La
biografia sull'eroe della Resistenza
di Maria Rosaria Iovinella
Un
libro che alla storiografia italiana mancava, quello di Mario Avagliano,
storico e giornalista, autore di Il partigiano Montezemolo. Storia
del capo della resistenza militare nell'Italia occupata, edito da Dalai
(416 pagine, 22 euro). La biografia ripercorre la sensazionale vicenda storica
di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, il colonnello di origine piemontesi e
di nobili natali, già ufficiale dello Stato maggiore dell’esercito,
segretario particolare di Badoglio, dopo il 25 luglio 1934, che svolse un ruolo
fondamentale come leader del Fronte militare clandestino di Roma, guidando la
resistenza moderata e di stampo monarchico. Fino all’arresto e alla
tragica fine per mano nazista nel massacro delle Fosse ardeatine, il 24 marzo
1944. L’opera si inscrive nel progetto storiografico di Avagliano che,
solo dal 2009 a oggi, ha messo in fila Gli internati militari italiani, Gli
ebrei sotto la persecuzione in Italia e Voci dal lager, scritti per
Einaudi con Marco Palmieri.
TESTO ARRICCHITO DALLE TESTIMONIANZE DI FAMIGLIA
Eppure, come
dichiarato dallo storico, l’esaustivo volume è figlio di una serie di
guizzi estemporanei che hanno saputo trovare le tempistiche e i modi per
ricongiungersi organicamente, in un libro anche toccante nella descrizione dei
travagli vissuti dal protagonista e complesso dal punto di vista bibliografico,
ma non privo anche di calore, colore.
Lo puntellano infatti le ricerche di archivio, i documenti, l’apparato iconografico ma soprattutto le testimonianze della famiglia, vero baluardo della scelta volontaristica di Montezemolo, da quando è entrato in clandestinità, nel settembre 1943, per poi ricevere il 10 ottobre dal Comando Supremo, con un radiomessaggio in codice, l’incarico di guidare la resistenza militare romana, quale titolare dell’Ufficio di collegamento con gli uffici di Brindisi.
Lo puntellano infatti le ricerche di archivio, i documenti, l’apparato iconografico ma soprattutto le testimonianze della famiglia, vero baluardo della scelta volontaristica di Montezemolo, da quando è entrato in clandestinità, nel settembre 1943, per poi ricevere il 10 ottobre dal Comando Supremo, con un radiomessaggio in codice, l’incarico di guidare la resistenza militare romana, quale titolare dell’Ufficio di collegamento con gli uffici di Brindisi.
Il racconto di un personaggio rimasto nell'ombra per quasi 70 anni
Lo
spunto dello storico nasce dalle ricerche che ha condotto per scrivere un libro
sulla figura di Sabato Martelli Castaldi, generale di brigata aerea, a sua
volte antifascista, morto alle Fosse ardeatine. E nei documenti e nelle
lettere, ecco allora apparire la figura di Cordero di Montezemolo.
Un’occasione unica, vista la negligenza di una certa storiografia, che
traduce una mole di lavoro di anni.
Oltre a rompere il velo su un personaggio rimasto nell’ombra per quasi settant’anni, il libro esalta l’apporto moderato di molti soggetti alla vicenda della Resistenza, troppo spesso appiattita, anche come memoria, su una sola versione degli eventi. La vita e le opere di Montezemolo rispecchiano bene un’Italia in cui fare revisionismo sul fascismo era possibile, e continuare a servire il Paese pure.
A patto però di voler abdicare non alle convinzioni personali - rimase sempre monarchico e anticomunista - ma alle speculazioni ambigue e personalistiche sui potenziali riposizionamenti politici nel panorama post bellico. Una forza possibile solo grazie a una forte coerenza e consapevolezza di sé, in un ambiente particolare, quello militare, segnato da sentimenti votati al peggio dell’umano: rancore, invidia, sospettosità, carrierismo e vigliaccheria.
Oltre a rompere il velo su un personaggio rimasto nell’ombra per quasi settant’anni, il libro esalta l’apporto moderato di molti soggetti alla vicenda della Resistenza, troppo spesso appiattita, anche come memoria, su una sola versione degli eventi. La vita e le opere di Montezemolo rispecchiano bene un’Italia in cui fare revisionismo sul fascismo era possibile, e continuare a servire il Paese pure.
A patto però di voler abdicare non alle convinzioni personali - rimase sempre monarchico e anticomunista - ma alle speculazioni ambigue e personalistiche sui potenziali riposizionamenti politici nel panorama post bellico. Una forza possibile solo grazie a una forte coerenza e consapevolezza di sé, in un ambiente particolare, quello militare, segnato da sentimenti votati al peggio dell’umano: rancore, invidia, sospettosità, carrierismo e vigliaccheria.
UN FRONTE DALLA PARTE DELLA FAZIONE MONARCHICA. L’azione del
Fronte clandestino militare era certo proiettata in avanti, perché al momento
della transizione prevalesse comunque il fronte monarchico, e non ci fossero
sorprese in materia di ordine pubblico e presa del potere da parte del
partigianato comunista. Una prospettiva forse falsata dall’idea che il
cambio di potere e di assetti fosse imminente, grazie a una movimentazione
rapida del fronte alleato. E invece no.
L’investimento totale di energie, di contatti, di stima, da parte del nobile piemontese andò perso. E così anche il ruolo di cerniera tra mondi, le scelte di intelligence, il carisma speso per cooptare soggetti che diversamente, anche per disperazione, avrebbero solo alimentato le file della Rsi. Montezemolo dovette abdicare alla cattura, il 25 gennaio 1944. In un biglietto dagli arresti, scrisse: «Confido in Dio, però occorre aiutarsi». Una frase certo permeata di cattolica fede, ma anche un invito all’azione e alla responsabilità, in un Paese dove ancora oggi non è mai saggio delegare o aspettare solo che passi la notte.
L’investimento totale di energie, di contatti, di stima, da parte del nobile piemontese andò perso. E così anche il ruolo di cerniera tra mondi, le scelte di intelligence, il carisma speso per cooptare soggetti che diversamente, anche per disperazione, avrebbero solo alimentato le file della Rsi. Montezemolo dovette abdicare alla cattura, il 25 gennaio 1944. In un biglietto dagli arresti, scrisse: «Confido in Dio, però occorre aiutarsi». Una frase certo permeata di cattolica fede, ma anche un invito all’azione e alla responsabilità, in un Paese dove ancora oggi non è mai saggio delegare o aspettare solo che passi la notte.
(Lettera
43, martedì 29 maggio 2012)
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