di Mario Avagliano
La notte del 3 giugno
1944, alle 23.15, Radio Londra trasmise la parola in codice
"elefante". Era il segnale convenuto per la liberazione della
capitale. All’alba del 4 giugno - un’azzurra domenica di tarda primavera - le
avanguardie americane entrarono a Roma per la via Appia Nuova e per la via
Casilina, mentre i tedeschi lasciarono Ponte Milvio e la periferia
settentrionale della città, quasi senza scontri con i partigiani. Tra i pochi a combattere, in quelle ore, fu Ugo Forno, dodicenne studente della scuola media “Settembrini”, che assieme ad altri partigiani impedì ai nazisti di far saltare in aria il ponte ferroviario dell’Aniene e venne colpito a morte. Il 23 aprile scorso il Quirinale gli ha assegnato la medaglia d’oro al merito civile.
Come mai la
popolazione di Roma non insorse per cacciare i nazisti e i fascisti?
Oggi la tesi
prevalente tra gli storici insiste sull’intervento del Vaticano. “Fu concordata
un’uscita pacifica delle truppe tedesche da Roma, con l’importante mediazione
del Vaticano e il consenso delle componenti moderate della Resistenza”,
sostiene Davide Conti della Fondazione Basso. “Le sinistre – continua Conti -
avrebbero voluto un’insurrezione prima dell’arrivo degli Alleati, ma non ne
ebbero la forza. A differenza del Nord, infatti, non c’erano le bande
partigiane che scendevano ‘dalle montagne’ o invadevano la Pianura Padana, come
avvenne a Milano, Torino e Bologna”.
“Le trattative
diplomatiche con i tedeschi, condotte da Pio XII durante il periodo
dell’occupazione, miravano non solo a salvare le persone ma anche a salvare la
città, evitando la battaglia su Roma. Fu l’oggetto dell’incontro a maggio tra
il Papa e il generale Rainer Stahel”, afferma Anna Foa, docente di storia moderna
all’Università La Sapienza.
Una chiave di lettura
che convince anche Alessandro Portelli, docente universitario e autore del
libro “L’ordine è già stato eseguito” sulle Fosse Ardeatine: “Le forze
monarchiche e la Chiesa operarono in maniera di evitare l’insurrezione, avendo
paura che ne traessero vantaggio i comunisti e le sinistre e che ci fossero
danni e sofferenze per la città”. E Massimo Rendina, vicepresidente nazionale
dell’Anpi, aggiunge: “L’intesa fu promossa dal Vaticano, che garantì ai tedeschi
che potevano uscire dalla città senza essere attaccati. Infatti gli scontri
armati furono pochissimi”. E il Cln accettò? “Io ritengo che il Cln si
pronunciò a favore della non insurrezione, anche non sono state finora trovate
documentazioni che lo provino”.
La questione invece è
più complessa per Gabriele Ranzato, docente di storia contemporanea
all'Università di Pisa, che attribuisce la mancata sollevazione popolare a una
pluralità di fattori: “la scarsa predisposizione dei romani alla rivolta; la contrarietà
degli Alleati, che volevano il passaggio dei poteri al generale Roberto Bencivenga,
in quanto rappresentante di Badoglio; la forza militare dei tedeschi, ancora intatta
a differenza dell’aprile 1945; e infine l’intervento del Vaticano”.
Di certo, sulla
mancata insurrezione pesò anche “il macroscopico errore di previsione sui tempi
della liberazione commesso dagli Alleati a seguito dello sbarco di Anzio del 22
gennaio 1944”, sostiene Mariano Gabriele, già presidente della Società Italiana
di Storia Militare. “Dopo lo sbarco gli Alleati ordinarono al fronte militare
clandestino di Montezemolo di sollevarsi. Molti militari si esposero e furono
arrestati”. E un ulteriore colpo alla Resistenza “fu dato dall’eccidio delle
Fosse Ardeatine, che decapitò i vertici della maggior parte dei movimenti”,
afferma la storica Elena Aga Rossi. Aggiungendo: “La grande occasione fu quella
dell’8 settembre del 1943. Ma il re e i vertici militari non vollero salvare
Roma. Si ordinò ai Granatieri di Sardegna di combattere, avendo però già deciso di trattare con i
tedeschi”.
(Il Messaggero, 4 giugno 2014)
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