di Mario
Avagliano
A
oltre due secoli dalla gloriosa esperienza della Repubblica Napoletana, il
Pantheon dei Martiri del 1799 torna alla luce, grazie alle ricerche di
Antonella Orefice, storica che ha già al suo attivo diversi studi che hanno
contribuito a far chiarezza sulle vite e le imprese di alcuni protagonisti di
quell’epopea.
Composto
da 57 fogli di carta pergamena, vergati in lingua latina e greca, il Pantheon
è stato ritrovato dalla Orefice tra le preziose carte inedite del fondo
archivistico D’Ayala, custodite presso la sede della Società Napoletana
di Storia Patria, nel silenzio delle torri del Maschio Angioino, messe a
disposizione della studiosa dalla presidente Renata De Lorenzo. Ora viene
proposto per la prima volta nel libro Mariano D’Ayala e il Pantheon
dei Martiri del 1799 di Antonella Orefice (editore l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici), che sarà presentato il prossimo 13 giugno a
Napoli, con la partecipazione della stessa De Lorenzo, autrice della nota
introduttiva, e del pm Henry John Woodcock, al quale è stata affidata la
prefazione.
Il
libro della Orefice è dedicato alla figura di Mariano D’Ayala, storico e
politico dell’Ottocento, che fu tra i primi a combattere la damnatio
memoriae sui fatti del 1799 voluta dai Borbone, divenendo per questo loro
nemico ed essendo condannato dapprima al carcere e poi all’esilio.
D’Ayala, pur tra mille difficoltà, fino a gli ultimi giorni della sua
vita non interruppe mai la sua opera di ricerca storica, recuperando documenti,
cimeli e memorie sulle Vite dei benemeriti italiani uccisi per mano del
carnefici, come è intitolata la sua opera postuma, curata dal figlio
Michelangelo .
Uno
di questi cimeli è appunto l’opera denominata dal D’Ayala Pantheon,
ma il cui titolo originale è Apoteosi dei patrioti. Si tratta di una
tavola necrologica nominale, di autore anonimo, risalente al 1799 o ai
primissimi anni dell’Ottocento, in cui vengono commemorati i patrioti
della Repubblica Napoletana, attraverso la creazione di sarcofagi immaginari su
cui è inciso il loro nome seguito da quello di eroi greci o latini e da una
citazione tratta dai classici.
Nel
volume della Orefice, oltre alla riproduzione completa del Pantheon posseduto
dal D’Ayala, viene proposta anche la traduzione di tutta l’opera a
cura di Antonio Salvatore Romano. Il manoscritto inizia con un proemio in
latino a cui fa seguito una tavola di novantasette nominativi. I primi tre martiri
citati, Emmanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani sono i
giustiziati della congiura giacobina del 1794. I fratelli Ascanio e Clemente
Filomarino ed il generale tedesco Giuseppe Writz aprono la lunga lista dei
giustiziati del ’99, pur se costoro furono uccisi i primi per mano dei
lazzari all’alba della Repubblica Napoletana nel gennaio del 1799, mentre
il generale Writz cadde nella battaglia di Vigliena il 13 giugno, il giorno che
i sanfedisti riuscirono ad entrare in Napoli ed a costringere i repubblicani
alla resa.
Seguono,
ma non tutti in ordine cronologico di esecuzione, i giustiziati di Napoli nelle
pubbliche piazze, alcuni caduti in battaglia, altri giustiziati a Procida nel
giugno del 1799. La presenza di alcuni nomi aggiunti alla fine
dell’opera, Bernardino Rulli, Vincenzo Porto e Giuseppe Maria Capece
Zurlo, personaggi illustri che patirono certamente la reazione borbonica ma non
furono condannati a morte, rende chiaro l’intento dell’autore di
celebrare i più noti protagonisti della rivoluzione del 1799.
Mariano
D’Ayala riportò le epigrafi latine contenute nel Pantheon nel suo saggio Vite
degli Italiani benemeriti della Libertà e della Patria, definendo il
manoscritto “un documento molto raro scritto da un uomo dottissimo nel
greco e nel latino” e attribuendolo, col beneficio del dubbio, ad Antonio
Jerocades, abate e poeta italiano. Ad avviso della Orefice, “la
supposizione non sembra così azzardata se si pensa non solo all’uomo
erudito in lingue classiche, amico di tanti patrioti di quel tempo, ma alla
vita stessa dello Jerocades che aveva partecipato con grande coinvolgimento,
sin dal 1794, ai moti giacobini napoletani ed aveva fondato la Società
Patriottica con Carlo Lauberg, scelte che gli costarono più volte il carcere e
poi l’esilio a Marsiglia”.
Una
totale messa in discussione sia della genesi che dell’originalità del
documento, è stata tentata alla fine dell’Ottocento da un docente privato
di Lettere, Alberto Agresti, socio dell’Accademia Pontaniana che, in una
memoria pubblicata nel volume XXIX degli Atti della stessa Accademia, ha
cercato di ribaltare non solo la presunta paternità dell’opera posseduta
dal D’Ayala e da lui attribuita ad Antonio Jerocades, ma anche
l’autenticità dello stesso, definendolo “copia di poco valore”,
“scorretta ed incompiuta”
Una
testi che viene rigettata nel volume curato da Antonella Orefice, grazie a una
perizia grafologica sui frontespizi di entrambi i documenti compiuta da Alberto
Mario D’Alessandro. Mettendo così fine al mistero del Pantheon dei
Martiri e restituendo questo eccezionale documento ai lettori.
(Il
Mattino, 1° giugno 2012)
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