giovedì 1 settembre 2011

Bidussa: Shoah. La parola e la cosa

di David Bidussa


La parola shoah scompare dai manuali di storia adottati nel sistema scolastico francese.
Si può discutere tanto del modo in cui quella decisione è stata presa. Credo che sia più proficuo discutere del fatto che le parole hanno una storia. Perché in quella storia ci siamo noi.

In quella storia sono da considerare vari tempi: quello in cui quella parola non c’è; quello in cui qualcuno a un certo punto la introduce; quello in cui essa diviene un termine di massa utilizzato da tutti – spesso scacciandone altre che in precedenza venivano usate - quello del suo ridimensionamento e quello della sua eventuale scomparsa.
Io penso che l’uso di una parola sia sempre l’indicatore di una sensibilità. E perciò mi chiedo: quando ha iniziato a circolare la parola shoah quale vuoto riempiva? Quando ha iniziato a circolare quale pensiero produceva? Quando si è imposta quali atteggiamenti determinava?
E se la notizia di del suo accantonamento, introdotta con una circolare pubblicata sul bollettino ufficiale del settembre 2010, non ha suscitato particolari attenzione non è questo un sintomo di un cambio di sensibilità?
E, infine, vorrei chiedermi: quale sensibilità abbiamo davanti?
Di tutta la produzione cartacea che ha fatto della Shoah un tema di discussione pubblica che cosa rimarrà?
C’è differenza tra prima e dopo?
E se sì qual è?
In quale scala sta con l'immagine che abbiamo della parola "massacro"?
Fare la storia di una parola e del suo uso nelle democrazie politiche, come nei sistemi totalitari, come nelle dittature di massa del XXI secolo in quello che una volta chiamavamo “Terzo mondo” è sempre confrontarsi con i meccanismi della persuasione e della convinzione. In breve con retoriche.
Molti premeranno perché quella parola rimanga. Io vorrei che rimanesse sul piatto la questione di sapere quante cose abbiamo capito della macchina del potere e dell’entusiasmo di massa di cui una pratica sterminativa ha goduto, della creatività tecnologica a cui ha dato l’opportunità e della quantità di indifferenza con cui ha potuto perpetuarsi. Il nome mi interessa poco. Resta il problema. In una società globale, quel problema non è solo un fatto “locale”.


David Bidussa, Linkiesta, 31 agosto 2011

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