Opinioni
ebraiche profondamente diversificate, e per certi versi anche
contrapposte, di fronte alla revisione del testo che l'istituto Yad
Vashem di Gerusalemme espone sotto le immagini del papa Pio XII. Il
giudizio storico che ne emerge riguardo alle ambiguità del comportamento
di papa Pacelli negli anni bui delle persecuzioni e della Shoah risulta
nella nuova formulazione meno categorico e più prudente, lasciando
aperte diverse interpretazioni.
Severo il giudizio del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. "Il pannello di Yad Vashem critico nei confronti di Pio XII - commenta a caldo il Rav della prima comunità ebraica italiana - è stato sostituito con un testo più lungo che presenta due diversi e contrapposti giudizi lasciando le conclusioni in sospeso in attesa di ulteriori chiarimenti (timida allusione all'apertura degli Archivi vaticani). "Malgrado le patetiche smentite d'ufficio della direzione dello Yad Vashem - aggiunge - è difficile allontanare il dubbio che questo non sia il risultato delle pressioni diplomatiche vaticane. Accettando queste pressioni non era più possibile una critica del papa, ma anche una sua difesa sarebbe stata problematica, e allora è stata scelta questa strana soluzione. Che comunque non farà contenti i difensori di Pio XII e che a noi lascia l'amaro in bocca. Perché in un luogo come Yad Vashem la politica dovrebbe rimanere lontana e distinta. Perché non è accettabile che un gruppo di burocrati, diplomatici e forse anche di politici considerino le richieste vaticane - in cambio di chissà che cosa - più importanti per Israele delle nostre memorie dolorose".
Severo il giudizio del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. "Il pannello di Yad Vashem critico nei confronti di Pio XII - commenta a caldo il Rav della prima comunità ebraica italiana - è stato sostituito con un testo più lungo che presenta due diversi e contrapposti giudizi lasciando le conclusioni in sospeso in attesa di ulteriori chiarimenti (timida allusione all'apertura degli Archivi vaticani). "Malgrado le patetiche smentite d'ufficio della direzione dello Yad Vashem - aggiunge - è difficile allontanare il dubbio che questo non sia il risultato delle pressioni diplomatiche vaticane. Accettando queste pressioni non era più possibile una critica del papa, ma anche una sua difesa sarebbe stata problematica, e allora è stata scelta questa strana soluzione. Che comunque non farà contenti i difensori di Pio XII e che a noi lascia l'amaro in bocca. Perché in un luogo come Yad Vashem la politica dovrebbe rimanere lontana e distinta. Perché non è accettabile che un gruppo di burocrati, diplomatici e forse anche di politici considerino le richieste vaticane - in cambio di chissà che cosa - più importanti per Israele delle nostre memorie dolorose".
Altrettanto duro l'ambasciatore Sergio Minerbi,
esponente di spicco della comunità degli Italkim e considerato fra i
massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano.
"Che vergogna - commenta - è bastata una protesta del Nunzio della Santa Sede, per far cambiare allo Yad Vashem il testo della didascalia sotto la fotografia di Pio XII. Non so se sia per incompetenza in materia o per voler andar d'accordo con tutti, ed ignoro fino a qual punto abbia influito l'ebreo americano Gary Krupp, di Pave the Way, fiero della sua decorazione vaticana, la “patacca” di San Gregorio Magno. Nel nuovo testo, se verrà confermato, Yad Vashem agisce come se fosse neutrale in materia e si limita ad affermare che alcuni critici “sostengono che ci fu un fallimento morale”. Ma l'istituto non ha un'opinione propria su una questione tanto sensibile? E allora a che serve questa mastodontica istituzione, cosa insegna ai suoi numerosi ricercatori? Come è possibile ammettere che Yad Vashem si limiti a constatare che la reazione “di Pio XII è questione controversa fra gli studiosi”? Va in ogni caso ricordato che Pio XII non pronunciò una sola volta in pubblico la parola ebrei durante tutta la Seconda Guerra mondiale, questo punto almeno non è oggetto di controversia. Alla deportazione degli ebrei di Roma, Pio XII non reagì né in pubblico né in segreto. I suoi incontri diplomatici in quei giorni vertevano su Roma città aperta o sui rifornimenti alimentari e nulla più. Yad Vashem potrebbe agire secondo l'esempio di un gesuita, John Morley, che termina il suo libro sulla Shoah con queste parole:”Bisogna concludere che la diplomazia vaticana fallì nei confronti degli Ebrei durante l'Olocausto non facendo quanto era possibile fare (per venire) in loro aiuto.”
Molto diversa la prospettiva della storica Anna Foa: "Il cambiamento della didascalia su Pio XII al Museo di Yad Vashem era da tempo in programma. Contrariamente a quel che si è subito detto dai media, non mi sembra che la nuova didascalia rappresenti un ammorbidimento del giudizio rispetto a quella precedente, che esprimeva una recisa condanna della posizione di Pio XII verso lo sterminio degli ebrei europei. Quello che la nuova didascalia riflette è, mi sembra, un giudizio più che morale, storico: la consapevolezza che ci si trova all’interno di un dibattito ancora aperto, in cui molta nuova documentazione ha già contribuito a modificare le valutazioni e in cui ci si aspetta che l’apertura degli archivi per gli anni della guerra porti altri contributi rilevanti. La didascalia precedente era frutto, a mio avviso, di un giudizio dogmatico, assoluto, che prescindeva dall’esistenza di un dibattito a livello storiografico e dell’esistenza di nuova documentazione a livello dell’individuazione dei fatti. La nuova apre la strada ad ulteriori modifiche, in un senso o nell’altro, a dimostrazione che la storia si basa sui documenti e sulle interpretazioni, non sui pregiudizi politici o sul senso comune. E i responsabili di Yad Vashem hanno dimostrato, con questo gesto coraggioso, di esserne pienamente consapevoli".
"L'esigenza di una revisione della scritta illustrativa apposta sotto l'immagine di Pio XII allo Yad Vashem - conclude infine il diplomatico e saggista Vittorio Dan Segre - era da tempo avvertita e il fatto che l'istituto abbia ora deciso di metterci mano dimostra che siamo vicini a nuovi accordi complessivi fra Israele e Vaticano su cui si è a lungo lavorato e che potrebbero essere presto siglati. La battaglia di chi da parte ebraica vorrebbe condannare la figura di papa Pacelli a restare perennemente rinchiusa in una dimensione di condanna morale senza appello non è alla lunga sostenibile sotto il profilo politico e forse anche sotto quello storiografico. Ma quello che più conta è comprendere che l'argomento, da qualunque parte lo si voglia guardare, oggi è in grado di suscitare solo un interesse limitato nelle opinioni pubbliche che le parti in causa dovrebbero rappresentare. Certo interessa poco all'opinione pubblica israeliana e certo ancora di meno a un mondo cattolico che comincia a temere il moltiplicarsi di massacri ai danni delle popolazioni cristiane in Africa e nel mondo islamico. C'è un contenzioso da chiudere, fra Israele e il Vaticano, e questo deve avvenire nel migliore dei modi possibili senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle ferite che la storia ci ha lasciato in eredità".
Ecco in sequenza la vecchia formulazione della frase esposta in ebraico e in traduzione inglese, elaborata nel 2005 e la nuova formulazione ora annunciata.
"Che vergogna - commenta - è bastata una protesta del Nunzio della Santa Sede, per far cambiare allo Yad Vashem il testo della didascalia sotto la fotografia di Pio XII. Non so se sia per incompetenza in materia o per voler andar d'accordo con tutti, ed ignoro fino a qual punto abbia influito l'ebreo americano Gary Krupp, di Pave the Way, fiero della sua decorazione vaticana, la “patacca” di San Gregorio Magno. Nel nuovo testo, se verrà confermato, Yad Vashem agisce come se fosse neutrale in materia e si limita ad affermare che alcuni critici “sostengono che ci fu un fallimento morale”. Ma l'istituto non ha un'opinione propria su una questione tanto sensibile? E allora a che serve questa mastodontica istituzione, cosa insegna ai suoi numerosi ricercatori? Come è possibile ammettere che Yad Vashem si limiti a constatare che la reazione “di Pio XII è questione controversa fra gli studiosi”? Va in ogni caso ricordato che Pio XII non pronunciò una sola volta in pubblico la parola ebrei durante tutta la Seconda Guerra mondiale, questo punto almeno non è oggetto di controversia. Alla deportazione degli ebrei di Roma, Pio XII non reagì né in pubblico né in segreto. I suoi incontri diplomatici in quei giorni vertevano su Roma città aperta o sui rifornimenti alimentari e nulla più. Yad Vashem potrebbe agire secondo l'esempio di un gesuita, John Morley, che termina il suo libro sulla Shoah con queste parole:”Bisogna concludere che la diplomazia vaticana fallì nei confronti degli Ebrei durante l'Olocausto non facendo quanto era possibile fare (per venire) in loro aiuto.”
Molto diversa la prospettiva della storica Anna Foa: "Il cambiamento della didascalia su Pio XII al Museo di Yad Vashem era da tempo in programma. Contrariamente a quel che si è subito detto dai media, non mi sembra che la nuova didascalia rappresenti un ammorbidimento del giudizio rispetto a quella precedente, che esprimeva una recisa condanna della posizione di Pio XII verso lo sterminio degli ebrei europei. Quello che la nuova didascalia riflette è, mi sembra, un giudizio più che morale, storico: la consapevolezza che ci si trova all’interno di un dibattito ancora aperto, in cui molta nuova documentazione ha già contribuito a modificare le valutazioni e in cui ci si aspetta che l’apertura degli archivi per gli anni della guerra porti altri contributi rilevanti. La didascalia precedente era frutto, a mio avviso, di un giudizio dogmatico, assoluto, che prescindeva dall’esistenza di un dibattito a livello storiografico e dell’esistenza di nuova documentazione a livello dell’individuazione dei fatti. La nuova apre la strada ad ulteriori modifiche, in un senso o nell’altro, a dimostrazione che la storia si basa sui documenti e sulle interpretazioni, non sui pregiudizi politici o sul senso comune. E i responsabili di Yad Vashem hanno dimostrato, con questo gesto coraggioso, di esserne pienamente consapevoli".
"L'esigenza di una revisione della scritta illustrativa apposta sotto l'immagine di Pio XII allo Yad Vashem - conclude infine il diplomatico e saggista Vittorio Dan Segre - era da tempo avvertita e il fatto che l'istituto abbia ora deciso di metterci mano dimostra che siamo vicini a nuovi accordi complessivi fra Israele e Vaticano su cui si è a lungo lavorato e che potrebbero essere presto siglati. La battaglia di chi da parte ebraica vorrebbe condannare la figura di papa Pacelli a restare perennemente rinchiusa in una dimensione di condanna morale senza appello non è alla lunga sostenibile sotto il profilo politico e forse anche sotto quello storiografico. Ma quello che più conta è comprendere che l'argomento, da qualunque parte lo si voglia guardare, oggi è in grado di suscitare solo un interesse limitato nelle opinioni pubbliche che le parti in causa dovrebbero rappresentare. Certo interessa poco all'opinione pubblica israeliana e certo ancora di meno a un mondo cattolico che comincia a temere il moltiplicarsi di massacri ai danni delle popolazioni cristiane in Africa e nel mondo islamico. C'è un contenzioso da chiudere, fra Israele e il Vaticano, e questo deve avvenire nel migliore dei modi possibili senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle ferite che la storia ci ha lasciato in eredità".
Ecco in sequenza la vecchia formulazione della frase esposta in ebraico e in traduzione inglese, elaborata nel 2005 e la nuova formulazione ora annunciata.
Pius XII
In
1933, when he was Secretary of the Vatican State, he was active in
obtaining a Concordat with the German regime to preserve the Church's
rights in Germany, even if this meant recognizing the Nazi racist
regime. When he was elected Pope in 1939, he shelved a letter against
racism and anti-Semitism that his predecessor had prepared. Even when
reports about the murder of Jews reached the Vatican, the Pope did not
protest either verbally or in writing. In December 1942, he abstained
from signing the Allied declaration condemning the extermination of the
Jews. When Jews were deported from Rome to Auschwitz, the Pope did not
intervene. The Pope maintained his neutral position throughout the war,
with the
exception of appeals to the rulers of Hungary and Slovakia towards its
end. His silence and the absence of guidelines obliged Churchmen
throughout Europe to decide on their own how to react.
The Vatican
The
Vatican, under Pius XI, Achille Ratti, and represented by the Secretary
of State Eugenio Pacelli, signed a concordat with Nazi Germany in July
1933, in order to preserve the rights of the Catholic Church in Germany.
The
reaction of Pius XII, Eugenio Pacelli, to the murder of the Jews during
the Holocaust is a matter of controversy among scholars. From the onset
of World War II, the Vatican maintained a policy of neutrality. The
Pontiff abstained from signing the Allies' declaration of December 17,
1942 condemning the extermination of the Jews. Yet, in his Christmas
radio address of December 24, 1942 he referred to “the hundreds of
thousands of persons who, without any fault on their part, sometimes
only because of their nationality or ethnic origin (stirpe), have been
consigned to death or to a slow decline.” Jews were not explicitly
mentioned.
When Jews were deported from Rome to Auschwitz, the Pontiff did not publicly protest. The Holy See appealed separately to the rulers of Slovakia and Hungary on behalf of the Jews. The Pope’s critics claim that his decision to abstain from condemning the murder of the Jews by Nazi Germany constitutes a moral failure: the lack of clear guidance left room for many to collaborate with Nazi Germany, reassured by the thought that this did not contradict the Church’s moral teachings. It also left the initiative to rescue Jews to individual clerics and laymen. His defenders maintain that this neutrality prevented harsher measures against the Vatican and the Church's institutions throughout Europe, thus enabling a considerable number of secret rescue activities to take place at different levels of the Church. Moreover, they point to cases in which the Pontiff offered encouragement to activities in which Jews were rescued. Until all relevant material is available to scholars, this topic will remain open to further inquiry.
When Jews were deported from Rome to Auschwitz, the Pontiff did not publicly protest. The Holy See appealed separately to the rulers of Slovakia and Hungary on behalf of the Jews. The Pope’s critics claim that his decision to abstain from condemning the murder of the Jews by Nazi Germany constitutes a moral failure: the lack of clear guidance left room for many to collaborate with Nazi Germany, reassured by the thought that this did not contradict the Church’s moral teachings. It also left the initiative to rescue Jews to individual clerics and laymen. His defenders maintain that this neutrality prevented harsher measures against the Vatican and the Church's institutions throughout Europe, thus enabling a considerable number of secret rescue activities to take place at different levels of the Church. Moreover, they point to cases in which the Pontiff offered encouragement to activities in which Jews were rescued. Until all relevant material is available to scholars, this topic will remain open to further inquiry.
(L'Unione Informa, 2 luglio 2012)
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