di Mario Avagliano
La Memoria della Shoah italiana ha
perso un altro testimone. Ormai restano in vita solo due dei diciassette ebrei
romani tornati dall’inferno dei Lager del Reich dopo la retata del 16 ottobre
1943, a seguito della quale 1023 di loro (compresi anziani, ammalati e bambini)
erano stati deportati ad Auschwitz.
La sera del 24 maggio scorso è
scomparso, all’età di 85 anni, Sabatino Finzi, l’unico minorenne tra i sopravvissuti.
Prima di lui erano deceduti nel 2008 Leone Sabatello e nel 2000 Settimia
Spizzichino, l’unica donna del gruppo dei superstiti, autrice del toccante
libro di memoria “Gli anni rubati”, pubblicato meritoriamente dal Comune di
Cava de’ Tirreni.
I reduci ancora viventi sono Mario
Camerino, che vive a Montreal, e Lello Di Segni, che abita a Roma e spesso è
invitato dalle scuole capitoline per raccontare la sua esperienza nei Lager.
Sabatino, nato a Roma l’8 gennaio
1927, quel tragico sabato di ottobre del 1943 aveva appena sedici anni. Fu
catturato dai tedeschi assieme ai genitori Giuseppe e Zaira e alla sorellina
Amelia. All’arrivo ad Auschwitz, la madre e la sorella furono selezionate
e inviate alle camere a gas. Lui e il padre (numeri di matricola 158556 e
158557), con la tuta a strisce da deportati e la stella gialla, furono
destinati ai lavori forzati a Jawisowice, dove lavorarono nelle cave di
lavagna, soffrendo la fame e gli stenti.
Il giornalista Roberto Olla,
responsabile del Tg1 Storia, ha scritto su FB: “Ricorderò sempre quando
Sabatino mi aveva spiegato come mangiava un pezzo di pane ad Auschwitz (il
pezzo, quell'unico piccolo pezzo della razione): tenendo qualcosa sotto il
mento, qualsiasi cosa che impedisse ad eventuali briciole di cadere e
disperdersi. Davanti alla telecamera, aveva poi risucchiato con forza dalla
mano briciole solo immaginate. Voleva esser sicuro che avessi capito bene”.
Il 22 gennaio 1945, quando Auschwitz e
i campi satellite dovettero essere evacuati, i due Finzi furono trasferiti a
Buchenwald. Il padre Giuseppe fu però mandato a Ohrdruf, dove morì prima della
liberazione.
Sabatino finse di essere più grande
della sua età e così venne destinato alla baracca degli adulti. Fu la sua
salvezza. Dei 207 bambini presi dalle SS il 16 ottobre, fu l’unico a tornare a
casa.
“Dovevo sembrare più grande – raccontò
qualche anno fa a Marco Ansaldo de “la Repubblica” -. Perché avevo visto che i
bambini li ammazzavano tutti. Non lavoravano, e alle SS non servivano. Li
portavano fuori dai blocchi, e ta-ta-ta. Li mitragliavano. Io ero già un
giovanetto. Allora ho detto di avere più anni, perché in quel modo potevo
rendermi utile. Così sono sopravvissuto. Ho sempre avuto un sesto senso”.
Il 15 aprile 1945, dopo la
liberazione, Sabatino, ridotto a 29 chili di peso, scrisse una commovente
lettera agli zii Anselmo Calò e Angelina Zarfati, che io e Marco Palmieri
abbiamo pubblicato nel nostro libro “Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia”
(Einaudi, 2011).
“Dopo un anno e mezzo di prigionia
fascista – si legge nella lettera - Iddio ha voluto che l’11 Aprile i primi
liberatori Americani hanno occupato il campo mentre i reparti SS tedeschi
stavano evacuare tutti e forse decimarci di 60.000 prigionieri ora siamo in
libertà in 20.000 e tre italiani nostri dei quali due solo del primo trasporto
del 16 Ottobre”. E più avanti: “cominciando dalle nostre famiglie dalla mia
cara mamma e Amelia babbo nonno zio Lello e tutti i migliaia di ebrei sono
stati tutti sterminati dalla ferocia nazista”.
Quando rientrò in Italia, Sabatino fu
ricoverato all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna per sette mesi. Qualche tempo fa
era andato a Gerusalemme, al Muro del pianto. E come tutti, aveva infilato il
suo bigliettino, con su scritto: “Hitler, non ce l’hai fatta a farmi fuori.
Sabatino Finzi è ancora qui, come mio figlio Giorgio e come mio nipote”.
Sabatino anche lui.
(L’Unione Informa, 29 maggio 2012)
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