di Andrea Finzi
Vi sono due sono date emblematiche che mi legano a Marcello Cantoni. La prima è quella del 9 marzo 1950, quando su di me neonato Marcello esercitò la funzione del medico di Comunità per eccellenza, quella di moel o circoncisore, e mi iscrisse nel suo celebre libro delle milot che giunse ad annoverare nel 1991 il nome di quasi 1000 bimbi. La seconda data è quella triste del 7 marzo 2003 quando, chiamato dalla figlia Manuela, accorsi per primo fra gli amici medici e dovetti constatare che Marcello, come accade ai giusti, serenamente nel sonno ci aveva lasciati.
Parlare di Marcello Cantoni vuol dire ripercorrere le vicende novecentesche attraverso l’esperienza di un giovane medico, di un uomo di cultura e poi di un padre di famiglia che, trovandosi a vivere in tempi eccezionali, ha saputo mettersi a disposizione del prossimo con energia, intuito e capacità organizzative sostenute da una solida base scientifica e positivista, guidato dalla consapevolezza tutta ebraica che la prima soluzione di ogni problema va trovata dentro se stessi. Anche quando i tempi sono divenuti meno eccezionali, la sua energia, il suo spirito di iniziativa e di aggregazione hanno continuato a improntare le sue molteplici attività.
Come risulta da un curioso stato di famiglia del Comune di Milano del giugno 1945 Marcello nasce il 24 maggio 1914. Frequenta il liceo Berchet, con episodiche bigiate mattutine al cinema Colosseo di cui il padre Ettore in quegli anni è amministratore. Si iscrive a Medicina nel 1933 e nel novembre 1939 si laurea con 105/110 con una tesi sulla “terapia delle meningiti meningococciche con i moderni preparati sulfamidici”. Nel marzo 1940 Marcello inizia a lavorare alla clinica Villa Aegla il cui direttore professor Lenti non accetta di applicare le disposizioni “per la difesa della razza”. Lì rimarrà fino al 1943.Già da due anni la Comunità di Milano che contava 2000 iscritti stava fronteggiando un complesso problema sociale e sanitario, quello degli ebrei profughi dalla Germania e dai Paesi occupati dai nazisti. Nel 1939 l’Unione delle Comunità Israelitiche istituiva la Delasem (Delegazione assistenza agli emigrati). Una delle stanze dell’ufficio è adibito ad ambulatorio ed è affidato al dottor Gino Emanuele Neppi, licenziato dal suo lavoro di medico del Comune di Milano dopo le leggi razziste. Neppi trova in Marcello Cantoni un entusiasta collaboratore. Da quel giorno per tre anni si raccoglie intorno a loro un gruppo di medici di reparto licenziati dalla sanità fascista che si dedica all’assistenza degli ebrei milanesi in difficoltà economiche e di altre centinaia provenienti dall’estero. Dopo l’8 settembre la situazione diviene intollerabile. Cantoni è sfollato con la famiglia ad Asso e nel settembre 1944, il giorno di Kippur 5705, si unisce alla 89° Brigata Garibaldina Partigiana Poletti con il nome di battaglia di “Marco”.
Nel suo diario annota che “come ebreo italiano sento il dovere di prender parte alla lotta di popolo per poter avere il diritto di prender parte a pieno titolo a quello che si farà nell’Italia liberata”. Nella brigata è medico e vicecommissario politico per poco più di un mese. Il primo novembre viene infatti catturato con il suo gruppo e riconosciuto come ebreo, ma riesce a fuggire fortunosamente in Svizzera. Nei 17 mesi di permanenza in Svizzera fa molte conoscenze nell’ambito della comunità degli ebrei italiani espatriati: fondamentale è quella con Raffaele Cantoni, grande rappresentante dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane.
Nel maggio 1945 Marcello rientra a Milano e si rende conto, insieme ai dirigenti della Comunità, dell’enormità della tragedia dei lager e dell’imminenza dell’arrivo di migliaia di ex deportati alla ricerca di una nuova esistenza in Europa, in America o nella Palestina del Mandato britannico. La risposta alle urgenti necessità viene trovata nel cinquecentesco Palazzo Erba Odescalchi di via Unione 5, già sede del gruppo rionale fascista ‘Antonio Sciesa’ che il Comitato di liberazione nazionale alta Italia mette immediatamente a disposizione della Comunità ebraica. Qui Cantoni ricopre il ruolo di responsabile dell’organizzazione sanitaria e dell’utilizzo dei fondi in via Unione, quotidianamente impegnato nella gestione di una struttura che col tempo raggiunge le dimensioni di un piccolo ospedale con 20 posti letto, 30 operatori sanitari altamente qualificati, un laboratorio di analisi e tutte le attività specialistiche, inclusa un’officina di protesi ortopediche. Nel frattempo Cantoni è impegnato in altre attività: nel 1945 diviene presidente dell’Organizzazione sanitaria ebraica milanese, lavora come medico scolastico del Comune, si sposa con Mirella Ascoli (da cui avrà due figlie, Manuela e Mara), consegue la specializzazione in pediatria con 110 e lode e nel 1952 dà vita alla Società Italiana di Medicina ed Igiene della Scuola. Nel 1955 poi fonda la sua amatissima creatura, la Rivista italiana di medicina e igiene scolastica.
I documenti che raccontano l’attività di Cantoni fino agli anni Ottanta testimoniano l’osmosi continua ed efficace fra i suoi diversi campi di interesse: vigila sulla scuola ebraica con corsi di aggiornamento sanitario per tutti coloro che vi lavorano, si dedica alle varie scuole pubbliche cittadine come le medie Mameli/Colorni, delle quali io stesso sono stato allievo, ove si fa mediatore di uno spirito innovatore di collaborazione fra docenti e famiglie, è consigliere e poi presidente della Comunità ebraica nella quale rafforza i rapporti con le istituzioni cittadine e il legame con Israele.
Nel 1985 Cantoni dà vita all’Associazione Medica Ebraica del Nord Italia che in seguito diventerà nazionale.
Negli ultimi dieci anni della sua vita, lasciati molti impegni istituzionali, non ha mai rallentato la sua attività professionale di pediatra, con la sua straordinaria saggezza e l’amore per i suoi piccoli pazienti.
Marcello Cantoni ha vissuto una fase cruciale della storia di questo Paese e dell’ebraismo nella piena consapevolezza del suo essere medico e cittadino ebreo italiano, condizione scomoda ma anche privilegiata e perfino “divertente” come diceva lui, senza ammettere deroghe alla necessità di un pensiero libero e razionale e di un’azione rapida ed efficace. Se è vero, come dice la tradizione ebraica, che l’uomo giusto è ricordato per i suoi atti diretti al bene di tutti, Marcello Cantoni vive nella memoria della sua famiglia, di noi amici, della Comunità ebraica e della città di Milano come esempio luminoso di un uomo che ha resistito alle difficoltà per costruire il futuro.
(Pagine Ebraiche, novembre 2011)
Nota: il disegno è di Walter Molino, Ritratto di Marcello Cantoni, 1952 (Milano, Eredi Cantoni)
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