di Mario Avagliano
La
Memoria delle violenze del fascismo e del nazismo e della vergogna delle leggi
razziali e delle deportazioni si preserva anche con le lapidi, le targhe e le
"pietre d'inciampo". Simboli che "segnano" il territorio e
le città, a perenne ricordo di eventi delittuosi, luttuosi o anche
gloriosi avvenuti in un determinato luogo. Chiunque passa di lì e butta lo
sguardo alle scritte, è invitato a riflettere: proprio dove ha posato i piedi,
un tempo viveva un deportato razziale o politico oppure era collocata una
prigione fascista o nazista oppure si è verificato un episodio di resistenza,
di rastrellamento, di strage.
I
negazionisti, i neofascisti, gli antisemiti o semplicemente chi non desidera
essere importunato nel suo quieto vivere dal passato scomodo della nostra
Italia, sanno bene quanto contino questi simboli. Ecco perché negli ultimi mesi
nella sola Roma si sono verificati ben tre atti di oltraggio delle "pietre
d'inciampo" (Stolpersteine), inventate dall'artista tedesco Gunter Demnig
in memoria dei deportati nei campi di sterminio nazisti.
La
Memoria delle violenze del fascismo e del nazismo e della vergogna delle leggi
razziali e delle deportazioni si preserva anche con le lapidi, le targhe e le
"pietre d'inciampo". Simboli che "segnano" il territorio e
le città, a perenne ricordo di eventi delittuosi, luttuosi o anche
gloriosi avvenuti in un determinato luogo. Chiunque passa di lì e butta lo
sguardo alle scritte, è invitato a riflettere: proprio dove ha posato i piedi,
un tempo viveva un deportato razziale o politico oppure era collocata una
prigione fascista o nazista oppure si è verificato un episodio di resistenza,
di rastrellamento, di strage.
I
negazionisti, i neofascisti, gli antisemiti o semplicemente chi non desidera
essere importunato nel suo quieto vivere dal passato scomodo della nostra
Italia, sanno bene quanto contino questi simboli. Ecco perché negli ultimi mesi
nella sola Roma si sono verificati ben tre atti di oltraggio delle "pietre
d'inciampo" (Stolpersteine), inventate dall'artista tedesco Gunter Demnig
in memoria dei deportati nei campi di sterminio nazisti.
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