La recensione di Solilibri.net
di Felice Laudadio
10 giugno 1940: la notizia delle decisioni irrevocabili entusiasma la
Nazione intera, inconsapevole dell’orrore che avrebbe affrontato, debole e
impreparata. Ma quell’ora segnata dal destino aveva tanti padri e
tante madri, non solo Mussolini. La folla plaudente sotto il balcone di Piazza
Venezia condivideva appieno la scelta di regolare i conti con le potenze
demoplutocratiche che avevano mutilato la vittoria italiana del 1918.
E se non era il dispetto per Francia e Inghilterra a giustificare
l’approvazione, era la convinzione che Hitler aveva ormai piegato gli
anglofrancesi e avrebbe fatto sua tutta l’Europa, quindi meglio stare dalla sua
parte.
Gli italiani si erano cacciati in un guaio e di lì all’estate 1943 avrebbero
perso la guerra delle armi (le nostre, superate e insufficienti) ma vinto quella
della memoria, con la rimozione dell’entusiastico sostegno all’alleanza coi
tedeschi. Lo spiegano, indagando sulla corrispondenza dei nostri militari, il
giornalista Mario Avagliano e il saggista Marco
Palmieri, autori di un saggio storico ampio ma accessibile, edito da
il Mulino: “Vincere e vinceremo. Gli italiani al fronte
1940-43”, 376 pagine 25 euro.
Le lettere di soldati, graduati e ufficiali rappresentano una fonte di prima
mano per verificare il consenso. Una mole ingentissima, una vera alluvione,
quasi 9milioni 300mila nel solo primo anno. Per uomini di ogni età, di tutta
Italia, di qualsiasi livello culturale e sociale, comunicare con mogli,
fidanzate, genitori, parenti, amici, madrine di guerra era una necessità
primaria, come il rancio, come le munizioni, come la vita stessa.
La guerra della memoria, per Avagliano e Palmieri, è quella guerra
civile del ricordo, delle celebrazioni e degli studi, che ha dirottato
l’attenzione sulla lotta di liberazione, mettendo in ombra l’adesione alle
guerre fasciste, come se non facessero parte della storia nazionale e non vi
fosse stata una fervida partecipazione popolare alle politiche aggressive del
regime. Come se avessero subito l’oppressione mordendo il freno. Questo vale per
il 1944 e ancora più per il 1945, ma non certo per gli anni fino al 1940, quando
il piglio guerrafondaio mussoliniano eccitava militari e civili ed era sostenuto
da tutti, per primi gli industriali e compresi i cattolici.
Nelle lettere, con sorpresa anche per la censura, l’adesione al fascismo e al
conflitto risultano l’atteggiamento prevalente, insieme alla convinzione in
buona fede della bontà della causa per cui si combatteva. I militari lontani
sembrano nonostante tutto più motivati dei connazionali a casa, soggetti a
disagi e privazioni meno facili da accettare, per non dire dell’effetto
demoralizzante dei bombardamenti dell’aviazione alleata sulle città.
La guerra, del resto, quale atto eroico per difendere la Patria,
la famiglia ed anche la fede cristiana, era stata inculcata dal regime in
generazioni di italiani dalle scuole elementari. Concetto ben accolto anche
dalla Chiesa, ribadito dall’oratorio al catechismo, finanche dal pulpito. È da
sfatare, quindi, l’opinione che il consenso al fascismo declinasse presto tra i
militari. Nel 1940 era certamente plebiscitario, poi perse intensità lentamente
– decadde più rapidamente tra i civili, si è detto – lo dimostrano le sincere
attestazioni di fiducia nella vittoria finale e nelle italiche ragioni.
I contenuti epistolari documentano che la svolta si è avuta solo alla vigilia
della fine del ventennio (25 luglio 1943). Sul Mussolini ha sempre ragione
si era abbattuta l’esperienza devastante in Russia, l’ennesima tragica
constatazione della debolezza del nostro apparato bellico (mancavano cannoni
capaci di fermare i carri armati medi) e della violenza razzista dei tedeschi.
Eppure il regime aveva fatto di tutto per nascondere i pochi sfiniti reduci
dalla ritirata nelle steppe. Era riuscito quasi fino in fondo ad oscurare la
verità.
Lo stesso esito, mascherare i fatti - sia pure
perseguendo un risultato di segno opposto: regalare una patente antifascista
alla maggioranza degli italiani - è stato conseguito dalla rimozione nazionale
dell’altra verità: fino a poco prima erano stati tutti fascisti e
contenti.
(Sololibri.net del 15 gennaio 2015)
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