martedì 10 aprile 2012

Giuseppe Montezemolo. Il partigiano con le stellette

di Aldo Cazzullo

Poco tempo dopo la liberazione di Roma, il 29 luglio 1944, il generale Harold Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia, inviò una lettera privata alla marchesa Amalia di Montezemolo, moglie del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo: «Dear Marchesa Montezemolo, desidero esprimere la mia profonda ammirazione e la mia gratitudine per l'opera inestimabile e coraggiosa svolta da Suo Marito a vantaggio degli Alti Comandi Alleati ed Italiani durante l'occupazione germanica di Roma. Nessun uomo avrebbe potuto far di più, e dare di più alla causa del suo Paese e degli Alleati di quanto Egli fece: ed è ragione di rimpianto per me che Egli non abbia potuto vedere gli splendidi risultati della sua inalterabile lealtà e sacrificio personale. Con Lui l'Italia ha perduto un grande Patriota e gli Alleati un vero amico (…)».
Perché il capo delle forze anglo-americane ebbe parole di così grande elogio per questo ufficiale italiano? E come mai, a fronte di un giudizio così netto ed inequivocabile, confermato dal riconoscimento di una medaglia d’oro al valor militare, Montezemolo non è ricordato nei libri di storia?

La vicenda del “partigiano con le stellette” Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, classe 1901, figlio di un’antica famiglia dell’aristocrazia piemontese, militare di carriera, un nonno garibaldino, anticomunista ma in ottimi rapporti con Giorgio Amendola, costituisce un caso esemplare di come la storiografia abbia oscurato personaggi e movimenti della Resistenza di matrice moderata, concentrandosi più volentieri su fazzoletti rossi e Bella Ciao.
A squarciare finalmente il velo del silenzio su questo personaggio è la pubblicazione della sua biografia, ricostruita per la prima volta in modo organico e completo da Mario Avagliano, nel saggio Il partigiano Montezemolo (Dalai editore), che esce oggi in libreria. Un titolo provocatorio, quasi a voler sottolineare che anche il colonnello piemontese fu un  eroe della Resistenza, e quindi a tutti i titoli un partigiano; anche se, come sottolinea l’autore, Montezemolo non amava granché questa definizione («Non dite che siamo partigiani, noi siamo patrioti», ammoniva i familiari).
Oltre al lavoro di ricerca negli archivi dello stato maggiore dell'esercito, Avagliano ha intervistato vari testimoni dell'epoca (da Carla Capponi a Rosario Bentivegna), analizzato centinaia di documenti, saggi e libri di memoria, molti dei quali rari e introvabili, e consultato gli archivi familiari dei figli di Montezemolo, dal cardinale Andrea Montezemolo (già nunzio apostolico in Israele) alla marchesa Adriana Montezemolo fino al primogenito Manfredi Montezemolo e ai nipoti Carlo, Saverio e Ludovica Ripa di Meana.
La biografia di Montezemolo è costruita con una originale cifra stilistica: una sorta di intarsio di brani di diario, interviste, memorie, lettere dell'epoca, canzoni di guerra e d'amore, titoli di film, che consente ad Avagliano di raccontare gli avvenimenti storici dell'Italia e quelli della vita del colonnello piemontese in modo narrativo e coinvolgente.
Il libro ripercorre tutta la vicenda umana di Montezemolo: la rigida formazione nella Torino di inizio secolo, attraversata dal vento modernista dell’industrializzazione, l’arruolamento come volontario alla Grande Guerra, ad appena 17 anni, il consenso al fascismo nel clima politico incandescente dei primi anni Venti. E poi gli studi in Ingegneria, la storia d’amore con Juccia, l’affascinante figlia del medico di famiglia, la partecipazione alla Guerra di Spagna per combattere contro i “rossi”, i primi dubbi sul regime e su Mussolini, il suo ruolo nel secondo conflitto mondiale, in servizio presso il Comando Supremo e in Africa (dove fece da ufficiale di collegamento con il generale tedesco Erwin Rommel).
Montezemolo  è tra i “congiurati” monarchici del colpo di stato militare che destituì Mussolini il 25 luglio 1943. Scopriamo che fu proprio lui a ritirare le carte segrete del duce nel suo studio in Piazza Venezia, all’indomani dell’arresto, prima di ricoprire il ruolo di segretario particolare del maresciallo Badoglio, nuovo capo del governo.
Lo ritroviamo nella capitale l’8 settembre e, dopo l’occupazione tedesca, in una  posizione chiave nell’organigramma del comando di Roma Città Aperta. Quando i tedeschi si recano ad arrestare il generale Calvi di Bergolo, genero del re, Montezemolo si dà alla fuga, entra in clandestinità e in breve tempo, dimostrando grande polso e capacità organizzative, tira le fila della resistenza militare in Italia e nella capitale. Come osserva Mimmo Franzinelli nella prefazione, “impersona al meglio la scelta dei militari rimasti fedeli al giuramento monarchico dopo gli sconvolgimenti dell’8 settembre”.
“Roma nell’autunno-inverno del 1943-1944, nonostante la presenza del Vaticano, era una polveriera a cielo aperto – scrive Avagliano nell’introduzione -. Lo status giuridico di ‘città aperta’ restò lettera morta e i tedeschi trasformarono la capitale d’Italia in una retrovia militare, nella quale applicare le leggi marziali, transitare con le truppe e i mezzi in direzione del vicino fronte di guerra, disarmare ed arrestare i carabinieri, deportare in massa gli ebrei, dare la caccia ai renitenti alla leva, rastrellare gli uomini per il servizio obbligatorio del lavoro”.
In questo quadro così buio di persecuzione e di terrore, l’opera di Montezemolo e la costituzione del Fronte militare clandestino consentirono di sottrarre uomini e mezzi all'esercito della Repubblica di Salò e ai bandi Graziani, con un'intensa opera di arruolamento e di propaganda che coinvolse ufficiali dello Stato Maggiore e del Sim del disciolto esercito, più vari elementi della Marina, dell'Aviazione, dei Carabinieri, della Polizia e della Guardia di Finanza, compresi molti civili, esponenti della nobiltà capitolina (come l’intrepida cugina Fulvia Ripa di Meana, sua diretta collaboratrice), e addirittura alcuni uomini di fede, come don Pietro Pappagallo.
L'attività del Fronte militare si dispiegò sia all’interno della capitale (con le cosiddette bande interne) che nel Lazio e nelle regioni dell’Italia centrale e settentrionale (con le bande esterne) ed attraversò quasi tutte le modalità di "resistenza" attiva e passiva, dal sabotaggio delle linee ferroviarie e telefoniche agli scontri armati (anche se quasi esclusivamente fuori la città di Roma), dall'attività di intelligence all'aiuto alle bande partigiane, ai renitenti, ai prigionieri alleati e agli ebrei, ricoprendo un rilevante significato militare, in particolare nei primi cinque mesi, fino all'arresto - il 25 gennaio del '44 - di Montezemolo e del gruppo dirigente del movimento da parte delle SS di Herbert Kappler.
L’attività di Montezemolo, costretto per ragioni di sicurezza a farsi crescere due folti baffi color rossiccio, a cambiare continuamente casa e ad agire sotto falso nome (prima ingegner Giacomo Cateratto e poi professor Giuseppe Martini), fu foriera di ottimi risultati. Non per niente Herbert Kappler, il comandante delle SS, lo considerava “il suo nemico più temibile” e nella sua deposizione al processo così descrisse l’attività del colonnello italiano: “L’organizzazione di Montezemolo era già pronta per effettuare una rivolta aperta a Roma: l’armamento era stato approntato ed ogni uomo aveva avuto assegnato il suo compito”.
Il libro contempera l’efficace ritratto storico dell’Italia della prima metà del Novecento con la commovente storia familiare di un padre, marito e militare, arricchita da alcuni documenti e da un interessante apparato di fotografie del personaggio e dei familiari.
Suscitano emozione i capitoli finali, quelli più drammatici, con l’arresto, su delazione,  di Montezemolo a fine gennaio 1944 all’uscita da un incontro clandestino, la detenzione nel carcere delle SS di via Tasso, le torture, i tentativi di liberazione (che coinvolgono in prima persona Papa Pio XII e monsignor Montini) e di fuga (con la complicità dei comunisti), le ultime strazianti lettere alla moglie (“Se tutto andasse male Juccia sappia che non sapevo di amarla tanto: rimpiango solo lei ed i figli”), fino allo scoppio delle bombe gappiste a via Rasella e la tragica fine alle Fosse Ardeatine, con il grido in punto di morte di “Viva l’Italia! Viva il re!”. Vittima di una rappresaglia che in qualche modo aveva lui stesso paventato, quando redigendo l'Ordine 333 destinato alle bande militari, al punto 9 aveva ammonito: “Nelle grandi città la gravità delle conseguenti possibili rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la guerriglia”.
Una biografia, quella di Avagliano, che non indulge mai alla retorica o all’agiografia, tenendo ferma la barra di una ricostruzione puntuale e documenta in ogni dettaglio, come è testimoniato dal ricco apparato di note. Ne viene fuori un libro di storia scritto con il rigore dello specialista e con freschezza narrativa: un "romanzo" non romanzato, che svela un eroe italiano di prima grandezza, che se non fosse stato trucidato alle Fosse Ardeatine, sarebbe stato senza ombra di dubbio un protagonista dell'Italia del dopoguerra. E il ritratto di Montezemolo finisce per essere anche il ritratto di una generazione di italiani che credette al fascismo come movimento per la Nazione ma seppe poi allontanarsene, riscattarsi, costruire le premesse di una nuova Italia, libera e democratica.

(Corriere della Sera, 10 aprile 2012)



Link all’articolo del Corriere della Sera di Aldo Cazzullo:
 http://www.storiaxxisecolo.it/avagliano/Montezemolo/CorrieredellaSera10-04-12.pdf

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