di Mario Avagliano
Benito Mussolini non era bello, non era snello e neppure alto. Non
aveva un portamento elegante e non presentava una sola di quelle particolari
caratteristiche che normalmente affascinano il pubblico. Eppure “una gran
massa di italiani visse in una sorta di simbiosi psicologica col suo corpo,
desiderandolo nella componente femminile, sognando di essere come lui in quella
maschile”.
Il sesso come simbolo del potere politico. Anche così il duce ha
incarnato il mito della potenza nell’Italia fascista. È la tesi di fondo
del bel saggio Dux. Una biografia sessuale di Mussolini (Rizzoli, pp. 439, euro
21), scritto con competenza storica e sapienza narrativa da Roberto Olla,
responsabile di Tg1 Storia, autore della fortunata serie di Combat Film.
In questo libro, fresco di stampa, uscito in Inghilterra prima che
in Italia col titolo “Il Duce and his women”, si sostiene che il
“mussolinismo” (che è cosa diversa dal fascismo) è stato costruito
e si è fondato sul mito del suo corpo da contadino padano, con la mascella
quadrata e il petto villoso: dalle schegge conficcate nelle sue carni durante
la prima guerra mondiale ai muscoli esibiti col piccone in mano durante le
demolizioni per aprire a Roma via della Conciliazione.
Alle radici di questo mito c’è il rapporto di Mussolini con
le donne. Quattrocento sarebbero, secondo una stima attendibile, quelle
“amate” nel corso della sua vita dal duce, che mise al mondo figli
legittimi e illegittimi, intrattenendo molteplici amanti, brune e bionde, magre
e procaci, di varie nazionalità: “Sono giovani e belle, le prendo, poi
non ricordo più né il loro nome né come sono fatte”.
Il racconto di Olla, tutt’altro che pruriginoso anche se non
privo di particolari piccanti e virulenti (“le fonti – si scusa
l’autore – non permettono di rispettare questa esigenza di
eleganza”), parte dall'apprendistato, invero alquanto rude, del giovane
Benito nella Romagna contadina del tardo Novecento, da parte di tale Virginia
B., come raccontò lo stesso futuro duce: “la presi lungo le scale, la
gettai in un angolo dietro a una porta e la feci mia. Si rialzò piangente e
avvilita”.
All’inizio Mussolini scelse donne intelligenti e moderne.
Due su tutte: la rivoluzionaria ucraina Angelica Balabanoff, che affinò,
politicamente e sessualmente, l’imberbe e rozzo Mussolini, e
l’ebrea Margherita Sarfatti, coltissima e abile, che con il suo libro Dux
esportò il suo Mito a livello mondiale.
Unitosi in matrimonio religioso con Rachele Guidi nel 1925, il
duce continuò imperterrito nella sua collezione di donne, consumando gli
amplessi davanti alle carte della sua scrivania a Palazzo Venezia, portandole
al mare, in barca e in montagna.
Un “furor eroticus” che non ebbe fine neppure quando
Mussolini “ufficializzò” il suo rapporto con Claretta Petacci, la
donna che lo seguì fino al tragico epilogo di Piazzale Loreto. Claretta
sostenne il suo Ben nella bufera della seconda guerra mondiale e di fronte ai
segni del declino fisico, gli procurò il miglior afrodisiaco dell’epoca, l’antesignano
del moderno Viagra: l’Hormovin, prodotto in Germania.
La “biografia sessuale di Mussolini” è un ritratto
impietoso dal quale emerge un uomo politico ch’era preda, come si direbbe
oggi, di una forma compulsiva di dipendenza dal sesso, e che porta alla luce
ipocrisie, volgarità, aspetti caratteriali e della personalità del Dux,
demolendo, se ce n’era ancora bisogno, anche dal punto di vista morale la
vulgata buonista del “brav’uomo”.
(Il Messaggero, 27 maggio 2012)
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