martedì 28 giugno 2011

Vite normali di vittime designate

ORIENTAMENTI STORICI
a cura di Andrea Rossi


Vite normali di vittime designate
Mario Avagliano – Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia, Torino, Einaudi, 2011

Proseguendo la felice intuizione avuta con il precedente Generazione ribelle, Mario Avagliano, in collaborazione con Marco Palmieri, ci offre, tramite lo strumento dei diari e delle lettere, lo specchio delle riflessioni, dei giudizi e dei pensieri che scrissero di getto, “in tempo reale” i componenti delle comunità ebraiche italiane dall’introduzione delle leggi razziali nel 1938, sino ad arrivare al tragico biennio 1943-45.


A leggere questo interessante e largamente inedito materiale, emerge con chiarezza un sentimento dominante che percorre le varie fasi dalla “persecuzione dei diritti e dei beni” fino alla stagione catastrofica della “persecuzione delle vite”: lo stupore e l’incredulità, prima ancora che la rabbia o il timore.
La spiegazione, espressa in decine di scritti, è sostanzialmente la stessa, ossia l’incapacità di comprendere l’abisso in cui l’Europa stava per entrare. Agli occhi di questi uomini e donne, in genere di cultura media o elevata, con attività commerciali e industriali fiorenti, risulta pressoché impossibile da comprendere la barbarie elevata a sistema che si stava impadronendo dell’intero continente. Addirittura, da parte della non marginale minoranza che aveva apertamente appoggiato il fascismo e che ne condivideva l’ideologia nazionalista, ci sono – almeno all’inizio – forme di larvata giustificazione delle scelte mussoliniane del 1938 (cosa che avevamo anche ampiamente incontrato nella biografia di Renzo Ravenna “Il podestà ebreo” redatta da Ilaria Pavan). Il legame nazione-identità ebraica, specie nella sua declinazione più “patriottica” (e forse addirittura patriottarda) emerge con chiarezza negli scritti di chi aveva partecipato alla prima guerra mondiale, o che addirittura era stato fervente interventista. Tanti si rifiutano di accettare che la stessa patria in cui si sentivano integrati ora li respingeva come una entità estranea (un rifiuto che porta anche ad alcuni suicidi).
Nonostante lo scoppio della seconda guerra mondiale e la progressiva discriminazione dalla vita nazionale, gli ebrei italiani, in maggioranza, non si ribellano ai soprusi, compresi quelli più gratuiti e violenti (come la devastazione della Sinagoga di Ferrara nel 1941), cercando piuttosto un modus vivendi con la nuova realtà. Le prime frammentarie notizie sull’avvio del programma nazista di sterminio, vengono anch’esse commentate con sostanziale incredulità, almeno fino a quando, con l’occupazione nazista, i treni piombati iniziano a partire anche dal nostro paese.
Solo nel momento più atroce e irrimediabile, nel viaggio verso i campi della morte, tramite biglietti, lettere e messaggi letteralmente gettati nelle stazioni di mezza Italia, si avvertono i congiunti e gli amici che l’unica salvezza è la fuga: quasi come se per centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini, la catastrofe finale fosse arrivata come un temporale in mezzo all’irreale calma creata per dare una parvenza di serenità alle famiglie colpite dalla follia delle ideologie omicide.
Questo è forse l’aspetto più toccante e tragico dell’intera vicenda, che porta a chiedere a ciascuno di noi quale reazione potremmo avere di fronte alla persecuzione immotivata (e crediamo che questo sia il nodo centrale) della propria vita e dei propri affetti. Una domanda che deve restare ben presente nella coscienza civile del paese.
Siamo grati a Mario Avagliano per averci condotto, con rispetto e delicatezza per chi ha lasciato quelle strazianti note, a riflettere ancora una volta su quella terribile stagione.


(27 giugno 2011)

Blog di Orientamenti Storici di Andrea Rossi

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