caratterizza e brilla di luce propria. Estraneo a tatticismi e doppi giochi, avversa quanti vorrebbero coinvolgere in collaborazioni segrete esponenti militari della Rsi; l’intesa con chi ha tradito il giuramento di fedeltà «pregiudicherebbe su piano morale nostra causa et avvilirebbe quanti per essa affrontano nelle bande rischi supremi per sé et famiglie». Si coglie, in messaggi di analogo tenore, l’etica della responsabilità che sottende ogni sua decisione e ne guida il cammino. (…)
Dopo quattro mesi di vita clandestina, viene arrestato. Non si tratta di un evento inatteso, poiché troppe persone ne conoscono identità e nascondigli. Nel pomeriggio del 19 gennaio, all’ultimo incontro con la moglie, rivela di essere braccato a vista e di sperare solamente – come alternativa alla cattura – nel pieno successo dell’imminente sbarco alleato ad Anzio, di cui era stato preavvisato. La rete di Montezemolo viene investita da una straordinaria offensiva e il 25 gennaio il colonnello è bloccato da poliziotti italiani con un suo collaboratore all’uscita da un abboccamento con Armellini, in modalità che suggeriscono sordidi retroscena (sparisce, nella convulsione del momento, la busta con la rilevantissima somma di denaro versata da un industriale al Fronte militare). L’operazione si svolge sotto il segno del collaborazionismo, nella divisione del lavoro tra fascisti e nazisti: in pochi minuti il colonnello viene consegnato alle SS. (…)
Le pagine sulla prigionia sono tra le più struggenti del libro, con la capacità di restituire – grazie a una molteplicità di testimonianze – le terribili condizioni di cattività, le ansie e le speranze del detenuto, le premure di familiari e amici, la catena solidaristica dei reclusi.

(Il Messaggero, 11 aprile 2012)


Link per leggere l’articolo

Nessun commento:

Posta un commento