di Mario Avagliano
Maria Montessori |
Nei primi 85 anni di Stato unitario l’Italia è stata una monarchia misogina, nella quale hanno votato esclusivamente gli uomini. La nostra nazione è stata una delle ultime di Europa a concedere il diritto il voto alle donne, che fu esercitato per la prima volta solamente nel 1946. Un ritardo che è stato foriero di pessimi risultati, visto che nel periodo monarchico si sono avvicendati ben 64 governi, si sono registrati lunghi periodi di forte instabilità politica e sociale e l’istituto delle elezioni è stato alla fine abolito dal fascismo.
La storia italiana poteva andare diversamente se si fosse vestita anche di rosa? Difficile rispondere. Fatto sta che per una breve stagione le donne italiane coltivarono la speranza di poter dire la loro sul futuro politico della loro nazione. Infatti il 25 luglio del 1906, quando l’irruente Benito Mussolini era ancora un maestrino socialista di provincia, una sentenza della Corte di appello di Ancona, presieduta dal magistrato ebreo Lodovico Mortara, accordò il diritto di voto a dieci donne marchigiane, tutte maestre, che avevano presentato apposito ricorso.
La loro vicenda, che all’epoca fece scalpore e provocò un acceso dibattito in tutta Italia, è stata ricostruita e raccontata nel libro di Marco Severini, intitolato Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane (liberi libri, pp. 261, euro 15). Grazie al coraggio delle maestre marchigiane, Ancona divenne per qualche settimana il centro del mondo. Maria Montessori le dedicò addirittura un inno poetico.
Si trattò, come scrive lo stesso Severini, di “un evento eccezionale”, in quanto quel pugno di donne andò ad affiancarsi a un corpo elettorale composto da più di 2 milioni e mezzo di maschi. Ma l’illusione dell’emancipazione durò appena lo spazio di dieci mesi (la sentenza Mortara fu annullata dalla Corte di Cassazione) e purtroppo non si concretizzò in partecipazione al voto in quanto, per il ritorno al governo di Giovanni Giolitti, non vi furono elezioni politiche.
E così le dieci donne marchigiane che, con la conquista dell’iscrizione alle liste elettorali, avevano impresso una svolta impensata alla lotta per il suffragio femminile, raccogliendo l’entusiasmo delle numerose associazioni femminili, dei socialisti e dei repubblicani che si battevano da anni per l’emancipazione, tornarono purtroppo nell’anonimato.
Il saggio di Severini ha il merito di riportare alla luce la storia di quelle pioniere del voto alle donne, di cui vengono proposte per la prima volte le biografie, e delle portabandiera dell’emancipazione femminile made in Italy, come Anna Maria Mozzoni e Maria Montessori. Ma è anche un omaggio alla competenza giuridica e all’onestà intellettuale del giurista mantovano Lodovico Mortara, “personalmente contrario, giuridicamente favorevole” al suffragio femminile, e di quei politici maschi, come il repubblicano Roberto Mirabelli, che sulla scia del pensiero di Mazzini, grande fautore del voto alle donne, sostennero in Parlamento, con forza e determinazione, la causa dell’altra metà del cielo. Perché, come disse in aula Mirabelli il 25 febbraio 1907, la donna non fosse più “inchiodata alla croce delle secolari esclusioni”.
Quella battaglia, in quella fase storica perdente, avrebbe avuto sicuramente un esito positivo nella seconda metà degli anni Venti, sulla scia di quanto accaduto in altri Paesi europei. Ma l’avvento del fascismo e la sua concezione della donna come semplice “angelo del focolare” ritardarono di un ventennio la partecipazione femminile alla vita politica. Solo la Resistenza e poi la Costituente sanciranno finalmente la pari dignità delle donne, legittimandole al voto sia in qualità di elettrici che di elette.
Nessun commento:
Posta un commento