di Mario Avagliano
Ci sono tante
storie di deportati ancora sconosciute ai più, che escono dal “cono d’ombra”
della Shoah solo grazie al meritevole sforzo di qualche ricercatore o di
qualche persona dotata di buona volontà e di passione civile. Una di queste
storie è quella della romana Noemi Cingoli, ex studentessa del Liceo artistico
“Via di Ripetta”, la cui vicenda umana è stata ricostruita da Costanzo Di
Giovanni, docente di matematica e fisica in quello stesso istituto, con
l’intento di “restituire dignità a coloro che non tornarono”.
Da ragazza Noemi
ha copiato i gessi dei Dioscuri che giganteggiano nell'aula magna del Liceo
artistico e il 23 maggio scorso la sua figura è stata ricordata proprio lì, con
un appassionato intervento di Piero Terracina, che nel maggio del 1944 viaggiò
nello stesso treno di Noemi diretto ad Auschwitz, e con l’inaugurazione di una
stele commemorativa. Per inciso, va ricordato che in questo istituto, nel 2008,
un professore negazionista aveva urlato che la Shoah non esiste.
Nata il 25
settembre 1913, ultima dei quattro figli di Alfredo Cingoli, negoziante di
tessuti originario di Ascoli Piceno, e di Clelia Ravà, la bella Noemi all’epoca
della deportazione era sposata con il torinese Mario Segre, epigrafista e
archeologo di fama internazionale, espulso dall’università in seguito alle
leggi razziste del 1938, che per sopravvivere dava lezioni private e curava la
compilazione di alcune voci dell’Enciclopedia minore diretta da Giovanni
Gentile, firmandole con il nome dell’amica archeologa Luisa Banti.
Dopo la caduta
del fascismo, tra gli ebrei c’è chi spera in un’alba nuova. Ma non la suocera
di Noemi, Ida Luzzatti, che il 4 settembre 1943 scrive profetica: «Calmato
l’entusiasmo di quei primi giorni dopo il 25 luglio, contiamo le delusioni che
l’hanno seguito, ed i pericoli gravissimi dai quali siamo continuamente
minacciati. E, se anche il nuovo Governo ha provveduto e sta provvedendo perché
Roma possa essere riconosciuta città aperta, noi siamo tutt’altro che
tranquilli. Mario nostro si mantiene ottimista, ma credo che sia una mosca
bianca. Io non me la sono mai vista così la situazione». E infatti Ida e la
figlia Elena il 16 ottobre finiranno nelle mani dei nazisti: Ida morirà di
stenti in treno durante la deportazione, Elena sarà gasata ad Auschwitz.
Scampati alla
retata, Noemi, il marito Mario e il figlioletto Marco trovano ospitalità presso
l’Istituto Svedese di Studi Classici in Via Omero, nella zona di Valle Giulia.
Grazie all’extraterritorialità i tre si sentono al sicuro. Ma, come si legge
nella ricostruzione di Di Giovanni, in primavera cadono in un’imboscata della
polizia fascista. La mattina del 5 aprile 1944, in seguito ad una delazione,
sono fermati da due agenti mentre si trovano all’esterno dell’Istituto assieme
a Filippo Magi, assistente per l’Archeologia classica alla Direzione Generale
dei Musei Vaticani.
Vengono arrestati e rinchiusi nel carcere
di Regina Coeli a disposizione delle autorità tedesche. Due giorni dopo
sarà arrestato sempre a Roma, in circostanze analoghe, un ragazzo di 16 anni,
Piero Terracina, e portato nel carcere assieme a tutta la famiglia.
Del caso dei
Segre si interessa anche la Segreteria di Stato vaticana, nella persona di Giovanni
Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI) che il 15 aprile interviene presso
l’Ambasciatore di Germania Ernst von Weizsacker nel vano tentativo di salvare
gli arrestati dalla deportazione e dalla morte: “Si implora dalle autorità
germaniche il rilascio dell’intera famiglia Segre".
Dopo alcune tappe
intermedie la famigliola è trasferita nel campo di Fossoli, dove resterà però
solo poco tempo. Il 16 maggio 1944 l’appello annuncia la partenza e, scortati
dalle SS, i deportati sono avviati alla stazione di Carpi. Terracina ricorderà:
“Ci caricarono nei vagoni, eravamo stipati tanto che difficilmente ci si poteva
sdraiare. Alla sera il treno cominciò a muoversi e si fermò in quasi tutte le
stazioni. Viaggiammo tutta la notte e la mattina seguente, la sete divenne un
serio problema perché l’acqua era finita. Il pianto dei bambini, le mamme
disperate non sapevano più cosa fare. L’indifferenza dei civili alle stazioni,
alla vista dei vagoni merci ed ai pianti dei bambini, non può certo essere
dimenticata. Tutti sapevano”.
Nel pomeriggio
del 22 maggio il trasporto arriva ad Auschwitz. La mattina del 23 maggio 1944,
il convoglio ferroviario entra a Birkenau attraverso la nuova linea
ferroviaria. Senza neanche il tempo di salutarsi, Mario raggiunge la fila di sinistra,
Noemi e il piccolo Marco quella di destra. Non si rivedranno più. Dei 582 ebrei
scesi dal convoglio (tra i quali un bambino nato durante il trasporto), 186
uomini e 70 donne sono selezionati per il lavoro. Gli altri 326, tra i quali
Noemi Cingoli (30 anni), Mario (39 anni) e Marco Segre (2 anni), saranno
avviati verso le camere a gas. Moriranno la sera stessa.
Frida Misul, ebrea
livornese sopravvissuta ad Auschwitz, in una lettera a Umberto Segre, riporta
le ultime parole di suo fratello Mario: «Coraggio domani c’incontreremo di
nuovo».
(L'Unione Informa e Moked.it del 27 maggio 2014)
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