I Palatucci e i Perlasca non furono casi
isolati. Un altro funzionario italiano si attivò con le armi della burocrazia e
con profondo senso di umanità per salvare gli ebrei in quegli anni tragici: il console
a Salonicco Guelfo Zamboni, che nel '92 fu riconosciuto come Giusto delle
nazioni dallo Yad Vashem. E non agì da solo: gli incaricati dell’ambasciata
italiana a Berlino gli diedero man forte.
La vicenda di Zamboni era già in parte
conosciuta. Di recente, però, come rivelato dal Corriere della Sera, la storica
Sara Berger, ricercatrice del Museo della Shoah in via di costituzione a Roma,
ha rintracciato nell'Archivio politico degli Affari esteri tedeschi di Berlino
il carteggio tra il governo fascista e l’alleato tedesco sulla deportazione da
Salonicco di 75 ebrei italiani (o presunti tali, molti di loro erano stati
fatti passare come tali dallo stesso Zamboni, allo scopo di sottrarli ai
nazisti), che nella tarda primavera del ’43, poco prima della caduta di
Mussolini, fece scoppiare un vero e proprio caso diplomatico.
Tutto partì da una nota dell’ambasciata
italiana a Berlino del 14 maggio 1943, ispirata dallo stesso Zamboni: «La Regia
Ambasciata è stata incaricata di voler pregare il Ministero degli Affari Esteri
del Reich affinché vengano annullati i provvedimenti erroneamente adottati e si
provveda di conseguenza al ritorno alle rispettive residenze degli ebrei in
questione che risultano deportati, al rintraccio degli smarriti, ed alla
liberazione di quelli già internati in campi di concentramento».
Che cosa era successo? Adolf Eichmann, Obersturmbannführer
delle SS che da marzo aveva organizzato la deportazione ad Auschwitz e
Treblinka di 55 mila ebrei greci, per «errore» aveva arrestato a Salonicco
anche alcuni ebrei italiani.
Il regime fascista, su pressione di
Zamboni, chiede che siano rimandati indietro, «in quanto il governo italiano si
sente obbligato a proteggerli per motivi morali, patriottici o per interessi
nazionali», informa la Regia ambasciata il 15 giugno 1943.
Nella lista dei 75 ebrei rivendicati
dall'Italia figura Doudoun Levi Venezia, la nonna di Shlomo Venezia, autore del
libro Sonderkommando, uno degli ultimi sopravvissuti delle squadre di
prigionieri costrette a lavorare tra forni e camere a gas di Birkenau per
portare via i cadaveri. Dettaglio importante: lo storico Marcello Pezzetti fa
notare che nella lettera del 14 maggio 1943 si legge che «è stata deportata in
Polonia». Ovvero: «Il governo italiano sa di Auschwitz».
Purtroppo ormai è tardi. L'ambasciata italiana
insiste e Eberhard von Thadden, del ministero degli Esteri tedesco, scrive il
19 giugno ad Eichmann, chiedendogli di «rintracciare» e «mettere a disposizione
degli italiani» le persone della lista. Ma la signora Venezia, partita a marzo,
è stata uccisa all'arrivo.
Zamboni comunque riuscì a salvare circa 350
ebrei dalle deportazioni, ricorrendo allo stratagemma della nazionalità
italiana provvisoria.
(L’Unione Informa, 12 giugno 2012)
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